Legge sicurezza, il governo bocciato dai professori di diritto penale

RMAG news

A bocciare il ddl sicurezza, al momento in discussione nella commissione Giustizia del Senato, ci ha pensato anche l’Associazione italiana dei professori di diritto penale. In un documento diffuso ieri, i giuristi, presieduti da Marco Pelissero, sostengono in premessa che “le norme che intervengono in materia penale sono espressione di un ricorso al diritto penale in chiave simbolica di rafforzamento della sicurezza pubblica che, assunta ad oggetto diretto della tutela penale, implementa una linea di politica criminale che prosegue quella già tracciata dall’avvio della legislatura”. Poi delineano alcuni punti di particolare criticità.

I punti di criticità del ddl sicurezza

Il primo: “il disegno di legge inasprisce il trattamento sanzionatorio di alcuni reati a tutela delle forze dell’ordine (violenza, resistenza, lesioni personali)” “ribadendo ancora una volta l’illusoria vocazione generalpreventiva, secondo la quale all’aumento delle pene edittali corrisponda una maggior efficacia deterrente dei precetti”. Inoltre “desta forti preoccupazioni l’utilizzo dello strumento penale in funzione repressiva in contesti complessi che distolgono l’attenzione rispetto ai fattori economici e sociali che proprio in quei contesti interagiscono. L’introduzione di un nuovo reato, al fine di contrastare il pur deprecabile fenomeno dell’occupazione arbitraria di immobili destinati a domicilio altrui, interviene su situazioni di marginalità sociale che si vorrebbero affrontare inasprendo la disciplina penale vigente che già oggi, peraltro, consente di sanzionare alcune delle condotte toccate dal disegno di legge”. Ugualmente, “l’inasprimento delle pene nel delitto di accattonaggio (reclusione da uno a cinque anni invece della reclusione fino a tre anni), finisce per avere effetti pesanti su contesti sociali connotati da povertà”. Per gli esperti poi l’“ampliamento e inasprimento del controllo penale intervengono anche in relazione alla repressione di forme di manifestazione del dissenso”.

Come è noto la trasformazione della condotta di blocco stradale si trasformerebbe da illecito amministrativo a delitto, con un consistente aumento di pena, se il fatto è commesso da più persone riunite; c’è altresì l’introduzione della circostanza aggravante dei delitti di violenza o resistenza a pubblico ufficiale, quando i fatti sono commessi “al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica”. Per i professori di diritto penale se è vero che “In un contesto democratico, il dissenso può talvolta esprimersi attraverso condotte violente che integrano fattispecie di reato e in quanto tali vanno represse” tuttavia “contrasta con i principi del diritto penale del fatto e di offensività la repressione più severa di reati solo perché alla base hanno una motivazione di contestazione politica”.

Quanto alle scelte di incriminazione, “non può che esser espresso un giudizio fortemente critico sulle due nuove fattispecie di rivolta, rispettivamente nel contesto degli istituti penitenziari e dei centri di permanenza e rimpatrio per immigrati irregolari”. Il testo approvato dalla Camera dei Deputati attribuisce poi rilevanza anche alle condotte di resistenza passiva. “Si tratta – si legge ancora nel documento – di una pericolosa estensione del controllo penale che finisce per coprire anche le condotte di resistenza passiva, incriminando così ogni atto di ribellione, non connotato da violenza o minaccia – quali, ad es., il rifiuto del cibo o dell’ora d’aria – ma che impedisca il compimento di atti d’ufficio di gestione dell’ordine e della sicurezza (terminologia amplissima, che può includere qualsiasi ordine impartito ai detenuti)”. Il giudizio negativo “si aggrava quanto più si considera la situazione emergenziale di sovraffollamento nei centri per migranti e nelle carceri che la l. 8 agosto 2024, n. 112 di conversione del d.l. n. 92/2024 su “Misure urgenti in materia penitenziaria” non ha affatto contribuito ad allentare”.

Nel complesso, conclude il direttivo “le norme del disegno di legge che intervengono sulle disposizioni penali destano forte preoccupazione, in quanto l’ampliamento del ricorso al diritto penale confligge con i principi di proporzionalità e sussidiarietà ed opera in funzione essenzialmente simbolico-comunicativa, senza che ciò significhi assicurare strumenti dotati di maggior efficacia nella tutela della sicurezza individuale e collettiva”.

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