Riforma della Giustizia: Conte evoca la loggia P2, ma ha letto bene quel piano?

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Quando nel dibattito sulla giustizia non si hanno grandi argomenti e si cerca la polemica ad ogni costo, cosa c’è di meglio che evocare un evergreen come la Loggia massonica Propaganda due?

È quello che ha fatto ieri il leader grillino Giuseppe Conte, l’avvocato del popolo, il quale in una intervista ha affermato, senza temere di rendersi ridicolo, che “la riforma della giustizia del governo Meloni è il progetto di Licio Gelli della P2”.

Da buon portavoce dell’Associazione nazionale magistrati, secondo Conte, la riforma della giustizia che separa le carriere fra pm e giudici e modifica la composizione del Consiglio superiore della magistratura, sarebbe anche “la reazione della politica alle inchieste dilaganti sulla corruzione”.

Affermazioni, ovviamente, prive di fondamento in quanto è sufficiente leggere il Piano di rinascita democratica di Licio Gelli, il manifesto della P2, per scoprire che prevedeva ben altro.

Ad esempio che qualsiasi provvedimento penale o disciplinare che riguardasse i magistrati fosse tenuto nascosto all’opinione pubblica. Una super tutela togata che stride con la vulgata delle vendetta da parte del governo.

Anche Il Fatto e Repubblica per polemizzare sulla riforma sono ricorsi ieri ad un evergreen: l’intervista ad un magistrato in pensione. Il compito di smontare la riforma è stato affidato agli ex pm Alfredo Morvillo e Pietro Grasso.

Il primo, già cognato di Giovanni Falcone, ha smentito che il marito della sorella fosse, come è stato ricordato in questi giorni, a favore della separazione delle carriere. “Semmai – ha puntualizzato Morvillo – era un sostenitore della cosiddetta separazione delle funzioni o quantomeno della necessità di una specializzazione per l’ufficio del pubblico ministero”.

Il secondo, invece, ha bollato direttamente come “fake news” il fatto che Falcone fosse a favore della separazione delle carriere. “Falcone – ha sottolineato Grasso – non sposava certe tesi, ma interveniva su una polemica già allora in atto sulle funzioni del pm per come veniva ridisegnato dalla riforma Vassalli del 1989”.

In questo quadro non poteva mancare anche ieri il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia che da giorni come un gladiatore, colonizzando giornali e tv, si batte per contrastare la riforma ipotizzando scenari apocalittici se dovesse essere approvata.

“Più che separare è isolare il pubblico ministero, che non avrà più un concorso unico con i giudici, non avrà una formazione comune, perderà quella sensibilità alle prove e al processo che sono una caratteristica essenziale del nostro sistema di garanzia, e accentuerà il suo ruolo di investigazione, sarà un super poliziotto”, ha affermato Santalucia.

“Una volta che lo hai isolato ti accorgerai che lo hai rafforzato – ha proseguito – e a quel punto la risposta sarà il controllo politico”.
Tutte tesi che hanno trovato – purtroppo – sponda in alcuni esponenti dem, come il sindaco di Firenze Dario Nardella che dietro la riforma della giustizia vede “un disegno autoritario e illiberale” da parte dell’esecutivo.

Il vero tema, come ricordato ieri dall’ex presidente nazionale dell’Unione delle Camere penali Gian Domenico Caiazza, riguarda invece le tempistiche di approvazione di questo ddl, al momento un gigantesco spot elettorale per la maggioranza che fino ad oggi (vedasi l’Unità del 15 maggio scorso) in materia di giustizia ha approvato solo leggi manettare e forcaiole, con nuovi reati ed aumenti di pene indiscriminati.

“Per il momento è solo uno slogan, vedremo il testo quando inizieremo a discuterlo. Di principio sono d’accordo”, ma “dipende da come le fai” le riforme. Così il leader di Italia viva, Matteo Renzi. Da parte della maggioranza, ovviamente, la soddisfazione di Forza Italia.

“La separazione delle carriere non solo era un grande sogno di Berlusconi ma garantirà un giusto processo con una vera e totale terzietà della funzione giudicante. Per Forza Italia è una battaglia molto identitaria e speriamo che si possa mettere la parola fine ad una conduzione del processo che, secondo noi, non è sempre equa”, ha dichiarato la deputata e vicesegretaria nazionale degli azzurri Deborah Bergamini.

“Se la fiducia nella magistratura è scesa dal 67 per cento nel 2011 al 41 per cento nel 2022 significa che c’è qualcosa che non va, non c’è alcun intento di colpirla ma solo di far funzionare meglio il sistema giudiziario, anche allo scopo di rendere l’Italia più competitiva”, ha aggiunto Bergamini.

A farle eco il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani: “La separazione delle carriere è una battaglia che noi abbiamo combattuto fin dall’inizio perché riteniamo che i cittadini debbano avere un processo giusto. Noi vogliamo esaltare il magistrato giudicante e la riforma va anche nell’interesse della magistratura, serve a evitare la politicizzazione dei magistrati, che offende i diritti dei cittadini”.

“È una riforma che va nell’interesse dei magistrati e dei cittadini e aiuta anche la nostra economia, le imprese pagano la lentezza della giustizia sia civile che penale, così diamo certezza e un segnale forte anche alla nostra economia”, ha concluso Tajani.