Paesi Brics, tra cooperazione e alternativa ecco perché il modello cresce

RMAG news

L’unica cosa che può riscattare l’umanità è la cooperazione.
(B. Russell)

Si svolgerà nella città di Kazan, in Russia, dal 22 al 24 ottobre, il vertice annuale dei Paesi Brics. Essi costituiscono ormai una realtà capace di notevole influenza geopolitica. Stanno crescendo di importanza e riescono a sviluppare un rilevante potenziale di coinvolgimento, che ne moltiplica le energie ed è in grado di determinare importanti mutamenti a livello globale. Si tratta dei Paesi che hanno cominciato a cooperare insieme nel 2009 e che diedero al raggruppamento il nome originario di Bric (dalla iniziali di Brasile, Russia, India, Cina). L’acronimo venne coniato, nel 2001, da Jim O’Neill (analista della Goldman Sachs), il quale, studiando il potenziale di crescita dei Paesi in via di sviluppo, giunse alla conclusione che sarebbero stati quei quattro Paesi a determinare la direzione di sviluppo dell’economia e della politica mondiale nel XXI secolo. Con l’adesione del Sudafrica (2011) venne aggiunta la S finale.

Lo scopo dei Brics

L’impegno comune dei Brics, fin dall’inizio, è stato quello di promuovere “una cooperazione e un dialogo che siano coerenti, programmatici, attivi, aperti e trasparenti”, a beneficio dei Paesi in via di sviluppo, e allo scopo di istituire “un ordine mondiale armonico”, quale garanzia di “una pace duratura e una prosperità diffusa”. La finalità era di cercare di uscire dall’orbita dell’unilateralismo occidentale a predominio statunitense. In 15 anni della loro esistenza i Brics hanno esteso in modo crescente la loro influenza. È stata ufficializzata lo scorso anno l’adesione al Gruppo anche di Egitto, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Etiopia. Il nome, essendo ormai affermato sul piano internazionale, è rimasto invariato.

Il vertice di Kazan, che vedrà la partecipazione delle massime autorità dei Paesi rappresentati e del segretario dell’Onu Guterres, si profila di grande importanza, anche per le aspettative che suscita. Per capire appieno quanto si sta muovendo bisogna tenere conto – come rileva Jurij Ushakov, il diplomatico russo incaricato, per rotazione annuale, di organizzare il summit di Kazan – che il raggruppamento dei Brics “rappresenta il 35,6% del Pil globale, mentre i Paesi del G7 ne rappresentano il 30,3”. E aggiunge che “entro il 2028 la bilancia si sposterà ulteriormente a favore dei Brics: si prevede un 36,6% a fronte del 27,8 dei Paesi del G7”. Il Fmi fa il… contraltare e mette in rilievo che il Pil dei G7 è il 43% di quello mondiale, mentre i Brics si fermano al 29%. Si sente però indotto a riconoscere che “il sorpasso dei Brics ai danni del G7 è un fatto sicuro”. Per non sbagliare, si può fare una media tra i due rilevamenti, che consente di ritenere saliente la crescita dei Paesi in via di sviluppo. Anche perché va considerato che i Brics coprono più di un terzo della superficie terrestre (36%), riuniscono il 45% della popolazione mondiale (3,6 miliardi di persone, mentre i Paesi Nato, tanto per fare un raffronto, ne racchiudono a mala pena 1 miliardo). Inoltre: rappresentano più del 40% del volume globale di estrazione del petrolio, circa un quarto della esportazione di merci a livello mondiale, e hanno una rilevante crescita demografica.

Oltre a tutti questi elementi, ciò che più preoccupa l’Occidente è che i Brics hanno dato vita alla Nuova Banca di Sviluppo e altri strumenti finanziari, come la Riserva contingente di valuta estera, con un volume di risorse di 200 miliardi. Nella dichiarazione di Johannesburg, del 2023, i leader del Gruppo hanno dichiarato apertamente di lavorare per “l’impiego di valute alternative al dollaro”. È facile capire quanto questa tendenza sia dirompente nel contrastare la supremazia monetaria e finanziaria del dollaro (e dell’euro). Per comprenderne gli effetti basti considerare che la Turchia ha fatto formale richiesta di adesione ai Brics: se venisse accolta si tratterebbe del primo Paese Nato. Non è un caso che il… levantino Erdogan cerchi di tenere i piedi in diverse scarpe. D’altronde cresce la tendenza ad aderire ai Brics.

Perché altri paesi vogliono ad aderire ai Brics

A manifestare interesse sono 36 Paesi, 18 dei quali – fra cui Pakistan, Venezuela, Nigeria e Palestina – sono in attesa di approvazione all’ingresso. Non sono solo i dati strutturali che alimentano l’attenzione – e l’attrazione – verso i Brics. C’è anche la componente programmatica e ideale. Il Gruppo agisce evitando forzature, le scelte vengono determinate tramite l’arte del negoziato interno, le decisioni non sono prese a maggioranza ma per raggiunta condivisione, il consenso così ottenuto tempera i possibili contrasti tra Paesi “maggiori” e “minori”. Il tutto si incentra “nell’innalzamento del ruolo dei Paesi in via di sviluppo nella governance globale, ma anche nella condivisione dei valori fondanti dei Brics, tra i quali lo spirito di uguaglianza, di mutuo rispetto, di apertura, di inclusività e di cooperazione costruttiva”.

È evidente che siamo di fronte a novità di rilevante incidenza geopolitica. La prima delle quali è l’affermazione, su scala globale, del multilateralismo, che si sottrae, in forme concrete e coinvolgenti, all’unilateralismo occidentale. Non siamo dinanzi a un’opaca riedizione dei vecchi Paesi non allineati (che comunque non furono una cattiva cosa). Siamo in presenza di Paesi – a partire dalle tre grandi potenze (Cina, India, Russia) – che si “allineano” per un diverso, più equilibrato, sviluppo del mondo. In questo modo i Paesi Brics si creano un grande spazio autonomo all’interno dell’Onu, prendono atto della sua paralisi di fatto nel regolare le dinamiche del mondo e, come consapevoli della sua “irriformabilità”, provvedono in proprio a far sì che i Paesi in via di sviluppo decidano il proprio destino, evadendo dalla gabbia del predominio unipolare. La speranza è che ci riescano.

Di sicuro non sarà una passeggiata. Non solo perché quei Paesi, pur cooperando, hanno interessi e pesi diversi, sebbene accomunati da un orizzonte globale condiviso. L’insidia più grande è rappresentata dalla reazione degli Usa, della Nato e dell’Europa. I primi segnali sono inquietanti. Si cerca di fiaccare la Russia al comodo prezzo, sebbene aberrante, di interposte vittime ucraine; e si sta predisponendo un anello di minacce contro la Cina, considerata la concorrente più temibile. Se si arrivasse all’aggressione in Estremo Oriente, sarebbe una catastrofe per tutti. È da augurarci che il prossimo vertice dei Brics possa compiere passi in avanti efficaci in direzione della cooperazione e della pace fra i popoli.

Please follow and like us:
Pin Share