Perché la legge elettorale può salvare il Campo Largo: i piani di Schlein tra i veti di Conte a Renzi

RMAG news

Orlando ci ha provato. Ha parlato con tutti “da Renzi a Conte”. Ha argomentato e ragionato, si è appellato alla logica politica e al semplice buon senso. Ha anche provato a separare il caso Liguria dalle prospettive politiche nazionali: “Non è che allearsi qui significa creare il Campo Largo”. Niente da fare. Si è dovuto arrendere: “Purtroppo i miei sforzi non sono stati coronati da successo”. Sipario.

Non è che al Nazareno si straccino troppo le vesti. La premier fa il gioco del silenzio: in fondo lo sa da sola, e comunque ci pensa Calenda a ricordarglielo, che il veto di Conte in Liguria è più contro di lei che contro Renzi. Meglio glissare senza imbarcarsi in una querelle tanto fragorosa quanto inconcludente, perché non è che si possa denunciare l’alleanza con Conte, sarebbe controproducente. Anche se prima o poi quel silenzio d’oro dovrà per forza infrangerlo. Elly sa già cosa dire, anzi cosa ripetere: che per quanto la riguarda si va avanti come se niente fosse con la linea “testardamente unitaria”. Con quante speranze di convincere Conte e Fratoianni, che nel veto contro Renzi fanno muro a braccetto per far capire bene alla leader del Pd che la decisione finale non spetta a lei sola? E chi lo sa.

Con quali argomenti? Uno solo: “La legge elettorale costringerà a stare tutti insieme”, come confida ottimista ai suoi. Il medesimo principio che illustra pubblicamente Renzi e con parole molto più chiare e ruvide: “Se non si mettono insieme tutti quelli che sono contro la Meloni, vince lei. È politica ma è anche matematica”. Poi, tanto per facilitare le cose e metterci una parola di pace aggiunge: “Meloni ha un grande alleato: Conte. È un sostegno permanente alla sua leadership. Il problema è che a Conte la vittoria alle elezioni interessa certo, ma fino a un certo punto. Per lui non è questione di vita o di morte come per Elly e per il Pd, e mettere alle corde l’alleata rivale probabilmente gli interessa quanto e più che sconfiggere la leader della destra. Il calcolo di Renzi, ma anche di Schlein rischia di sbattere su questa asimmetria che condiziona i rapporti di forza nel centrosinistra”.

Ma questa è storia di domani e, secondo le migliori tradizioni, il Pd per ora non se ne preoccupa più che tanto. La porta stretta, al momento, è quella delle regionali d’autunno. In Liguria sembravano facili. Ora lo sono un po’ meno ma tutto sommato il Nazareno resta ottimista. Renzi in Liguria ha poco seguito: con o senza di lui le cose e i risultati non dovrebbero cambiare molto. Di quel poco seguito non fa certo parte Carlo Calenda: quei voti, pochi o pochissimi che siano, ci saranno. La destra poi è uscita ammaccata più di come non si può dal fattaccio Toti. Non sono solo l’inchiesta, i domiciliari, le dimissioni. Quella roba era già un problemaccio ma si poteva provare a fronteggiarlo strillando contro la persecuzione politica. Il patteggiamento a sorpresa dell’ex governatore ha scombinato giochi e strategia comunicativa. Le divisioni sull’altra sponda migliorano forse un po’ il quadro per la destra. Ma non dovrebbero permettere il recupero, o almeno di questo sono convinti al piano alto del Nazareno.

La vittoria in Liguria blinderebbe quella in Emilia-Romagna, già quasi certa, e i due successi potrebbero trainare l’Umbria fino a chiudere una smagliante tripletta che darebbe una bella spinta al centrosinistra e al Pd in particolare. Certo la rosa avrebbe le sue spine. Conte e Fratoianni impugnerebbero il risultato come prova provata che si può andare avanti benissimo senza Renzi. L’obiettivo di Schlein diventerebbe ancora più simile a una chimera e in fondo lei stessa è quasi rassegnata: l’importante è mostrarsi unitari, se poi la quadra non si trova, pazienza. Consapevole di dover scontare sino all’ultimo giorno della legislatura la guerriglia di Conte, il Pd sembra rassegnato a dar vita a una coalizione senza visione comune, senza una strategia messa a punto insieme, senza una leadership condivisa e riconosciuta, affidandosi solo al vincolo costrittivo messo sul tavolo da Renzi: “O tutti insieme o vince Meloni”. Non è la miglior formula per vincere le elezioni. In compenso è la peggiore in assoluto per governare se si riesce a vincere.

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