Meloni e il vertice di maggioranza, con Tajani e Salvini solo risse e tante chiacchiere

RMAG news

La sola emozione, nel vertice di maggioranza più atteso e inutile dell’anno, lo riserva la notizia falsa della morte di Umberto Bossi. Salvini si precipita fuori dalla stanza dove sono riuniti lui, Meloni, Tajani e Lupi come leader di Noi moderati. Si attacca al telefono. Parla direttamente con il presunto trapassato, rientra e rassicura tutti. Capitolo chiuso. Il problema è che gli altri, e sono tanti, non sono quasi stati neppure aperti. O almeno lo stato dell’arte, dopo tre ore di discussione, è rimasto identico a quello dell’esordio.

La premier, peraltro, non voleva scendere nei particolari su nessuno dei troppi dossier aperti. Prioritaria era la questione di metodo, formula elegante per definire la richiesta tassativa e imperativa di farla finita con frecciate e polemiche che restituiscono l’immagine di una maggioranza a brandelli. Certo, ci sono tensioni sulla manovra, e come potrebbe essere altrimenti essendo le tasche e le casse vuote? Ma la reazione deve essere sobria e decisa: andremo avanti con serietà ed equilibrio sulle nostre priorità. E certo, ci sono punti di vista diversi su molto, se non proprio su tutto. Ma il messaggio che deve arrivare agli elettori e ai cittadini in genere è che quelle distinte identità non sono un limite ma una ricchezza dal momento che la destra è da sempre capace di comporle e ricomporle.

Mettere così le cose, però, significa saltare a pie’ pari il merito e le divisioni concrete, permettendo tutt’al più di enunciarle, come Tajani non rinuncia a fare, ma senza il sogno proibito di risolverle. Così, il comunicato che arriva alla fine del vertice è un capolavoro ineguagliato di reticenza: enunciazione dell’ovvio e forse peggio. E non basta neppure questo perché il tentativo di accumulare polvere sotto il tappeto rende inevitabile che qualcosa invece sfugga. L’incidente capita su uno dei tempi più delicati, la politica estera. Bisogna sbandierare la “totale sintonia su tutti i dossier inclusa la politica estera” ma il solo modo per quadrare il cerchio è tenere quei dossier ben chiusi senza una parola sul loro contenuto. La Lega, invece, anticipa il comunicato di Chigi con una sua versione del comunicato che aggiunge qualche paroletta non precisamente insignificante. Ribadisce infatti la contrarietà “a ogni ipotesi di interventi militari fuori dai confini ucraini”. Questione di un quarto d’ora poi il Carroccio corregge, ammette di aver inviato “per sbaglio” una prima versione poi corretta però solo per problemi di stile, non di contenuto.

Non mente o non del tutto il Carroccio. L’Italia è uno dei pochi Paesi che non ha dato il via libera all’uso delle armi che fornisce anche per colpire, sia pur solo “difensivamente”, il territorio russo. A porte chiuse il passaggio reclamato da Salvini era probabilmente stato accolto da tutti. Ma una cosa è dirlo in separata sede e tutt’altra, per quanto attiene alle relazioni con gli alleati su entrambe le sponde dell’Atlantico, ufficializzare la posizione in modo così stentoreo. Per il resto, il comunicato finale si limita a tradurre pedissequamente l’invito della premier. Viene ribadita “l’unità della coalizione”, riaffermata l’intenzione ferma di “continuare il lavoro per tutta la legislatura portando a compimento le riforme e attuando il programma”.

Tra le righe: l’esistenza di differenze è riconosciuta ma solo per ricordare che la destra ha da sempre una mirabile “capacità di trovare sempre la sintesi tra le diverse identità”. Insomma, niente di men che vaghissimo, e sulla manovra lo stile non cambia. Sarà “seria ed equilibrata” confermando alcune priorità. Tra cui figura al primo posto il taglio delle tasse e non appaiono proprio le pensioni. Forse il solo aspetto significativo di un comunicato che per il resto è quasi una presa in giro. Subito dopo il cdm, parte ufficializzando l’indicazione di Raffaele Fitto come commissario ed è plauso generale. Per il resto la premier sfiora il comizio, esaltando i risultati raggiunti, che naturalmente “giudicheranno gli elettori”.

La premier ripete, come già l’anno scorso, che “la stagione dei bonus e dei soldi buttati dalla finestra è finita”. Quale invece stia per cominciare non è altrettanto chiaramente detto. Persino sull’assegno unico resta un margine di ambiguità perché il governo non intende toccarlo, dunque le famiglie non hanno nulla da temere. Però “qualche funzionario Ue” invece quella perfida intenzione secondo la presidente la cova, altrimenti perché mai la Ue insisterebbe per pagare l’assegno unico anche agli immigrati che in Italia pagano le tasse? Sembra tanto un mettere le mani avanti e un indicare da subito l’alibi. E il resto, cioè, Rai, concessioni balneari, autonomia differenziata, candidature per le regionali, pensioni, Ius Scholae e appunto armi all’Ucraina tanto per fare un non esaustivo primo elenco? Meglio glissare o la “totale sintonia” su tutti i dossier diventa una barzelletta.

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