Raniero La Valle: “Ricordo il pane bianco come simbolo della Liberazione”

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La mattina del 4 giugno del 1944 Roma viene liberata. dagli americani, che arrivarono prima degli inglesi. Scriverà il generale Clark:Non solo desideravamo l’onore di prendere la città, ma ritenevamo di meritarlo… non solo volevamo diventare il primo esercito dopo quindici secoli a prendere Roma da sud, ma volevamo che la gente del posto sapesse che era stata la 5ª Armata americana a compiere l’impresa”.

I tedeschi abbandonano la città senza combattere. Gli americani sfilano per tutta Via Appia, donando sorrisi, cioccolata, viveri fino ad allora solo sognati. Ma più di ogni altra cosa gli americani, con l’aiuto fondamentale dei partigiani, portano con sé e restituiscono la libertà.

“Roma è libera”. Raniero La Valle è un bambino di tredici anni che va a scuola: “Eravamo tutti balilla”. Raniero La Valle, giornalista, politico e intellettuale, oggi candidato alle elezioni europee per la lista Pace, Terra e Dignità di Michele Santoro, allora era solo un ragazzino, a cui tutto sembrava quasi normale, quasi normale che lo stato fosse fascista di natura, che Mussolini fosse il duce.

Quasi normale, non fosse per alcuni episodi che rimarranno per sempre impressi nella sua memoria. Piccoli particolari che solo un bambino può notare, come la scritta su un manifesto dal quale cominciò la sua presa di coscienza.

Il 4 giugno del 1944 Roma viene liberata, ma cosa ricorda dei giorni precedenti?
Anche se ero in tenera età, avevo vissuto l’occupazione tedesca in maniera molto evidente e anche molto pesante. Allora c’erano gli autobus che portavano dalla Nomentana a Trastevere e non si chiamavano con i numeri ma bensì con le lettere. Era l’NT – Nomentano Trastevere e mi ricordo perfettamente che una volta, tornando verso Porta Pia, incappai in una retata, che a quei tempi si facevano spessissimo, non so bene per cosa, però per me che ero un bambino, assistere a quella retata fu un’esperienza brutale, che mi è rimasta per sempre impressa. E poi c’era stato un altro episodio che mi aveva molto toccato: avevamo un maestro di francese che veniva a casa ad insegnare a noi tre bambini. Eravamo io e le mie due sorelle poco più grandi di me. L’insegnante si chiamava Montelle: era un ebreo e ad un certo punto ci chiese di ospitarlo. Nel nostro palazzo che stava in via Nomentana c’era anche un carabiniere che si chiamava Gelsevico Fontana che era passato alla resistenza. Era uno degli esponenti della resistenza romana ed era stato arrestato dai fascisti. Quando arrivò il momento delle Fosse ardeatine fu preso anche lui dal carcere di Regina Coeli e fu ucciso. Ospitammo per qualche mese il nostro insegnante, io addirittura gli cedetti il mio letto e dormivo nella sala da pranzo, però una mattina non lo trovammo più perché evidentemente si era preoccupato ed era andato via senza dirci nulla. L’abbiamo rivisto e trovato dopo la Liberazione. Furono mesi abbastanza agitati e soprattutto mesi cge ci hanno fatto crescere, perché queste esperienze non passano certo invano.

Che sentimento aveva, che sentore aveva nei confronti della guerra? Pensava potesse finire o cosa?
Roma era occupata dai tedeschi, e da un certo momento in poi sottoposta anche ai bombardamenti degli alleati. Il bombardamento del 19 luglio del 1943 di San Lorenzo, fu particolarmente severo e sentito, perché colpì molto vicino a casa nostra. In quel bombardamento fu colpita una strada parallela a quella vicina a casa mia dove morì Virginio Gayda, che era allora il direttore del Giornale d’Italia. In quel momento non avevamo nessun sentore, non potevamo sapere come sarebbe finita la guerra, anche dal punto di vista della fame, perché si soffriva la fame, tantissimo.

I suoi genitori come cercavano di portare avanti il quotidiano?
Mio padre era giornalista, anche abbastanza importante, aveva avuto problemi con il fascismo. Era stato corrispondente da Costantinopoli durante la rivolta dei giovani turchi. Tornato dalla Turchia fece il giornalista e corrispondente parlamentare da Roma e si occupava delle cronache parlamentari nel periodo della presa del potere da parte del fascismo. Ma le sue cronache non erano gradite al regime appena insediato e quindi il giornale, che era di Napoli, veniva sequestrato quasi ogni giorno. Allora c’era naturalmente la censura, per cui la direttrice del giornale disse a mio padre che con dispiacere ma avrebbe dovuto licenziarlo, perché i giornali venivano sequestrati ogni mattina e così non poteva continuare. Passò al Popolo di Roma, dove scriveva solo gli articoli di terza pagina pagina e poi alla fine prese la corrispondenza con i giornali brasiliani perché appunto non poteva più scrivere sui giornali italiani. Morì nel 1939, e così durante la guerra eravamo orfani di padre. Mia madre ha dovuto da sola portare avanti questi tre bambini con molta difficoltà e fatica. Questa è anche la ragione per cui sono cresciuto prematuramente, diciamo.

Aveva più paura dei tedeschi o dei fascisti italiani?
Non avevo paura. In realtà non sapevo che cosa fossero i fascisti, perché naturalmente le cose che facevano e che avevano fatto non si sapevano e anche dell’orrore delle Fosse Ardeatine si è saputo dopo. Non avevamo la percezione di quello che realmente accadeva, c’era lo spavento della guerra però, dei bombardamenti, dei continui allarmi aerei, per cui ci rifugiavamo nell’ingresso, noi abitavamo a pian terreno e si diceva che l’ingresso fosse un’ala della casa più sicura per via dei muri maestri. Queste erano le paure, le paure delle cose evidenti – i bombardamenti, i tedeschi che pattugliavano le strade – però non avevamo la percezione di quali fossero i pericoli per i nostri fratelli maggiori

Mussolini com’era visto attraverso gli occhi di un bambino di 13 anni?
Quando ero molto piccolo credevo che il fascismo fosse lo Stato, che fosse naturale che lo Stato fosse fascista e che fosse naturale che c’era il duce. Un giorno però, mi ricordo che camminando per la strada vidi un manifesto e in calce a questo manifesto – siccome ero molto piccolo, basso, vedevo solo la parte in basso – sotto c’era scritto in piccolo, a penna “Abbasso il Duce”. Per me fu una grande sorpresa e capii che si poteva andare anche contro il duce e questa fu per me la rivelazione dell’antifascismo. Dopo a scuola successe molte volte che quando venivamo chiamati per le adunate, per la ginnastica che si faceva il sabato pomeriggio, il sabato fascista, dissi che non volevo andare perché io non ero fascista ma ero un monarchico, con grande scandalo e grande stupore di tutta la classe.

Arriviamo al 4 giugno del 1944…
Il giorno della liberazione di Roma gli americani entrarono da Via Appia; quindi, molto lontano da dove abitavo io, e nell’immediato non ebbi la percezione visiva di quello che stava avvenendo, né io né la mia famiglia. La liberazione per me è rappresentata dal fatto che il giorno dopo con mia grande sorpresa vidi il pane che era completamente bianco, più di quanto lo sia adesso. Proprio per dare una dimostrazione visibile che il tempo era cambiato i fornai vennero forniti di una farina che faceva il pane completamente bianco. Il pane bianco per me è simbolo della liberazione di Roma.

Oggi si parla tanto di fascismo: secondo lei c’è questo pericolo non solo in Italia, visto che l’estrema destra avanza in tutta Europa? C’è un metro di paragone con quello che viviamo oggi, visto che lei ha vissuto in quel periodo?
Non c’è bisogno di aver vissuto quel periodo per sapere che cosa è stato il fascismo in realtà. Penso che il pericolo del fascismo non solo ci sia ma sia in qualche modo già operante. C’è una ripresa del fascismo nel senso che c’è una ripresa delle culture che hanno prodotto il fascismo e da cui pensavamo di essere usciti. Sostanzialmente le culture che hanno prodotto il fascismo e che credevamo di aver superato con la seconda guerra mondiale e poi con la Costituzione come la cultura della guerra, cioè l’idea che la guerra fosse un coefficiente ineliminabile della storia dell’umanità, la cultura della diseguaglianza, l’idea che gli uomini e le donne non sono uguali, e non sono uguali non solo per le condizioni economiche e sociali in cui vivono ma lo sono in maniera più radicale per la loro stessa nascita e quindi la diseguaglianza razziale, nei confronti di categorie umane che erano considerate subumane. E poi l’altra cultura che sembrava superata: la cultura della sovranità, l’idea che ogni stato ogni nazione avesse un potere sopra al quale non c’era nessun altro, un potere assoluto che doveva esercitarsi senza nessun controllo, né dell’etica o della morale, per cui vigeva la ragion di stato che legittimava qualsiasi comportamento. Oggi stanno tornando la cultura della diseguaglianza, sta tornando il sovranismo, l’idea della guerra, che senza guerra non si può stare, sta tornando il dominio degli uni sugli altri, di un Occidente in conflitto con il resto del mondo e che l’Occidente deve soggiogare, che deve trasmettere per forza i propri valori. Tutto questo credo che sia l’origine del fascismo ancora attuale o risorgente che non alberga solamente nei governi, nei partiti di destra ma purtroppo sta entrando anche nel circuito mediatico, nel circuito dell’informazione e della comunicazione quotidiana.

È candidato alle elezioni europee, come mai ha sentito questo bisogno?
Sono capolista nella circoscrizione del Nord est per la lista di Pace, Terra e Dignità che ho promosso insieme a Santoro. La pace è grande assente sia nel dibattito politico e anche nella coscienza popolare oramai. Ci stiamo abituando alla cultura dominante, l’idea che il mondo sia fatto di amici e nemici e che le guerre siano inevitabili, della gloria dell’Occidente che sa fare le guerre giuste o addirittura umanitarie. Dobbiamo avere una cultura alternativa che cerchi di frenare questi spiriti cattivi, diciamo così, perché se non sarà così la prospettiva sarà molto grave per tutti. Lo vediamo in questi giorni, stiamo sul filo del rasoio di una possibile esplosione di un conflitto in tutta Europa se la Russia risponderà a un possibile uso delle armi atlantiche sul territorio russo. E non parliamo del conflitto israelo-palestinese, lì non si può parlare nemmeno di guerra più: perché lì è in atto un genocidio, cosa che pensavamo non fosse più possibile dopo la Shoah…