Proteste nelle carceri, il governo ha la sua milizia per la repressione: cos’è il Gruppo di intervento operativo

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Un reparto di rapida reazione operativa, specializzato nella protezione e tutela della sicurezza delle strutture penitenziarie e delle persone in caso di rivolta in carcere: è il Gruppo di intervento operativo (Gio) della Polizia Penitenziaria, presentato ieri, nel corso di una conferenza stampa da Andrea Delmastro delle Vedove, sottosegretario di Stato alla Giustizia con delega alla polizia penitenziaria, Giovanni Russo, capo del Dap, Lina Di Domenico, vicecapo Dap e Linda De Maio, primo dirigente di polizia penitenziaria, direttore del Gio.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha portato il suo saluto a inizio dell’incontro. “Il gruppo d’intervento operativo – ha detto Delmastro – sarà un nucleo altamente specializzato che garantirà l’intervento entro massimo un’ora” da quando il direttore ne chiederà l’ausilio in caso di criticità o rivolte nelle carceri.

“Avrà tra le sue figure un negoziatore, quindi le criticità verranno affrontate prima negoziando. Dopo di che ci sarà l’impiego del minore gradiente di forza per risolvere le criticità”.

“Il modello – ha specificato – è quello dell’Eris francese. In Francia si sono abbattuti del 90% i fenomeni di criticità. Abbiamo un trattato di cooperazione con la Francia che ci garantisce di avvalerci dei loro esperti”.

“Il Gio sarà dotato obbligatoriamente di body cam per certificare e garantire l’uso corretto delle tecniche operative”, ha spiegato ancora Delmastro chiarendo, visto anche le polemiche sorte in questi giorni da parte, ad esempio, dei penalisti italiani, come la volontà sia quella di garantire non solo “ordine e sicurezza” ma anche la tutela “dei detenuti che vogliono espiare loro pena serenamente all’interno dei penitenziari”.

L’esponente di Fratelli d’Italia si è poi soffermato su quanto avvenuto nell’Ipm Beccaria di Milano: “Non conosco le motivazioni più profonde della rivolta di ieri al Beccaria onestamente perché le stiamo ancora analizzando. È pur certo ed è pur vero che appena gli uomini e le donne della polizia penitenziaria hanno indossato il casco operativo la rivolta è cessata questo vuole dire che lo stato nell’impiego legittimo della forza è più forte dell’anti Stato e che in ogni caso sia scongiurato che potesse accadere di peggio”.

Sulla vicenda del Beccaria ieri è intervenuta anche l’associazione Antigone, tramite il presidente Patrizio Gonnella: “Nel carcere minorile molti dei ragazzi detenuti hanno inscenato una protesta, che è consistita prima nel mancato rientro in cella e poi nella battitura delle sbarre, rientrata dopo poche ore senza violenza e senza che nessuno, sia tra i ragazzi che tra gli agenti, sia risultato ferito”.

“Si è parlato di rivolta – ha aggiunto – come troppo spesso si fa in casi analoghi, e crediamo che innanzitutto vada ripristinato il corretto uso dei termini, riconoscendo la differenza tra rivolte e proteste. Quella del Beccaria di ieri rientra perfettamente in quest’ultima fattispecie e bisogna cercare di capire cosa sta accadendo in quell’istituto dove, un mese fa, la metà degli agenti in servizio sono stati indagati per torture e altri reati connessi ai casi di torture. Il quadro che esce fuori dalle carte della procura parla di un clima di violenze e sopraffazione generalizzato”.

Secondo Gonnella, il problema del Beccaria oggi “è un problema di, comprensibile, mancanza di fiducia verso l’istituzione. Le proteste, quella di ieri (due giorni fa, ndr) non è il primo episodio critico avvenuto nell’ultimo mese, vanno dunque affrontate con il dialogo, lavorando per ripristinare proprio quella fiducia, fondamentale tra custodi e custoditi. Un dialogo che devono favorire anche le istituzioni non carcerarie, come il Comune di Milano, la Regione Lombardia, la magistratura, l’avvocatura e la società civile, in un accompagnamento civico fondamentale per questo pezzo di città”.

Invece, ha concluso il presidente di Antigone, “parlare di rivolta non aiuta ad andare verso questo dialogo. Ancor meno aiuterebbe se dovesse essere approvato il ddl sicurezza, che per le rivolte, anche non violente, prevede pene sproporzionate: se fosse stato in vigore questo testo di legge i ragazzi del Beccaria avrebbero potuto subire una condanna fino a 8 anni, con l’esclusione dai benefici penitenziari previsto dal regime 4-bis che, nato per i reati di mafia e terrorismo, oggi si applica a diverse fattispecie penali e si applicherà anche al reato di rivolta penitenziaria”.