Le mini carceri private alla Muccioli che piacciono tanto alla destra

RMAG news

Pochi giorni fa, durante la cerimonia del Ventaglio, il presidente della Repubblica Mattarella ha tenuto a sottolineare le «condizioni angosciose agli occhi di chiunque abbia sensibilità e coscienza» delle carceri in Italia. Parole chiare e drammatiche, che fanno a pugni con l’azione del governo Meloni e della destra in Parlamento, che continuano a cavalcare il populismo penale a partire dal primo, il decreto anti-rave, sino all’ultimo pacchetto sicurezza.

In questo vortice inarrestabile di nuovi reati, nuove pene e nuovi detenuti, per qualche secondo qualcuno ha pensato potesse esserci uno spiraglio nelle norme del decreto “carcere sicuro”. Annunciato dal guardasigilli Nordio come un «intervento vasto e strutturale che affronta in modo organico un altro settore del sistema dell’esecuzione penale» si è rivelato per quel che è: semplice fumo negli occhi. Di “umanizzazione” del carcere non vi è nulla: dall’aumento risibile del numero di telefonate, all’intervento virtuale sulla liberazione anticipata. Se aumenta di (sole) mille unità la Polizia penitenziaria, nulla, ma proprio nulla, si fa sul fronte del deficit strutturale di assistenti sociali e operatori dell’area trattamentale.

Ha fatto meno clamore, anche se merita grande attenzione, l’introduzione, con una norma tanto vaga quanto pericolosa, di un elenco delle strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale delle persone detenute adulte. Vaga perché non ha alcun effetto nell’immediato, pericolosa perché sembra prefigurare una esternalizzazione della detenzione se – con un minimo di memoria storica – la si ricollega alle dichiarazioni dello stesso ministro Nordio e del sottosegretario Delmastro. Il Coordinamento nazionale comunità d’accoglienza (Cnca) in un duro documento si chiede, appunto, a quali tipologie di strutture si stia facendo riferimento. Per le persone con un utilizzo problematico di sostanze, o con problemi di salute mentale, sono già previsti servizi specifici, offerti dai servizi pubblici e dalle comunità gestite dal privato sociale e accreditate. E allora, si chiede il Cnca: «Che relazione c’è fra le “strutture” citate nel dl e l’attuale rete delle comunità accreditate?».

Per la maggiore rete italiana la definizione di un sistema al di fuori dell’accreditamento sarebbe «uno scardinamento del sistema integrato pubblico-privato che garantisce interventi sociosanitari specialistici, a favore di situazioni probabilmente con un più alto numero di utenti, fuori dal sistema e a gestione completamente privata, di cui non sono chiare le finalità né le modalità di intervento e custodia. Si tratterà della terrificante riproposizione di spazi come i Centri di permanenza per i rimpatri applicata a tutti i detenuti? Si vogliono creare delle piccole carceri private?». Sono queste quindi «quelle comunità chiuse in stile Muccioli» di cui parlava Delmastro poco più un anno fa? Un interrogativo grave, per le sue possibili implicazioni sull’intero sistema dell’esecuzione penale e sulle garanzie costituzionali della pena. Un sistema che invece avrebbe tanto bisogno di un processo di depenalizzazione, a partire dalle droghe, e di messa a regime e finanziamento degli strumenti di alternativa al carcere per le persone con problemi di uso di sostanze. Portate queste fuori dal carcere, come ci racconta ogni anno il Libro Bianco sulle droghe, non avremmo alcun problema di sovraffollamento.

*Forum Droghe

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