Petrolmafie: il clan Mancuso, i  carburanti e l’affare con gli imprenditori kazaki

Petrolmafie: il clan Mancuso, i  carburanti e l’affare con gli imprenditori kazaki

Il Quotidiano del Sud
Petrolmafie: il clan Mancuso, i  carburanti e l’affare con gli imprenditori kazaki

Nelle motivazioni della sentenza Petrolmafie riassunta la vicenda che testimonia l’interesse del clan Mancuso nel settore degli idrocarburi per accrescere i propri guadagni

VIBO VALENTIA – Per meglio comprendere l’interesse anche internazionale del clan Mancuso – nello specifico quello dei fratelli D’Amico – nel settore degli idrocarburi è sufficiente soffermarsi sulle motivazioni della sentenza “Petrolmafie” nella parte in cui si fa riferimento alle trattative, poi non andate a buon fine, con un gruppo di imprenditori del Kazakistan nell’ottica di reperimento di nuovi canali di approvvigionamento – anche con modalità illecite – finalizzati ad accrescere la forza economica e criminale e la capacità di infiltrazione del sodalizio criminale nello specifico settore di interesse dell’organizzazione.

L’INCONTRO AL RISTORANTE

Il Tribunale, al riguardo, riporta in sentenza l’incontro avvenuto nel gennaio del 2019 in un noto locale di Vibo tra Giuseppe e Antonio D’Amico, Antonio Prenesti, Francesco Porretta, il boss di Limbadi Luigi Mancuso, Gaetano Molino, Pasquale Gallone, Francesco Mazzani e Armov Magzumov, quest’ultimo rappresentante della KazMunayGas per l’Europa. Il placet ai D’Amico per avviare le trattative con i kazaki era arrivato proprio da Luigi Mancuso. Tuttavia tra Giuseppe D’Amico e Silvana Mancuso, nipote del boss, sorgono delle incomprensioni sulla gestione delle trattative e sul punto il Collegio stabilisce che da un lato le intercettazioni tra i due certificano l’esistenza di una contiguità di D’Amico alla famiglia di Limbadi e dall’altro lato, con specifico riferimento al settore degli idrocarburi, offre riscontri in ordine alla conduzione di due affari paralleli.

LA SOVRAFATTURAZIONE

Nello specifico, scrivono i giudici, l’associazione “curerà i rapporti commerciali tra Dr  Service e LP Carburanti – società riconducibile a Francesco Mancuso e Rosamaria Pugliese – nonché le trattative con i kazaki della Rompetrol”. Quanto al primo segmento, viene evidenziato che la collaborazione tra le due società di cui si è scritto poc’anzi “offrirà l’occasione per la commissione di numerosi illeciti fiscali, perpetrati mediante il ricorso alla tecnica della sovrafatturazione qualitativa”.

Inoltre, le cointeressenze economiche della famiglia Mancuso nella distribuzione del prodotto petrolifero emergono nitidamente dall’intercettazione di una conversazione intercorsa il 25 marzo 2019 sempre tra D’Amico e Pasquale Gallone, braccio destro di Luigi Mancuso, nell’ambito della quale il primo riportava all’interlocutore i contenuti di un incontro avuto in precedenza col boss, che avrebbe manifestato l’intenzione di assoldare una persona “pulita” per riscuotere settimanalmente i profitti generati dai distributori inseriti nel canale di approvvigionamento dell’organizzazione: “Mi disse to zio Luigi… ne voglio uno… dovete trovare uno pulito che gira… fa queste colonnine in bianco… fate un bonifico… (…) Quando arriva a fine settimana ha venduto 2 mila litri… 3 mila litri… e sono 500 euro… 1000 euro… 2000 euro… li mettiamo là, poi vi rendete conto voi che dovete fare… un giovanotto che va camminando, invece di fare danno, lo mettiamo là e gira in questo modo”.

LA VICENDA ROMPETROL E GLI IMPRENDITORI KAZAKI

Preliminarmente c’è da specificare che l’affare con i Kazaki non si perfezionerà ma secondo il Collegio l’attività tecnica ha comunque permesso la captazione di numerose conversazioni d’interesse investigativo, che vedranno la partecipazione di Irina Paduret e Francesco Porretta nella veste di intermediari con il gruppo Kazako, nonché quella di Antonio Prenesti, alias “Yo-Yo”, (ritenuto uomo di fiducia di Luigi Mancuso, ndr) quale rappresentante del clan a Milano. L’affare non andrà a buon fine, come detto, per una questione strutturale per come avrà modo di affermare proprio Porretta sollevando alla Paduret “perplessità sulla buona riuscita dell’affare, essenzialmente legate all’inadeguatezza della società riconducibile a D’Amico in rapporto alla statura imprenditoriale degli investitori kazaki”.

LE VALUTAZIONI DEL TRIBUNALE SUL CLAN MANCUSO NELLA SENTENZA PETROLMAFIE

Per quanto concerne i fratelli d’Amico, i giudici rilevano che il coinvolgimento dei due imputati in seno al sodalizio criminale “si apprezza tanto negli affari concernenti il settore dell’edilizia – e segnatamente in relazione alla vicenda del centro parrocchiale di Pizzo – tanto nelle vicende afferenti il commercio di prodotti petroliferi”; inoltre  la compenetrazione tra la “famiglia Mancuso e i due fratelli emerge con maggiore nettezza laddove Giuseppe D’Amico manifestava a Silvana Mancuso l’opportunità di ottenere il benestare dello “zio” Luigi prima di avviare qualsiasi rapporto commerciale con la LP Carburanti.  Può ritenersi, pertanto, che i due congiunti fossero collusi con la cosca egemone a Limbadi, tanto da rivendicare in più occasioni la propria appartenenza alla “famiglia” Mancuso”.

Ad analoghe conclusioni il tribunale giunge in ordine alla figura di Silvana Mancuso  “sebbene il coinvolgimento della stessa emerga con esclusivo riferimento al settore degli idrocarburi nel cui ambito si muoveva con grande disinvoltura, tanto in relazione alle trattative con la Rompetrol, tanto in ordine ai rapporti tra Dr Service e Lp Carburanti”. 

La vicenda della “Lp Carburanti” assume rilievo anche in relazione alle posizioni di Francesco Mancuso alias Tabacco e di Rosamaria Pugliese nonché di Antonio Prenesti, “apprezzabile uomo di fiducia di Luigi Mancuso” per il quale hanno avuto valenza per i giudici le dichiarazioni dei pentiti, in particolare Emanuele Mancuso nonché le intercettazioni e i monitoraggi delle forze dell’ordine come quello in cui l’imputato  partecipava attivamente all’incontro del 26 gennaio 2019 presso l’Hotel San Francisco di Milano, unitamente a Giuseppe e Antonio D’Amico nonché Francesco Monteleone in cui tutti i presenti “si confrontavano sugli snodi di un contrabbando di prodotto petrolifero finalizzato alla miscelazione clandestina di gasolio per autotrazione con olio lubrificante. Pertanto, può affermarsi che Prenesti agisse quale rappresentante della famiglia Mancuso sulla piazza milanese, avuto particolare riguardo agli affari nel campo degli idrocarburi, in seno ai quali si occupava di allacciare i contatti con i broker del settore.

A conclusioni opposte – in ordine all’appartenenza all’associazione mafiosa – il Collegio perviene per la Paduret  e Porretta per i quali è stata emessa, per tale reato, una sentenza assolutoria: “L’insuccesso delle trattative – spiega il Tribunale – produce delle inevitabili conseguenze sul piano dell’elemento materiale del reato, non potendosi ravvisare alcun contributo concreto in favore dell’associazione,   né può sostenersi che l’apporto causale debba essere rinvenuto nell’attività d’intermediazione in sé, per quanto la condotta degli odierni imputati abbia offerto al sodalizio l’occasione di confrontarsi con imprenditori di livello internazionale. Una simile ricostruzione, indubbiamente suggestiva, finisce per scontrarsi con il dato fattuale, che ha certificato la neutralità della vicenda in esame rispetto alla realizzazione dei proposti criminali dell’associazione”.

Il Quotidiano del Sud.
Petrolmafie: il clan Mancuso, i  carburanti e l’affare con gli imprenditori kazaki