Mio figlio con problemi di salute mentale in carcere stordito dai farmaci

RMAG news

Sono il padre di un detenuto del carcere di Trapani, dove mio figlio è stato trasferito a inizio giugno da Enna per sovraffollamento. Dalla padella alla brace perché, a quanto leggo dall’ultima visita di Nessuno tocchi Caino, la stessa situazione si ripete nella Casa circondariale di Trapani. Sono sconcertato. A mio figlio è stato diagnosticato un ritardo mentale da due perizie del tribunale di Siracusa, le quali sostenevano la necessità di un ricovero presso una Comunità o in alternativa una detenzione domiciliare per essere seguito dal Centro salute mentale di riferimento.

Abbiamo proposto ricorso al tribunale di Sorveglianza di Caltanisetta per ottenere la detenzione domiciliare per motivi di salute. Nella sentenza di rigetto i giudici hanno scritto che nonostante ci fosse un “granding suicidario medio” era sottoposto a cure farmacologiche, cosa che le perizie di Siracusa sconsigliavano fortemente. Invece, “Brintellix 15 gocce al dì; Trittico 25 gocce; Lexotan 30 gocce”, in tutto 70 gocce di tranquillanti che riducevano mio figlio per gran parte delle giornate in uno stato di stordimento e sonnolenza continua, con una percezione della realtà distorta. Abbiamo sporto denuncia ai Carabinieri per capire come mai le perizie dei due periti d’ufficio nominati dal tribunale di Siracusa e le nostre perizie di parte sono state ignorate – ribadisco – per ben due volte.

Nella decisione di rigetto del tribunale di Caltanissetta spiccano due anomalie abbastanza inconsuete. La prima è che il tribunale si basa su una “informativa” della questura di Siracusa secondo la quale il domicilio indicato non sarebbe una residenza idonea. Peccato solo che, pur essendo una casa di campagna, è effettivamente il luogo dove mio figlio ha la residenza e dove per ben 13 mesi di arresti domiciliari i Carabinieri sono venuti a fare i controlli di rito trovando sempre mio figlio e senza che ci sia mai stata una violazione alle prescrizioni imposte. La seconda incongruenza, mi pare, è che la figura del magistrato di Sorveglianza e quella del presidente del Tribunale di sorveglianza siano nel caso di mio figlio la stessa persona, quando di norma dovrebbero essere due distinti magistrati. Ragion per cui le istanze presentate sono state rigettate.

La stessa Azienda sanitaria provinciale di Enna, rispondendo ai quesiti posti dal tribunale di Sorveglianza di Caltanisetta, indicava per ben due volte di sottoporre mio figlio a perizia per accertarne la compatibilità o meno con il regime carcerario. Così ha scritto: “riguardo al quesito posto nella rinovellata nota di codesto ufficio, si precisa che questo servizio ha competenze clinico-diagnostiche, pertanto ai fini della valutazione sulla incompatibilità con l’attuale misura custodiale, necessita di eventuale indagine peritale volta a verificarne le condizioni”. Cosa che naturalmente né la direzione sanitaria del carcere di Enna né il tribunale di Sorveglianza di Caltanisetta hanno mai provveduto a fare.

Abbiamo ripresentato al magistrato di Sorveglianza di Trapani la stessa istanza di detenzione domiciliare, richiesta di permesso premio, la legge 199 del 2010, cosiddetta “svuota carceri”, visto che ormai di pena residua da scontare a mio figlio rimangono solo 7 mesi, ben al di sotto dei fatidici 18 mesi. Ma anche da Trapani abbiamo ottenuto un rigetto: la inammissibilità della richiesta perché manca ancora la relazione di sintesi, che dovrebbero aver fatto ma ancora non abbiamo. Relazione di sintesi in notevole ritardo, dopo 10 mesi trascorsi a Enna, non si capisce se sia voluto o meno da parte della casa circondariale. Il nostro avvocato ha sollecitato con delle Pec di avere al più presto il verbale di chiusura di detta relazione ma unica risposta che abbiamo ottenuto è stato il silenzio totale dell’aerea educativa di Enna. Sarà la normalità?

Mi chiedo come sia possibile tenere un soggetto con un ritardo mentale in un posto sovraffollato quando avrebbe il diritto di uscire per essere curato adeguatamente in una comunità apposita. Il trasferimento al carcere di Trapani rende poi le nostre visite e i colloqui ancora più difficoltosi per la notevole distanza dal luogo di residenza e di lavoro della famiglia. Un lungo viaggio davvero: ci vogliono sei ore in auto per andare e altre sei per tornare. Il trasferimento a Trapani lo abbiamo vissuto come una punizione nei nostri confronti e nei confronti di nostro figlio, un soggetto fragile che non ha mai creato problemi in tutti i suoi mesi di detenzione.

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