Manovra in alto mare: a Meloni mancano 10 miliardi e la maggioranza litiga

RMAG news

La trattativa, o più precisamente il braccio di ferro, nella maggioranza andrà avanti fino all’ultimo secondo. Cioè fino a questa mattina, perché il tempo è ormai agli sgoccioli. Il documento programmatico di bilancio, con tanto di specifiche sulle voci di entrata, deve essere approvato oggi, in modo da poter essere inoltrato a Bruxelles. Sulla base del Documento stesso, nel giro di una settimana, verrà finalmente messa nero su bianco la Legge di bilancio. Dovrebbe essere inoltrata alle Camere lunedì prossimo. Poi la discussione partirà quest’anno dalla Camera e nel monocameralismo alternato che si è ormai affermato “per prassi” il Senato si limiterà a vistare e controfirmare.

Ma il piatto piange e l’accordo latita

Servono 25 miliardi, ce ne sono 16. Sul dove trovare il non poco che manca Fi e Lega si azzannano e i ministeri puntano i piedi. Una parte sostanziosa della cifretta assente dovrebbe arrivare proprio dai vari ministeri: l’eterna ed eternamente insufficiente “spending review”. Nel weekend e anche ieri è stata una processione di colleghi quella che si è recata di persona, come Salvini, dal ministro dell’Economia o si è comunque fatta sentire per far sapere che da quelle parti c’è ben poco da spremere. I comuni poi, che dovrebbero stringere anche loro i cordoni della borsa, ritengono che anche quel poco sarebbe per loro troppo.

Conclusione: i 3 miliardi che Giorgetti vorrebbe ricavare dal risparmio dei colleghi probabilmente non arriveranno. Ce ne saranno un paio, e anche quelli con rumorose proteste e altissimi lai. E il resto. Be’ il resto dovrebbe arrivare almeno in parte dal contributo eccezionale che è pietra dello scandalo nella maggioranza. A sborsare dovrebbe essere chi vanta più proventi negli ultimi anni. Le banche non figurano tanto quest’anno quanto in quelli immediatamente precedenti. Dunque qualcosina si ritiene possano mettere e soprattutto lo ritiene la Lega che martella. Crippa, il vicesegretario, insiste: “I sacrifici necessari sono per le banche e non solo per loro ma per tutti quelli che hanno guadagnato di più”. È la stessa posizione realista espressa una decina di giorni fa dal ministro Giorgetti.

Peccato che sia stato smentito e richiamato all’ordine dalla premier, che vuole che sia messa al bando anche solo la parolaccia “sacrifici”, e Fi è sul sentiero di guerra decisa a fare scudo alle banche senza mollare di un millimetro. Non siamo mica comunisti! “Non ci saranno tasse sugli extraprofitti per le banche e io poi nemmeno so cosa sia un extraprofitto”, ripete da Berlino Tajani. Gli azzurri, bontà loro, sono però disposti a concordare con le medesime banche un “meccanismo di solidarietà” di loro gradimento. Ma l’Abi per ora almeno oltre la disponibilità a posticipare di un annetto i crediti non va.

Resta in campo l’ipotesi di un contributo dalle aziende che dal Covid in poi hanno realizzato ricavi eccezionali, dei quali peraltro hanno reinvestito in media solo il 20%, a fronte di un impoverimento generale della stragrande maggioranza negli stessi anni. Ma anche lì oltrepassare la barriera di Fi, solida quasi quanto quella a difesa delle banche, non sarà facile. Sembra invece scomparsa dai radar una possibilità che era stata, almeno a parole, accettata anche dal presidente di Confindustria Orsini, quella di sforbiciare le Tax Expenditures, la massa di sgravi fiscali che, sommata, vale qualcosa come 120 miliardi. Orsini aveva fatto capire che gli industriali non si opporrebbero a un taglietto pari a una decina di miliardi e chissà se oggi quella voce dimenticata rispunterà nel cdm.

Questi però sono problemi dell’oggi e risolverli, come in qualche modo alla fine succederà, non mette neppure un po’ al riparo da quelli di domani, dove per domani si intendono i prossimi due anni e non un nebbioso e distante futuro. Il patto di stabilità consente misure una tantum a copertura del disavanzo, il che però significa che i tormenti di quest’anno si ripeteranno amplificati e probabilmente molto amplificati nei prossimi.

Le misure una tantum non possono però essere adoperate, a norma di nuovo patto, per coprire gli aumenti di spesa. Insomma, nei prossimi anni serviranno nuove misure una tantum per rientrare di 13 miliardi all’anno sul deficit e misure strutturali per la spesa. Con una maggioranza così divisa e incapace di mettersi d’accordo neppure su decisioni minime come il taglio delle spese di alcuni ministeri o un contributo da parte di chi ha alle spalle profitti eccezionali non sarà uno scherzo. Sarà tutt’altro: una tragedia.

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