Parla Donald Sassoon: “La sinistra affanna, come diceva Gramsci il vecchio mondo muore e il nuovo tarda a venire”

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L’Europa uscita dal voto, “sintomi morbosi” crescono e si diffondono. L’Unità ne discute con il professor Donald Sassoon, allievo di Eric J. Hobsbawm, professore emerito di Storia europea comparata presso il Queen Mary College di Londra, autore di numerosi libri di successo.

Professor Sassoon, che Europa emerge dal voto dell’8-9 giugno?
Come ci si poteva aspettare, emerge una Europa divisa, dove il dato più rilevante è rappresentato dall’avanzata dell’estrema destra. Rilevante soprattutto perché questa avanzata è avvenuta negli Stati più importanti dell’Europa, cioè la Germania, la Francia e l’Italia. La sinistra ha tenuto ed è andata avanti nei Paesi scandinavi ma questi hanno molto meno importanza, nelle dinamiche europee, di Francia, Germania e Italia.

Qual è il Paese più a rischio alla luce del voto europeo e delle sue possibili ricadute interne?
Senza dubbio la Francia. Il partito di Macron è stato battuto in modo severo e la “medicina” propinata dal presidente rischia di essere più letale della malattia che intenderebbe curare.

A cosa si riferisce?
Alla decisione presa da Macron di sciogliere l’Assemblea nazionale e andare alle elezioni. A me pare un rischio enorme per la Francia, una scelta che molti in Francia, tra cui il direttore di Le Monde che certo non può dirsi un estremista, hanno definito “folle”. Nuove elezioni che potrebbero portare alla guida del governo il partito di Marine Le Pen.

E sul fronte tedesco?
Anche qui siamo in una situazione che a dire difficile è peccare di ottimismo. La batosta subita dalla Spd è di quelle destinate a lasciare il segno. Quella dei socialdemocratici non è stata una sconfitta ma una disfatta senza precedenti. La Spd è ridotta ad essere il terzo partito, sorpassata non solo dalla Cdu ma anche dall’estrema destra dell’AfD che è cresciuta, nonostante gli scandali che hanno coinvolto alcuni suoi dirigenti, soprattutto nelle regioni dell’Est, della ex DDR. E questo dato mi porta, da storico, ad una riflessione più generale…

Quale, professor Sassoon?
Il crollo del comunismo sovietico non ha per nulla generato una rinascita di partiti socialisti o socialdemocratici negli ex Paesi comunisti. Anzi, questi partiti in pratica non esistono o se esistono sono del tutto marginali. L’estrema destra non è forte solo nella ex DDR, ma il discorso vale, sia pur in forme diverse, in Polonia, dove la lotta politica è tra i conservatori di centrodestra e l’estrema destra. In Romania le cose non vanno meglio, non parliamo poi dell’Ungheria di Orban, e lo stesso dicasi per la Bulgaria, e in quella che fu un tempo la Cecoslovacchia, ora divisa nella Repubblica Ceka e in quella di Slovacchia. E anche in un Paese che non è stato nell’orbita comunista, l’Austria, abbiamo assistito all’avanzata dell’estrema destra.
E questa panoramica sconfortante investe anche l’Italia.

Paese che lei conosce molto bene
Conosco e amo. Anche qui, vesto i panni che mi sono più consoni, quelli dello storico. Quando il comunismo è crollato, il Pci ha cambiato nome ed è arrivato Berlusconi c’è stato lo sdoganamento di Alleanza Nazionale, erede quel Movimento sociale italiano, che per decenni era stato un partito-paria. An entrò a far parte del governo Berlusconi, all’inizio si parlò di uno scandalo. Oggi gli eredi di quel partito sono al governo e non mi pare, per quel che mi consta, abbiano negato quel passato.

Nel dato italiano, però, c’è anche una sinistra, Pd e Avs, che ha comunque ottenuto un risultato importante, per molti inaspettato.
Questo è vero, e un calcolo simile si potrebbe fare anche in Francia, dove se si mettono insieme tutti i partiti della gauche, le cose non vanno poi così male. Ma anche qui, se torniamo all’Italia, e se si pensa agli anni ’70-’80 e si accetta di considerare il Psi parte della sinistra, anche se non andava d’accordo con il Pci, la somma di socialisti, comunisti più varie formazioni di estrema sinistra, la somma si aggirava attorno al 50%.

Professor Sassoon, è possibile individuare un tratto comune, un filo conduttore che lega la crisi della sinistra in Europa?
Stiamo parlando di 27 Stati, ognuno con una propria storia politica, culturale, e con dinamiche che non possono essere ingabbiate in schemi troppo rigidi e generalizzanti. Ciò premesso, se si vuole individuare un filo conduttore, che spieghi anche l’altissimo astensionismo e la stessa avanzata dei partiti di estrema destra, questo filo è dato, a mio avviso, dal fatto che la gente ha sempre meno fiducia nei partiti tradizionali che c’erano stati in Europa, cioè partiti conservatori social, come era la Dc in Italia o la Cdu tedesca, e partiti di ispirazione socialista e socialdemocratica. Partiti tradizionali che hanno governato e orientato per decenni l’Europa post Seconda guerra mondiale. Oggi vi è un rigetto, più o meno marcato, dei partiti tradizionali. E questo discorso vale anche per gli Stati Uniti. Donald Trump non rappresenta minimamente la tradizione repubblicana di Eisenhower o di Nixon.

A proposito di elezioni. Bussano alla porta anche in Gran Bretagna.
Il 4 luglio ci saranno le elezioni legislative e si può già dare per scontata la vittoria del Labour party. Un Labour, quello di Keir Starmer, che si è decisamente spostato verso il centro. La vittoria annunciata dei laburisti deriva soprattutto dai guai degli altri partiti, a cominciare dal Partito conservatore, che era stato un partito filoeuropeo che dopo il referendum indetto da Cameron, la Brexit, si è spostato in modo netto verso l’euroscetticismo. Il partito di estrema destra, populista e sovranista, Reform UK di Nigel Farage, secondo recenti sondaggi prenderà dei parlamentari sottraendo voti ai conservatori di Rishi Sunak. A ciò va aggiunto che il partito nazionalista scozzese, che aveva quasi cancellato il Labour in Scozia, un Paese che dava ai laburisti una quarantina di parlamentari, questo partito ha grossi problemi e probabilmente perderà seggi che passeranno ai laburisti. Il Labour party vince perché i nazionalisti scozzesi hanno problemi, così come i conservatori, e Starmer si è guardato bene da fare promesse forti destinate a restare tali.

Un suo libro, di qualche anno fa, che ha avuto grande successo, s’intitola Sintomi morbosi. Nella nostra storia di ieri i segnali della crisi di oggi. Professor Sassoon, questi “sintomi morbosi” sono cresciuti?
La frase, come i lettori de l’Unità sapranno, viene da Antonio Gramsci, che recitava così: “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”. I sintomi morbosi, per l’appunto. Oggi ci troviamo in una fase nella quale non sappiamo cosa succederà, sappiamo che non si può tornare indietro. Da quando ho scritto quel libro, quattro-cinque anni fa, i “sintomi morbosi” sono aumentati tremendamente.

Non si sono trovati, per restare nella metafora medica, i “vaccini” giusti per debellare, o quanto meno contenere, questi “sintomi morbosi”?
Non si sono trovati e forse neanche cercati con la necessaria determinazione e coraggio innovativo. Leggo che in Francia si torna a evocare un nuovo Fronte popolare che unisca le sinistre, ma in realtà queste sinistre sono divise, il leader dei socialisti, Glucksmann, non vuole il leader de La France Insoumise, Mélenchon, e viceversa. Non sarà facile mettere assieme un’alleanza che pure è l’unico modo per cercare di contrastare i “sintomi morbosi” di oggi. Almeno negli anni ’30 in Francia c’era stato un Fronte popolare che sì era durato poco ma era riuscito a realizzare riforme importanti.

C’è anche un problema di caratura delle leadership?
Su questo non c’è alcun dubbio. Le leadership attuali sono, in generale, terribili. Se uno pensa a Scholz e poi si raffronta con Willy Brandt o, per andare in famiglie politiche diverse, ad un Adenauer, viene da mettersi le mani nei capelli. Anche in Italia: avete avuto Renzi e prima c’erano stati Berlinguer e Togliatti… E sulla destra c’erano stati De Gasperi, Moro, lo stesso Andreotti, si poteva non essere d’accordo con loro ma stupidi non erano. In Francia c’è Macron, un Paese che aveva avuto alla sua guida De Gaulle e Mitterrand.

Il voto, i “sintomi morbosi”. Tutto s’inquadra in un mondo segnato dalle guerre, non solo in Ucraina e a Gaza, ma da tanti conflitti “ignorati”.
Conflitti come quello in Sudan, devastante per la popolazione, del quale non si parla per niente perché non è un conflitto marcato dalla contrapposizione Est-Ovest. Si chiudono gli occhi in continuazione di fronte alla realtà, oppure ci si rifugia in narrazioni di comodo, demonizzanti quanto semplificatorie…

Ad esempio?
È chiaro, non solo per me ma per molti, che la Russia non potrà occupare l’Ucraina in modo permanente, avendo a che fare con quaranta milioni di persone che li odiano, né potrà l’Ucraina eliminare la Russia dal Donbas, dalla Crimea e da Kherson. Il discorso vale anche per un altro teatro di guerra: Gaza. Quello che Israele sta facendo nella Striscia di Gaza è creare i futuri Hamas, chi sopravviverà non amerà certo gli israeliani. In un caso e nell’altro, la ricerca di un ragionevole compromesso non è segno di cedimento ma dimostrazione di lungimiranza. Una dote che scarseggia in chi oggi governa il mondo.