Nordio e le sue riforme per classi sociali: “rivoluzione” per sindaci, pene maggiori per gli “avversari” del governo

RMAG news

Vorrei capire perché è delitto omettere un atto dell’ufficio che vada compiuto senza ritardo in alcuni settori della p.a., giustizia, igiene e sanità, sicurezza pubblica, ordine pubblico (art. 328, co.1, c.p.). Omettere senza volontà di recar danno, anzi anche se un danno non c’è. Omettere in modo anche non intenzionale o finalizzato. E perché, invece, se si costruisce un atto della p.a., un provvedimento, allo scopo di danneggiare un terzo o di favorirlo illecitamente e si cagiona in tal modo intenzionalmente un danno, questo è penalmente lecito, dopo l’abrogazione dell’abuso.

Attenzione: se chi omette vuole danneggiare un privato o un terzo è già esente da pena, ma gli “conviene” che sia così, perché ciò rientrerebbe nell’area protetta dell’abuso d’ufficio. Bisogna omettere dannosamente per essere liberi da vincoli penali. Invece, se si omette solo per disobbedienza, scatta il delitto. Ecco, ho provato a capire la logica di Babbo Nordio (lo immagino qui con riguardo al suo tratto quasi paterno, legato alla esperienza e competenza nel settore), che da anni meditava la sua rivoluzione della giustizia a favore dei sindaci, ma poi anche dei colletti bianchi così spaventosamente turbati da misure cautelari avventate, processi inutili e pubblici ministeri deviati. E mi sono convinto che capire questa logica è importante, perché va ben oltre la portata di questi reati “minori” dei pubblici ufficiali.

Le ha meditate per anni l’abrogazione e le sue conseguenze. È un esperto davvero tetragono a ogni critica. Proviamo per questo a dare al suo posto le risposte che lui non ci ha mai dato, se non in esternazioni saltuarie, puntiformi, disorganiche. Non c’è nessuna contraddizione in questo assetto normativo. È tutto perfettamente coerente. Gli abusi d’ufficio sono depenalizzati non perché leciti, ma per impedire indagini dannose e ingiuste distorte dalle Procure. È una ragione politica, non di giustizia sostanziale e retributiva. Le omissioni, invece, offendono solo gli interessi della pubblica amministrazione, e basta che li mettano in pericolo. Ci sono solo interessi pubblici in gioco. Atti da compiere senza ritardo. È un’area differente di tutela. Potrebbe essere depenalizzata anch’essa, ma se rimane, conserva una sua logica indipendente.

Eppure, incalza la ragione, come è possibile che convenga omettere in modo pregiudizievole per essere liberi dal reato di omissione? Infatti, l’approfondimento lesivo della condotta la fa entrare in un’area protetta! È come sanzionare penalmente lo stato di ebbrezza alla guida, per poi essere inviati davanti al giudice civile se si dovesse cagionare un incidente mortale. Babbo Nordio potrebbe osservare che non è vero, perché se da una omissione volontaria come quelle dell’art.328 c.p. deriva come conseguenza non voluta la morte di un uomo, si configura il reato di cui all’art.586 c.p. (morte o lesione come conseguenza di altro delitto). Dunque, la tutela della vita non manca mai. È la tutela dei diritti dei cittadini che vengono coinvolti da provvedimenti della p.a. che è depotenziata, semmai. Solo questa.

Tutto chiarito dunque? Non ci pare. La tutela della vita ci sarebbe comunque, con il reato di omicidio colposo. È la discontinuità interna tra la fattispecie maggiore abrogata e quella minore rimasta a rendere quest’ultima impossibile: un reato che se cresce in offensività diventa lecito non s’era mai visto. Anziché in termini lesivi, andrà interpretato come una contravvenzione? Per capire meglio questa filosofia della discontinuità nella tutela bisogna entrare nel mondo di Babbo Nordio. Amministratori pubblici e privati vanno liberati dal peso e dall’angoscia di indagini, salvo che siano in gioco reati davvero pesanti. L’omissione è reato minore, che non fa paura e non è strumentalizzabile a fini di indagine. Diciamo che ci sono contraddizioni secondarie nel disegno di fondo. Questo disegno, invece, intende offrire una giustizia dal volto umano per gli amministratori non corrotti. Dov’è che si smarriscono le preoccupazioni nella tutela? È sul versante di diritti dei cittadini, di quelli vessati e discriminati, oppure delle disonestà del soggetto pubblico, che usi l’apparato per interessi privati.

Ma qui o subentrano concussioni, peculati o altre fattispecie maggiori, oppure c’è uno sfoltimento e il penale si ritira. Non è oggetto della politica di governo occuparsi dei diritti dei cittadini coinvolti in queste condotte abusive. C’è una logica “liberale” in questo. È liberale chi lascia ai privati l’auto-protezione dei loro interessi, a meno che non siano del tutto fondamentali. Nell’impresa questa logica può manifestarsi in chiave riduttiva in modo più marcato, perché non sono in gioco interessi pubblici di tipo preventivo e organizzativo. Per esempio: si possono diminuire tutte le fattispecie di pericolo, proprie del diritto penale finanziario o dei mercati mobiliari, che non siano dannose. Su questi versanti anche la separazione delle carriere dovrebbe dare risultati di rilievo, impedendo alla radice l’abuso della costruzione di macchine del fango, distruttive di professioni e realtà economiche sane, e della distorsione delle attività produttive con finalità di controllo dell’etica pubblica attraverso il diritto penale. Abbiamo finito qui di descrivere il lato promozionale del programma penale di Babbo Nordio. Comincia ora quello più problematico.

Il fatto è che c’è un penale che riguarda altre classi sociali, altri tipi d’autore, sui quali il governo imperversa con riforme realizzate o progettate, quasi tutte estemporanee, portate avanti con decretazioni d’urgenza: ma non sono iniziative del ministro della Giustizia. C’è tutta una politica penale che è del governo, non del Ministero. Una divaricazione formale. Il decreto anti-rave ha effetti pubblicitari di rilievo (la norma più efficace in due anni, non perché applicata, ma per l’effetto preventivo del fenomeno), ma segue una logica repressiva; il decreto Cutro ha introdotto una pena elevatissima per chi trasporta illegalmente migranti in modo pericoloso e cagionando involontariamente la morte anche di un solo trasportato; il decreto Caivano ha accresciuto le ipotesi di carcere e di Daspo per i minori; dal decreto “Giustizia”, apprendiamo che chi, indagato per certi reati, non collabora, non ottiene neanche la possibilità di accedere a percorsi di giustizia riparativa; la sordità verso chi è in carcere e chiede si allarghino gli spazi di liberazione anticipata si misura quotidianamente; la visione punitivista universale di chi realizza la maternità surrogata, a differenza di chi la sfrutta è un fiore all’occhiello della giustizia meloniana (al momento) progettata.

Ecco qui il dato rilevante. Tutte leggi manifesto. Sul carcere no, l’indirizzo è altro, perché lo slogan è che la pena si deve scontare, dalla prigione non si esce. Ci sono tante micronorme relative al sistema penitenziario. Nessuna, finora, davvero risolutiva. Piccole riforme. Manca il respiro di una visione o di una volontà di governo di affrontare un problema enorme per una cultura di destra.
Il Ministro sostiene genericamente i provvedimenti populisti di destra, che non esprimono la sua politica. Quale è dunque la sua politica? Quella reale e non dichiarata dipende certo dal governo e non dal Ministro. Al momento sembra molto orientata al processo. Separazione delle carriere, intercettazioni, misure cautelari. Nordio vola alto, anche troppo, sopra il diritto sostanziale: è nel processo e nell’ordinamento giudiziario che si annida il male del sistema. Si realizzano mini riforme parcellizzate. L’interrogatorio che precede l’applicazione delle misure cautelari, per esempio: una grande innovazione contro le accuse segrete, le indagini segrete, le prove segrete. Il Ministro si è fatto garante del regolamento dei conti in atto tra politica e magistratura. L’abrogazione dell’abuso di ufficio, che sul piano del diritto sostanziale è inconsistente, va letta tutta in questa prospettiva “istruttoriamente orientata”.

Perché, contestando l’associazione per delinquere, si potevano svolgere intercettazioni anche per l’abuso d’ufficio, altrimenti inibite per limiti di pena della fattispecie. La riforma del traffico di influenze segue la stessa logica. La pretesa dimostrativa che l’influencer abbia finalità economiche e di promozione della commissione di reati da parte di un p.u. con vantaggio indebito, nel contesto di depenalizzazione dell’abuso (tra i possibili reati scopo), riduce il traffico di influenze a poco più di una norma ancillare a indagini sulla corruzione. La finalità processuale resta evidente: il garantismo della fattispecie (art. 346-bis c.p.), molto più tassativa di quella sostituita, ora con la definizione della “mediazione illecita”, è subordinato allo scopo di limitare le indagini, contenerne le potenzialità accertative, non di costruire una norma con un ubi consistam sostanziale.

Ecco, dunque, che – impregiudicato il giudizio sull’indebolimento di alcune indagini – la chiave di lettura diviene piuttosto deludente per il penalista, per il diritto sostanziale. Il tratto che ne emerge è un garantismo processuale, oppure un garantismo dei potenti. Sennonché lo stesso garantismo processuale invocato dovrebbe proiettarsi sugli accertamenti per rapina o per immigrazione, per spaccio o per violenza sessuale? Non pare. Le riforme processuali o gli scopi processuali che abbiamo individuato non riguardano i fatti-reati della maggior parte dei tipi di autore che finiscono in carcere. La selezione di classe dei detenuti ci restituisce un dato per cui solo l’1% dei reati economici è rappresentato tra la popolazione carceraria. Invece, a parte la separazione delle carriere che non ha colore in termini di indagini, ma semmai potrà averne sui criteri di giudizio, le riforme processuali invocate impattano o su qualche indagine di criminalità organizzata, o su processi di colletti bianchi e amministratori. Apparentemente potrebbero riguardare ogni imputato: ma questa è una visione formalistica.

Il garantismo senza aggettivi, né di destra, né di sinistra, appartiene a una visione costituzionale alta, ma non esprime la politica di governo. E Babbo Nordio lo sa. Sembra di trovarsi dentro a un quadro di George Grosz, interprete della borghesia opulenta e decadente al tempo di Weimar. È il dominio della società borghese in doppio petto che assicura una giustizia formalmente uguale e miratamente disuguale per certe classi. La normalizzazione della magistratura si inquadra nel disegno. Che ragionamenti vorrebbe fare un giudice di merito sul reato di omissione o rifiuto di atti di ufficio? Che lo applichi senza vani raffronti con ciò che la politica ha abrogato. Il giudice di merito non fa interpretazioni conformi, le lascia a Corte costituzionale e alle sezioni Unite, che le rivendicano autoritativamente. Dai vertici in giù non si elabora il diritto, ma si applica la legge. Ecco questo è il messaggio finale dei tempi di Babbo Nordio. Certezza e uguaglianza, anche per i disuguali.

Please follow and like us:
Pin Share