Parla il Generale Camporini: “Ucraina e Gaza, l’Europa conta meno di zero”

RMAG news

Un disordine globale che è già una “Terza guerra mondiale a pezzi”. Dall’Ucraina al Medio Oriente. L’Unità ne discute con il generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa, e prima ancora dell’Aeronautica militare, consigliere scientifico dello Iai (Istituto affari internazionali), tra i più autorevoli think tank italiani di politica internazionale e geopolitica.

Un mondo in guerra, dall’Ucraina al Medio Oriente, passando per i tanti conflitti “dimenticati” in Africa e Asia. Generale Camporini, il disordine globale è già una “terza guerra mondiale a pezzi”?
Direi che siamo in una fase storica di grande fluidità, in cui gli equilibri a cui eravamo abituati si stanno modificando in modo traumatico, con un crescente impiego dello strumento militare; sta avvenendo dalla fine della guerra fredda, con il palesarsi delle tensioni accumulate nel passato, a partire dai Balcani occidentali e dal Caucaso, per citare solo le aree più vicine a noi, e con la rinascita della consapevolezza della Cina, che vuole riprendere un ruolo globale cui aveva rinunciato nel XVI secolo. La deterrenza nucleare costituisce ancora un freno potente, ma osservo che il concetto stesso di escalation sta mutando: da un percorso a gradini, che ad ogni passo impone una pausa di riflessione, stiamo andando verso una sorta di rampa, lungo la quale si sale senza che vi sia una chiara consapevolezza di quanto spazio rimanga.

Fronte russo-ucraino: c’è una strategia politica dietro l’affondo dell’esercito ucraino nel Kursk e ora anche a Belgorod o è solo un azzardo di Zelensky?
Indubbiamente un’operazione del genere nasce alla luce di un disegno politico: la situazione che si andava determinando, di una guerra di attrito in cui la massa d’urto russa continuava a fare progressi, ancorché limitati e a caro prezzo, stava progressivamente minando il fronte interno ucraino e erodendo il supporto delle opinioni pubbliche occidentali.
La vulnerabilità russa ha colto un po’ tutti di sorpresa, a partire dal Cremlino, ma probabilmente anche Kyiv, e può aver trasformato una puntata offensiva con scopi prevalentemente dimostrativi in un’opportunità strategica, da sfruttare anche politicamente, in vista di future attività negoziali, che già hanno cominciato a concretizzarsi con lo scambio di prigionieri di qualche giorno fa.

Una guerra di logoramento di lunga durata non favorisce la Russia?
Come ho accennato, un conflitto condotto con un fronte relativamente statico favorisce chi dispone di riserve maggiori, sia in termini di mezzi, che di truppe, con tutte le cautele del caso, perché chi attacca, soprattutto con tattiche frontali, che non impiegano il concetto di manovra, deve disporre di una superiorità numerica e soprattutto di fuoco di un fattore non inferiore a tre.
Il problema si sposta allora sul piano politico: se chi si difende può disporre di un supporto logistico adeguato da parte dei paesi amici per rovesciare il rapporto di fuoco, può accadere che l’attaccante cominci ad esaurire la propria spinta e che gli vengano meno le riserve per resistere ad inattese azioni diversive, come quella attuata dall’Ucraina in direzione di Kursk e Belgorod.

Dall’Ucraina al Medio Oriente. Netanyahu sembra aver fatto della guerra l’assicurazione sulla sua vita politica.
Purtroppo, il problema non è solo Netanyahu, che indubbiamente puntella la propria posizione con la prosecuzione delle operazioni, ma che gode del supporto indiscusso delle fazioni ultra-ortodosse, le quali ormai controllano almeno il 15 % dell’elettorato. Paradossalmente, le minacce portate all’esistenza stessa di Israele da parte non solo di Hamas, ma anche dall’Iran e dai suoi proxi, Hezbollah, milizie in Siria ed Iraq, Houthi, non hanno altro effetto che rafforzare la posizione di Netanyahu, a scapito delle potenziali opposizioni. Viene quasi da pensare che nelle partite in corso in Medio Oriente ci sia un gioco a strumentalizzazioni su più piani: Netanyahu che strumentalizza il conflitto per mantenersi al potere, Hamas che vuole screditare definitivamente l’Anp, la lotta a Israele strumentalizzata da Teheran ai fini della propria lotta per l’egemonia regionale e infine il popolo palestinese strumentalizzato da tutti, dico tutti, gli attori, che paga per tutti.

A Gaza si sono superati i 40mila morti, la maggior parte dei quali donne e bambini. Generale Camporini, questa mattanza rientra nel diritto alla difesa evocato da Israele?
Mi consenta di fare in primo luogo un’osservazione di metodo: vedo una tendenza generale da parte dei media occidentali a dare sempre per buone le narrazioni e le cifre pubblicate da Hamas. Non che dal punto di vista politico ed etico le cose cambierebbe se invece che 40mila le vittime fossero 20mila, ma la distorsione mi è apparsa evidente quando ho analizzato l’evento dell’esplosione nel cortile dell’ospedale Al Ahli lo scorso 17 ottobre: il primo comunicato di Hamas, immediatamente fatto proprio da tutti i media, accusava Israele e parlava di 500 morti; quando poi le analisi hanno evidenziato senza ombra di dubbio che si trattava di un razzo di Hamas sfuggito al controllo, improvvisamente i morti si sono ridotti a 50. Fatta questa premessa, rispondo dal punto di vista della dottrina militare e non in punta di diritto, dove le mie competenze sono modeste. L’Idf ha avuto dal vertice politico un compito non congruo con quanto conseguibile da uno strumento militare: “annichilire” Hamas è un obiettivo politico e richiede azioni su più livelli, mancando i quali quelle militari assumono un aspetto non risolutivo. Quindi a mio avviso l’operazione militare, che pure viene condotta cercando di rispettare per quanto possibile le norme del diritto internazionale, con accurate inchieste interne per i casi di possibile inosservanza, può essere politicamente messa in discussione.

Mentre l’America è concentrata sulle presidenziali di novembre, l’Europa continua ad essere “non pervenuta”. Come l’Italia che Romano Prodi ha bollato come “ininfluente”. Un declino inarrestabile?
È sconfortante l’assoluta mancanza di rilievo dell’Unione europea in quanto tale nella gestione di questa crisi: politicamente irrilevante, militarmente inesistente, con prese di posizione di singoli paesi mai discusse collegialmente. Al di là di considerazioni minimali circa l’assenza di prestigio internazionale, bisogna essere consapevoli che, se non altro per il potenziale economico esprimibile, l’Unione potrebbe giocare un ruolo da protagonista nella gestione di questa, come di altre crisi. Tuttavia, come osservato da un acuto analista, per porsi come mediatore credibile occorre avere una pistola carica in tasca. Ma una forza militare presuppone una coesione politica che, come osservava Spinelli nel suo famoso promemoria del 1951, si può conseguire solo con una qualche forma federativa, in assenza della quale rassegniamoci a ruoli da comprimari, i quali però pagano il conto.

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