Migranti, l’Europa chiede hub fuori dai confini comunitari

Migranti, l’Europa chiede hub fuori dai confini comunitari

Il Quotidiano del Sud
Migranti, l’Europa chiede hub fuori dai confini comunitari

L’Europa chiede hub per migranti fuori dai confini. Finisce in rissa la Plenaria a Strasburgo. Von der Leyen a muso duro contro il primo ministro dell’Ungheria. E lui attacca la Salis: «Lei non può parlare di stato di diritto visto che picchiava la gente per bene in strada»

Si chiamano “hub di rimpatrio”, sono i campi per i migranti da organizzare nei paesi fuori dai confini dell’Unione europea. Alcune fonti diplomatiche li chiamano “punti di raccolta prima del rimpatrio nel paese di origine”. Altri ancora abbelliscono il tutto con un gergo paludato come “soluzione innovativa” evocativo, tra l’altro, di altri camuffamenti lessicali che hanno coperto orrori e tragedie. E chi può dire di no ad una “soluzione innovativa”? . Insomma, tante Albanie al confine dell’Europa sulle orme di quel modello Meloni che Uk, Germania, in parte anche la Francia dicono di “studiare con molta attenzione”.

Il presidente di turno dell’Unione Viktor Orban ne ha parlato ieri nel suo intervento programmatico davanti all’eurocamera a Strasburgo. Intervento “vissuto” in maniera così provocatoria dalla maggior parte dell’emiciclo che poi l’aula s’è trasformata in un ring con duelli frontali tra il premier ungherese e von der Leyen, poi con il leader dei Popolari europei Manfred Weber e persino tra Orban e Ilaria Salis. Uno scontro durissimo, senza sconti (Renew ha chiesto ufficialmente di congelare il potere di voto dell’Ungheria) e con pochi precedenti. Orban ha però fatto letteralmente saltare sulle sedie la maggioranza degli eurodeputati quando ha spiegato che gli hot spot fuori dalla Ue sono l’unica soluzione di fronte al fenomeno dell’immigrazione clandestina che “sta portando Schengen al fallimento e alimenta la violenza contro le donne, l’antisemitismo e l’omofobia”.

La definizione più incendiaria e illiberale che un leader europeo possa fare con l’aggravante di averla pronunciata nella solennità dell’aula. Gli “hub di rimpatrio” (return hub) sono oggetto di una lettera condivisa da quindici paesi membri. L’iniziativa è della Danimarca a cui si sono associati i ministri dell’Interno di Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Grecia, Italia Cipro, Lettonia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Austria, Polonia, Romania e Finlandia.
Il documento sarà discusso per la prima volta oggi dai ministri dell’Interno dei 27 riuniti a Lussemburgo. Il concetto degli hub di rimpatrio potrebbe anche infilarsi nelle conclusioni del Consiglio europeo della prossima settimana (17 e 18 ottobre). Molti Stati firmatari sono convinti che il luogo ideale dove collocare i campi siano i paesi candidati all’adesione. Non a caso ieri Orban nel suo intervento ha fatto un appello “per fare bene e presto nell’allargamento dell’Unione ai paesi dei Balcani che sono in attesa”. A cominciare dalla Serbia per finire con l’Albania. Paesi, soprattutto la Serbia, dove l’influenza russo-cinese è molto forte.

Non ci sono dubbi che l’accordo concluso con l’Albania da Giorgia Meloni sia servito da ispirazione. Anche se l’esternalizzazione della gestione della politica migratoria non è un concetto nuovo. Se ne parlò la prima volta nel 2015; nel 2016 l’Europa siglò il patto con la Turchia (soldi in cambio di campi) per fare da filtro all’esodo siriano. L’Italia aveva già fatto qualcosa di simile con la Libia e ha replicato il modello nel luglio 2023 con la Tunisia. Altri accordi analoghi, siglati con Mauritania, Egitto e Libano. Non è un caso se il primo ministro inglese Starmer sia venuto a Roma a vedere con funziona. E se persino Scholz ha messo sull’aereo qualche decina di afgani non più graditi ospiti in Germania. Dove siano andati ancora non è molto chiaro.

Nella lettera sono menzionati gli “Emergency Transit Mechanisms” (i centri in Ruanda e Niger dove vengono trasferiti migranti vulnerabili dalla Libia sotto un programma dell’Unhcr) come modello di una nuova versione delle piattaforme di sbarco regionali: dovrebbero servire ad “intercettare migranti in alto mare e condurli in un luogo sicuro prestabilito in un paese partner al di fuori dell’Ue, dove potrebbero essere trovate soluzioni durevoli per questi migranti”.
Prima che scoppiasse l’inferno in aula a Strasburgo, l’intervento di Orban ha indicato alcuni focus point: la protezione dei confini esterni; l’immigrazione irregolare che mette a rischio Schengen; la perdita di competitività (“come hanno ben spiegato Draghi e Macron”); la politica climatica “senza una visione industriale nè incentivi e che mette a rischio molti posti di lavoro”; la necessità di allargare i confini della Ue a cominciare dai Balcani. “L’Unione europea deve cambiare e l’Ungheria può essere il catalizzatore del cambiamento” è il vasto programma di Orban. I cui contenuti risuonano sempre nelle parole di Salvini e spesso in quelle di Meloni.

E’ stata Ursula von der Leyen a dare il via al dibattito. A volo rispondere alla lunga serie di provocazioni. “Non ha neppure voluto parlare di Ucraina – sottolinea von der Leyen – forse che il presidente Orban confonde ancora l’invasore Putin con il popolo invaso e che si chiama Ucraina? E’ stata forse data la colpa agli ungheresi quando i carri armati russi sono arrivati a Budapest nel 1956?”. Durissima e spietata la presidente della Commissione Ue: “Lei, presidente Orban, dice di voler proteggere i confini esterni dell’Europa. E allora perchè ha liberato un’intera associazione di trafficanti senza che avessero finito di espiare la condanna? E perchè lascia che la polizia cinese possa operare indisturbata in Ungheria? Perchè andate contro il mercato unico? E a che punto siamo con la lotta alla corruzione nel vostro paese?”.

Il presidente ungherese forse non si aspettava una reazione così organizzata. Da destra i Patrioti battevano le mani. Ma i Conservatori di Meloni erano in evidente imbarazzo. La maggioranza era tutta in piedi. E Left ha iniziato a cantare Bella ciao. Mentre Ilaria Salis spiegava: “La sua presidenza è impropria perchè il suo modello è una tirannia moderna, uno stato etnico autoritario”. E Orban replicava: “Lei non può parlare di stato di diritto visto che picchiava la gente per bene in strada…”.
Alla fine il presidente ungherese ha assunto il ruolo della vittima (“avete cercato lo scontro politico”) e ha avvisato: “In Ucraina stiamo perdendo, la Ue deve ammetterlo e cambiare strategia, schierarsi al fianco del cessate il fuoco”. Gelo. Orban domenica era sul palco di Pontida. Per quando sia amico di Giorgia, si può capire bene perchè quel palco e quell’alleanza di Patrioti sia un dito nell’occhio della maggioranza Meloni.

Il Quotidiano del Sud.
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