Perché i leghisti hanno chiesto le dimissioni di Mattarella, lo scombiccherato attacco padano al Colle

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Ci sono dei limiti che nemmeno in campagna elettorale si possono oltrepassare: il rispetto delle istituzioni e, ancor prima, quello della verità. Borghi e Salvini – per giunta il 2 giugno, in piena Festa della Repubblica – li hanno abbondantemente superati: il primo invitando “per coerenza” il nostro presidente della Repubblica a dimettersi perché colpevole di aver evocato la consacrazione della “sovranità europea” in occasione delle prossime elezioni del Parlamento europeo; il secondo per avere di fatto avallato, anziché smentito le incaute dichiarazioni del collega di partito, sostenendo che l’unica sovranità di cui parla la nostra Costituzione è quella della nostra Repubblica, come tale alternativa a quella dell’Unione europea.

Due ignoranti sotto il profilo costituzionale che sostenendo tali tesi non supererebbero l’esame non dico di diritto dell’Unione europea ma nemmeno quello al primo anno di diritto costituzionale.

Perché la nostra Costituzione bisognerebbe leggerla, quantomeno prima di giurare di osservarla lealmente. Cosa ci dice, allora, la nostra Costituzione sulla “sovranità”? Essa ne parla in tre articoli, sotto altrettanti profili.

Innanzi tutto, all’articolo 7, quando, in riferimento ai rapporti con la Chiesa cattolica, afferma che lo Stato, nel proprio ordine, è indipendente e sovrano, in grado dunque di affermare la propria supremazia senza né resistenze da parte di ogni altro potere interno, né interferenze da parte di poteri esterni.

Indi, alla sovranità fa riferimento al secondo comma dell’articolo 1 quando, rispondendo all’ipotetica domanda su a chi spetti la sovranità all’interno dello Stato sovrano, afferma che “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Ma la nostra Costituzione va al di là di questi due profili per introdurne un terzo, frutto della capacità dei nostri costituenti di andare oltre il contingente e di immaginare con rara lungimiranza il futuro del nostro Paese nel quadro delle relazioni internazionali con l’obiettivo di dare una dimensione universale ai diritti e alle libertà fondamentali riconosciute nel testo.

Da qui l’articolo 11, che si cita sempre nella sua prima parte (“l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”) dimenticandosi spesso la seguente, strettamente ad essa correlata (tant’è che espressa nello stesso periodo anziché in un nuovo capoverso): “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Quando, nel 1947, i costituenti approvarono questa disposizione, nel riferirsi “ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”, avevano ovviamente in mente l’Organizzazione delle Nazioni Unite che si sarebbe costituita l’anno successivo.

Ma le disposizioni, si sa, vivono al di là delle intenzioni di chi li è approvate, per cui tra tali ordinamenti oggi rientra a pieno titolo anche l’Unione europea.

L’articolo 11 della Costituzione è, dunque, il fondamento costituzionale della partecipazione dell’Italia all’Unione europea e delle conseguenti “limitazioni di sovranità”, cui abbiamo liberamente consentito “in condizioni di parità”, nelle materie attribuite alla competenza di Bruxelles; limitazioni altrimenti inammissibili sulla base di un semplice trattato internazionale.

Tant’è che quando con il Trattato di Maastricht del 1992 è nata l’Unione europea al posto della Comunità economica europea (cui Salvini continua a fare riferimento, non so se per ignoranza o per scelta), per giustificare le conseguenti maggiori limitazioni di sovranità (ad esempio ieri le politiche agricole e la concorrenza, oggi la politica economica e monetaria, domani la difesa e il fisco, peraltro sempre per decisione unanime), noi, al contrario di altri Stati, non abbiamo dovuto modificare la nostra Costituzione, facendo leva giustappunto sull’art. 11 Cost.

Piuttosto, nel 2001, profittando della riforma della parte della Costituzione dedicata alle autonomie regionali e locali, abbiamo sancito che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario…” (art. 117.1 Cost.).

Con l’adesione ai Trattati comunitari, l’Italia è dunque entrata a far parte di un ordinamento più ampio, di natura sovranazionale, cedendo parte della sua sovranità, anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto degli stessi Trattati, con il solo limite dell’intangibilità dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione (C. cost. 348/2007, 3.1), per cui nei rari casi in cui si è verificato un contrasto tra l’ordinamento dell’UE e i nostri principi costituzionali (v. saga Taricco), sono questi ultimi che hanno prevalso.

Contrapporre la sovranità italiana e quella dell’Unione europea è dunque sbagliato. Esse non sono alternative ma complementari, nel senso che l’Unione europea esercita la propria sovranità, attraverso le istituzioni politiche in cui il governo (Consiglio) e il popolo italiano (Parlamento) è presente, in quelle materie le cui problematiche, a causa della loro dimensione internazionale, non possono ormai essere affrontate efficacemente dai singoli Stati, come le vicende del Covid-19 e dell’immigrazione hanno dimostrato.

Come ci ha ricordato il nostro presidente della Repubblica, i “padri della Patria erano consapevoli dei rischi e dei limiti di chiusura negli ambiti nazionali e sognavano un’Italia aperta all’Europa, vicina ai popoli che ovunque nel mondo stessero combattendo per le proprie libertà”.

Chi vuole rimettere indietro le lancette degli orologi, ritornando alla solitaria sovranità dei singoli staterelli, non fa gli interessi degli italiani, né rispetta la nostra Costituzione.

P.S. A proposito di Europa: è semplicemente scandaloso che il servizio pubblico radiotelevisivo non abbia trasmesso in Italia i dibattiti televisivi svoltisi tra i candidati e i principali leader delle famiglie politiche europee.

Anche da questa disinformazione dipende la scarsa cultura europeista presente nel nostro Paese e da cui una certa politica vorrebbe trarre profitto elettorale.