Ragion di Stato o Stato di Diritto? L’Italia al bivio in Niger

RMAG news

“Cosa resta del cammino compiuto per arrivare al trionfo, secondo la formula consolidata di Marco Pannella, dello ‘Stato di diritto contro ragion di Stato’ nei Paesi africani se in diversi stati del Sahel viviamo un brutale declino della democrazia?”. Con questa domanda, ahinoi retorica, inizia una lunga lettera inviata a Sergio D’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino, e chi scrive da una persona conosciuta a Niamey 10 anni fa quando con Pannella e Matteo Angioli eravamo andati (anche) in Niger per promuovere il voto a favore della risoluzione dell’Assemblea generale su una Moratoria Universale della pena di morte. A fine luglio del 2023 una giunta militare sostenuta da una “piazza” anti-francese ha preso il potere in Niger arrestando il Presidente della Repubblica Mohamed Bazoum e intimando alle presenze militari straniere di lasciare il paese. Dopo qualche mese la Francia ha obbedito e così gli USA, mentre l’Italia ha “abbassato i toni” mettendo in atto dinamiche di silente mediazione ed è rimasta.

Da quasi un anno Bazoum è sequestrato nella sua residenza con la sua famiglia senza occasioni di interlocuzione col resto del mondo o i suoi avvocati. Venerdì 21 giugno la Corte di Stato del Niger gli ha revocato l’immunità aprendo la strada al procedimento giudiziario per l’assurda accusa di alto tradimento mossagli da chi ha orchestrato il colpo di Stato. L’avvocato di Bazoum, Moussa Coulibaly, ha denunciato di non aver potuto incontrare l’ex presidente e ha criticato il poco tempo previsto alle argomentazioni della difesa durante il procedimento – una patente violazione delle procedure della Corte stessa oltre che dei diritti di difesa. A capo del Niger c’è adesso Abdourahamane Tchiani, ex comandante della guardia presidenziale, autoproclamatosi capo di un governo che dovrebbe favorire una transizione di tre anni, verso non si capisce bene quale tipo di regime, sollecitando un “dialogo nazionale inclusivo”. Nel frattempo, vista la paralisi internazionale, chi si oppone ai militari, ma non necessariamente per difendere il regime democratico spodestato, si stanno organizzando in fazioni di resistenza armata.

Secondo Africa ExPresse, a fine primavera è apparso il Front patriotique pour la justice (FPJ) un nuovo gruppo politico militare, finora sconosciuto, che ha rivendicato l’attacco al convoglio nella regione desertica di Agadez che confina con la Libia e l’Algeria. Sempre in questi giorni il Fronte patriottico di liberazione (FPL), altro gruppo armato guidato da Mahmoud Sallah, già oppositore di Bazoum, ha rivendicato l’attacco all’oleodotto Niger-Benin Oil che trasporta petrolio dal deserto nigerino a Cotonou. L’attentato farebbe parte di una richiesta di ritorno all’ordine costituzionale e vorrebbe mandare un messaggio alla compagnia petrolifera cinese Wapco (filiale della China National Petroleum Corporation) affinché cancelli il prestito di 400 milioni di dollari concesso alla giunta. Sallah è originario del Kawar, regione ricca di petrolio del Niger, e si è alleato con l’ex leader dei ribelli tuareg Rhissa Ag Boula. Il nemico del mio nemico è sempre mio amico. In occasione del dibattito parlamentare sulle missioni internazionali a marzo scorso, il Ministro Crosetto aveva fatto sapere che “l’Italia lavora per portare avanti la cooperazione con il Niger anche dopo il colpo di Stato di luglio [2023], come già aveva fatto proseguendo le attività di costruzione della base aeroportuale di Niamey” per non depotenziare il controllo del traffico di esseri umani.

L’Africa occidentale ha visto otto colpi di stato in quattro anni, le giunte che governano molti di quei paesi sono meno disposte a collaborare con i paesi occidentali, mentre si sono rafforzati i contatti politico-militari con la Russia. Il Generale Tchiani ha fatto sapere che l’Italia è l’unico stato europeo ad aver proseguito “normalmente e senza interruzioni” la cooperazione col Niger dopo il colpo di Stato. La presenza italiana è ritenuta irrinunciabile dagli alleati perché, forse, permette di monitorare le mosse e la penetrazione di Russia, Cina e Turchia ormai predominanti nell’area. L’Italia è la capofila della coalizione trans-regionale che all’Onu chiede la sospensione mondiale delle esecuzioni capitali. A seguito della missione di Nessuno tocchi Caino del 2014, il Niger votò a favore della risoluzione all’Assemblea generale. A oggi è difficile prevedere cosa accadrà in occasione del prossimo voto al Palazzo di Vetro, certo è che sul piatto del negoziato sui diritti umani con Niamey non potrà non esserci anche la vicenda del Presidente esautorato. A Roma l’incombenza di, se non altro, bilanciare la ragion di stato – anzi le ragioni del cosiddetto Occidente – con il rispetto dello Stato di Diritto. Ci riuscirà?