Parla D’Attore: “La ricostruzione della sinistra non dipende da Renzi”

RMAG news

Alfredo D’Attorre, responsabile Università nella Segreteria nazionale del Partito democratico: L’autunno si prospetta politicamente rovente. Quali le priorità del Pd?
La priorità del Pd è chiara e sta scritta nel mandato che ci hanno affidato gli elettori con le elezioni europee e amministrative: continuare con ancora maggiore determinazione la battaglia di opposizione al governo della destra, facendola diventare progressivamente l’embrione di un progetto di governo alternativo. Sarà un autunno complicato per tante ragioni e noi dobbiamo garantire al Paese ciò di cui ha bisogno: un’opposizione intransigente sui principi e insieme capace di dire all’Italia che un’altra strada è possibile. Una via in grado di tutelare anzitutto ciò che il governo dei sedicenti “patrioti” e “sovranisti” sta buttando alle ortiche: l’unità del Paese, la sua solidarietà interna, tra territori e ceti sociali differenti, e l’interesse nazionale. Se l’aggettivo non fosse stato trasformato in una triste caricatura dalla presidente del Consiglio, direi che, a fronte dei guasti provocati dal governo, l’Italia ha bisogno di un’opposizione patriottica, in grado di restituire ai cittadini la fiducia nel proprio Paese e la speranza che esso può essere altro.

Elly Schlein ha molto insistito sull’importanza dell’essere uniti. Ma cosa differenzia questa sottolineatura dall’annoso e ripetitivo dibattito sul “campo largo”? E in questo campo vorrebbe rientrare Matteo Renzi. Non c’è il rischio di un’ammucchiata respingente?
Vedo che c’è un grande interesse in certi ambienti mediatici ed editoriali a fare di Renzi la questione centrale del futuro centrosinistra. È una questione che non mi appassiona più da tempo, me ne sono occupato con una certa intensità fin a quando è stata rilevante, diciamo fino al referendum costituzionale del dicembre 2016, ma ormai è passato quasi un decennio… Oggi stiamo parlando di una forza elettorale che – considerando i risultati delle europee, in cui si è presentata assieme a +Europa, socialisti e altre sigle, in tutto una mezza dozzina – potrebbe valere attorno all’1%. Certo, anche quell’1% potenziale va considerato con rispetto e io sono d’accordo con la segretaria sulla scelta di rifiutare veti e guardare avanti. Ci confronteremo sui temi programmatici fondamentali e lì si vedrà se un accordo è possibile, rispetto a un progetto che avrà certamente elementi di discontinuità molto profondi rispetto alla stagione in cui Renzi è stato protagonista. Solo chi vuole complicare la costruzione dell’alternativa può trasformare questa questione in un tema centrale.

C’è una questione in particolare a cui il futuro centrosinistra dovrebbe dedicare più attenzione?
Personalmente mi batterò per rendere i temi del diritto allo studio e della difesa dell’Università pubblica centrali nel progetto dell’alternativa. Nel dibattito pubblico italiano non sembra esserci piena consapevolezza di questo, ma sia il posto futuro dell’Italia nella competizione economica globale, sia la possibilità di una maggiore giustizia sociale dipendono dalle scelte che faremo su questi temi. Il governo sta prendendo una strada del tutto sbagliata, dal taglio del fondo di finanziamento ordinario all’ulteriore precarizzazione dei giovani ricercatori, fino alla deregulation a favore degli atenei telematici privati. Gratta gratta, al fondo la destra ha la stessa idea per sanità e istruzione: meno pubblico e più privato. La segretaria Schlein mi pare molto sensibile al tema e siamo d’accordo che in autunno il Pd sarà impegnato a fondo per contrastare questo disegno.

Lo Ius scholae divide la maggioranza. Fibrillazioni che appartengono alla fisiologia della politica estiva o c’è di più?
Credo che Forza Italia non avrà il coraggio di andare fino in fondo, ma noi dobbiamo continuare a incalzarli e insistere per una mediazione parlamentare che inizi a farci fare un passo in avanti. Il dato vero di questo dibattito estivo è la conferma che la larga maggioranza della società italiana è più avanti della politica, Forza Italia avverte la pressione di questo.
Chiunque abbia tra i compagni di classe dei propri ragazzi figli di immigrati, con i quali si frequentano regolarmente e parlano perfino lo stesso dialetto, come fa a essere contrario?

Non crede che il referendum sull’autonomia differenziata, come diversi paventano, potrebbe trasformarsi in un boomerang per le opposizioni?
No, è una battaglia sacrosanta, che avrà un senso indipendentemente dal raggiungimento del quorum. Obiettivo certo difficile, ma che io non reputo impossibile. E, in ogni caso, nel referendum si cementerà un blocco elettorale che sarà sufficiente a mandare a casa la Meloni o nel successivo referendum costituzionale senza quorum sul premierato, o alle elezioni politiche se arriveranno prima. Calderoli dice di essere preoccupato della divisione tra sud e nord. Stia tranquillo. Al sud questo disegno scellerato non prenderà un voto, a essere spaccato sarà il nord, perché emergerà un pezzo di società ormai consapevole della follia di smantellare quel che resta dello Stato italiano e affrontare la competizione globale con venti staterelli semi-autonomi e scoordinati.

Il 2024 è stato un anno elettorale. Non ancora concluso: a novembre si vota in Emilia-Romagna, Liguria e Umbria. Divisi si perde: i 5Stelle, lacerati dal dibattito interno, hanno imparato la lezione?
La lezione devono impararla tutti, non solo i 5S. E con i fatti, non solo a parole o con riposizionamenti solo tattici. È difficile immaginare di costruire un’alternativa a quello che in Liguria giustamente Andrea Orlando chiama il “totismo” sostenendo la giunta Bucci a Genova. È finito il tempo dei veti, ma anche quello delle furbizie e delle ambiguità. Il messaggio degli elettori è stato piuttosto chiaro lo scorso giugno, la campana ha suonato per tutti…

Le elezioni passano, le guerre restano e si aggravano: dall’Ucraina al Medio Oriente.
Questa è la questione delle questioni. Sia gli analisti più acuti, indipendentemente dal loro orientamento politico, sia le persone comuni percepiscono ormai chiaramente il rischio di uno scivolamento, perfino accidentale verso la Terza guerra mondiale. Ho letto di recente non un padre francescano pacifista, ma il presidente della fondazione della maggiore azienda italiana produttrice di armi, Marco Minniti, citare con ammirazione quello che è in effetti un bellissimo libro dello storico australiano Christopher Clark, I Sonnambuli (apparso nel 2012 e ripubblicato di recente sia in inglese sia in traduzione italiana), che descrive il precipitare inconsapevole dell’Europa verso la Prima guerra mondiale. In questo quadro la politica sembra occuparsi d’altro. Anche qui c’è uno scollamento enorme tra la percezione istintiva di un pericolo concreto, che inizia a essere diffusa tra le persone comuni, e il dibattito politico. Altro carburante per l’astensionismo e la delegittimazione della politica democratica.

Harris contro Trump: partita aperta?
Sì, partita aperta ma ancora dura. La scelta della Harris di puntare sui temi sociali ed economici è giusta, la scelta del vice sembra azzeccata, l’unità dei democratici è importante, ma Trump ha ancora il vantaggio di poter attaccare l’amministrazione uscente sui fallimenti della politica estera e di offrire soluzioni ingannevoli ma semplici alla cosiddetta America profonda. Peraltro, Trump lascerebbe totalmente mano libera a Netanyahu, ma c’è un pezzo di elettorato, specie giovanile, che rimprovera ai dem debolezza rispetto ai crimini di guerra compiuti a Gaza: a parole inviti alla moderazione e prese di distanza, ma nei fatti prosecuzione dell’invio di armi e veto all’Onu rispetto a risoluzioni che rendessero cogente la richiesta di cessate il fuoco. Speriamo che su questo la Harris riesca a prendere posizioni più nette nella fase finale della campagna elettorale.

Le elezioni europee sono appena alle spalle. Sembrava fossero uno snodo decisivo e invece sembriamo tutti già di nuovo rassegnati all’irrilevanza globale dell’Europa. Non è un problema serio per una forza europeista come il Pd?
Sì, ma dobbiamo fare un discorso di verità. Il progetto europeo avanza se c’è un motore che lo spinge, e questo motore non può che essere costituito dal nucleo, Germania e Francia, più l’Italia nelle fasi in cui riesce a esercitare un ruolo. Oggi, per ragioni diverse, tutti i pistoni di questo motore sono in stallo. La crisi politica in Germania non è meno grave di quella in Francia ed entrambi i Paesi paiono ripiegati su se stessi, incapaci di garantire un minimo di slancio e autonomia geopolitica al disegno europeo. Il governo italiano ha la responsabilità di non aver esercitato alcun ruolo, in una fase in cui la sua potenziale stabilità rispetto gli assicurava spazi di manovra ben più ampi del passato. Hanno perfino accettato supinamente un nuovo patto di Stabilità inadeguato e recessivo. Ciononostante, prepariamoci al fatto che in autunno daranno la colpa all’Europa delle difficoltà sulla legge di bilancio. Stavolta però ci sarà chi gli chiederà: chi ha sottoscritto le nuove regole?

Please follow and like us:
Pin Share