Matilde sei mitica: Serao protagonista nel romanzo giallo “Luci sulla città” di Massimiliano Virgilio

RMAG news

Ci voleva un vicolo abbandonato e un gruppo di ragazzi per rendere Giustizia: di tutti i faccioni dipinti e stampati e spalmati sui muri di Napoli, manco fosse uno Stato autoritario, degli idoli mancava lei, Matilde Serao. Lì dove una volta era tutto sventramento e oggi è tutto una friggitoria, pizzetteria, aperitivi, cuozzetielli e b&b, un murale di Trisha Palma voluto dall’Associazione Vicolo della Cultura nei pressi del Duomo di Napoli ha riprodotto il suo volto, quello de “A’Signora” che con Giancarlo Siani resta tra le traiettorie imprescindibili e inevitabili da incrociare quando si tratta di giornalismo a Napoli – e va bene che a chi interessa più dei giornali – e che nell’ultimo romanzo godibilissimo di Massimiliano Virgilio, Luci sulla città (Feltrinelli) diventa protagonista.

Serao ha fissato un modello: quello della giornalista che scende tra bassi e fondaci a raccontare Il ventre di Napoli, un’opera ancora oggi punto di riferimento quando si parla della città. Nove puntate su Il Corriere di Roma – che chiuderà in questi termini: “Non abbandonate Napoli, ora che il colera è finito. Non la abbandonate di nuovo, presi dalla politica e dagli affari, non lasciate che agonizzi di nuovo questo paese che tutti dobbiamo amare. Fra le belle e le buone città d’Italia, Napoli è la più gentilmente bella, la più profondamente buona. Non la lasciate povera, sporca, ignorante, senza lavoro, senza soccorso: non distruggete, in lei la poesia d’Italia” – a cui ne aggiungerà 20 anni dopo altre tre. A finire sventrato, tagliato dalla gola all’inguine, le budella all’aria aperta, riverso in una pozza di sangue ai Ventaglieri, nel romanzo di Virgilio è un uomo, un socialista.

Il giallo dell’estate

“Un uomo era morto, tagliato in due come il ventre di Napoli dal Rettifilo, che il governo aveva voluto per risanare la città dopo l’epidemia di colera del 1884. Eppure, come il medico che si era occupato di dissezionare il cadavere di Montanari dimostrava con quelle maldestre incisioni, la città non si era lasciata salvare”. E Serao indaga, diventa grossomodo quello che è diventata la prima donna avvocato d’Italia nella fortunata serie La legge di Lidia Poët – familiari infuriati – così come era successo ad Edgar Allan Poe nel film The Pale Blue Eye prodotto da Christian Bale. La prima donna a fondare un giornale, la prima a dirigerlo anche se non ufficialmente diventa protagonista, è fiction.

Virgilio nel suo progetto pop incrocia le fonti storiche, stralci dal Ventre e dalla biografia, in un feuilleton a tratti pittoresco e a tratti gotico. Affonda la focalizzazione nella città, più attuale di quanto possa sembrare. E quindi la Marinoni sbuffa, il viceproto si rovina la vita e ne sogna una nuova con il lotto, gli strilloni si lanciano per le strade lerce a offrire le notizie che la gente voleva leggere – Il Mattino a fine anni Novanta vendeva ancora più di 100mila copie, a dicembre 2017 neanche 55mila, compensati falsamente dall’online -, l’ex direttore Gandolin continua a sussurrare nelle orecchie de A’Signora come un Grillo Parlante, l’interesse verso l’entroterra del Regno emerge come nel romanzo La conquista di Roma, il marito Eduardo Scarfoglio puntualmente assente è nientedimeno in partenza con l’amico Gabriele D’Annunzio sullo yacht Fantasia, chiamato sardonicamente come il romanzo di Serao che prima di conoscere e sposare il giornalista aveva demolito e stroncato in una critica.

A che cosa serve ancora il giornalismo

È un romanzo anche di uomini prepotenti, che riflette sul machismo delle relazioni e della società, del dominio sui corpi delle donne. Ed è anche un romanzo sul giornalismo, praticato direttamente dall’autore. Sul suo ruolo, la sua incidenza sulla realtà, la sua influenza sulle persone. Mestiere bistrattato, anche adulato, depositario di una grandeur trapassata, vi si legge un passaggio fulminante su quello che è diventato troppo spesso: “Succedeva così: diventavi un abile cronista perché sapevi raccontare meglio di altri, sui giornali che leggeva l’élite, la realtà di Checchina e di chi ogni giorno aspettava la tramvia. In virtù di questa abilità la tua posizione sociale cresceva, ma così aumentava anche la distanza dalla quotidianità di tutte le altre persone che non appartenevano all’élite, a poco a poco diventavi tu stessa parte dell’élite, e nulla poteva risolvere questo paradosso se non il tuo tentativo di ricordare ogni giorno quanto fortunata tu non fossi a non dover camminare a piedi per miglia e miglia, a non dover lavorare per dodici ore al giorno, a non dover aspettare il tram a vapore sotto la pioggia battente o il sole cocente”. Altro che fondaci e bassi.

Serao morì scrivendo, nella sua casa alla Riviera di Chiaia. Ribadisce che finché le cose, i fatti, gli episodi, le opinioni, i fatterelli, i pettegolezzi, le grandi storie non vengono raccontati, in qualsiasi modo, non esistono. Chi scrive sa che si scrive anche per entrare nelle cose, capirle, scoprirle, ascoltarle, interrogarle. E infine scolpirle, restituirle in una forma, fissarle in un contesto. Può fare ancora la differenza se un governo ferito da videomaker accusa senza sentire senso del ridicolo dei giornalisti di infiltrazioni per aver ripreso saluti e altre nostalgie fasciste nella sezione giovanile di Fratelli d’Italia. La scoperta dell’acqua calda, certo, ma questo mestiere resta riuscire ad accendere una luce.

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