L’Ue cerca un contentino per blindare von der Leyen e giubilare la Meloni

RMAG news

Il Ppe si sbraccia e si agita per blindare la candidatura di Ursula von der Leyen alla ripresidenza della Commissione europea. Per prima cosa, in attesa della temuta cena decisiva, si lancia in un corteggiamento serrato volto a rabbonire la Giorgia furiosa. Manfred Weber, che non ha mai fatto mistero della sua opzione a favore dell’apertura a destra, non si risparmia: “L’Italia è il terzo Paese più grande d’Europa, membro dell G7, una delle più grandi economie. È necessario trovare modo per includere la posizione italiana nel processo decisionale. Sono d’accordo con il presidente Mattarella: nella Ue non si può prescindere dall’Italia”.

Già, perché non c’è solo l’esigenza di trovare voti per mettere Ursula al sicuro dagli agguati di Strasburgo. C’è anche il pronunciamento di Mattarella, che nelle cancellerie europee e nel Ppe incide più delle sfuriate in aula della premier. Quella laconica dichiarazione che il presidente, nel pranzo con il governo di mercoledì al Quirinale, ha accettato di far filtrare. “Non si può prescindere dall’Italia”, è stata un sostegno più che prezioso, e infatti insperato, per la premier messa all’angolo. Infatti a inviare segnali di pace non c’è solo Weber ma anche il premier polacco Tusk, che dieci giorni fa, nella giornata nera del vertice informale andato a vuoto, aveva invece fatto catenaccio con Macron e Scholz per tenere fuori dalla porta la presidente dei Conservatori. “È tutto un malinteso e nessuno rispetta più di me la presidente Meloni”, corregge ora: “La posizione comune dei tre gruppi maggiori serve a facilitare il processo. Ma non c’è Europa senza Italia e non c’è decisione senza Meloni”.

In realtà il terzo gruppo per numero di deputati a Strasburgo sarebbe proprio quello di Conservatori, anche se non è detto che lo rimanga a nulla. Ieri i polacchi del Pis davano esattamente fifty-fifty le possibilità di restare nell’Ecr o di levare le tende. Senza quei 20 europarlamentari, i Conservatori scivolerebbero dal terzo al quinto posto e per Meloni sarebbe un brutto colpo. “I polacchi stanno solo trattando per ottenere posti”, minimizzano da FdI ma chissà se è vero. Di certo Orbàn sta lavorando per dar vita a un terzo gruppo di destra e la sirena, nonostante le posizioni opposte sulla guerra in Ucraina, potrebbe allettare Morawiecki. Persino Scholz apre uno spiraglietto a Giorgia: “Decideremo con i nostri buoni amici europei”, bofonchia.

La premier italiana resta abbottonata. Non si trova in posizione facile. Nel merito potrebbe dirsi più che soddisfatta per quanto riguarda la linea politica. La lettera sull’immigrazione di von der Leyen combacia perfettamente (e consapevolmente) con le sue posizioni. Il problema non è come possa votarla FdI ma come possa farlo il Pd, che infatti soffre molto più di quanto non dia a vedere. Discorso identico sul fronte del Green Deal: si tratta di una retromarcia appena mascherata che va benissimo a FdI mentre non si capisce come possano accettarla i Verdi tedeschi, quelli italiani essendo già decisi a non farlo. Più spinosa la questione del commissario. Per lavare l’onta dell’umiliazione subìta negli ultimi due giorni Meloni ha bisogno di un commissario molto pesante, con svariate deleghe economiche che sia anche vicepresidente esecutivo. I popolari lo avrebbero già promesso ma secondo il Financial Times allo stesso posto mira anche Macron. Si ripropone così l’ormai eterno duello tra Roma e Parigi. Se si sbloccherà, la formula per aggirare il veto sui Conservatori dovrebbe far leva sul doppio ruolo di Giorgia Meloni. Nessun problema nelle vesti di premier dell’Italia, anzi sotto col tappeto rosso. Sottoscala invece per la stessa Giorgia ma nella sua funzione di leader dei Conservatori. La felice ambiguità potrebbe essere utilizzata da tutti per cantare vittoria.

Solo che l’incidente italiano non è affatto il solo nodo e dunque tutto rischia di tornare in altissimo mare. Il Pse, per raggranellare voti, starebbe provando a recuperare il premier polacco Fico, sospeso per posizioni di fatto molto vicine alla destra, con cui in casa è alleato, e filorusse. Ma il Pd, già tutt’altro che contento, è fermamente contrario a riprendere lo slovacco, che peraltro punta i piedi contro la candidatura di Costa per il Consiglio e di Kallas per l’Alto commissariato agli Esteri. Ma neppure i popolari hanno ancora davvero accettato Costa, soprattutto perché non è stata formalizzata con chiarezza la regola dell’alternanza alla guida del Consiglio che reclamano. Senza contare il problema dei Verdi, che i socialisti vogliono come alleati e i popolari assolutamente no. Insomma, a 10 giorni dalla cena del primo fallimento, la matassa europea è ancora tutta sbrogliare.