Salvini e Tajani sempre più divisi: su conti, diritti e amicizie pericolose a destra si balla

RMAG news

Il centrodestra italiano, si sa, è di gomma. Assorbe da sempre le divisioni interne senza fare una piega. Prima o poi la controparte li pagherà per insegnare come si fa con appositi seminari. Qui però le cose iniziano ad avvicinarsi pericolosamente al livello di guardia: perché i fronti aperti sono troppi, perché i conflitti in questione, tanti, non sono episodici ma destinati a diventare permanenti, perché non si tratta solo della solita sloganistica a uso della propaganda ma di elementi sui quali sia la Lega che FI puntano per definire o ridefinire la propria identità. Gli slogan contro Tajani intonati dai leghisti, nonostante le dovute scuse di Salvini, sono peraltro un incidente serio e significativo. Dicono che non si tratta solo di baruffe tra leader ma di un’insofferenza che si sta diffondendo nei due partiti. Con FdI in mezzo, che temporeggia in attesa di vedere come deciderà di schierarsi la premier.

La manovra, ma sarebbe più preciso parlare della traiettoria dei prossimi anni, è il più puntuale elemento di frizione, per usare un eufemismo. A braccetto come nei servizi d’ordine di un tempo, le banche e Forza Italia fanno muro non solo contro la possibilità di aggravi fiscali a carico degli istituti di credito ma anche solo di un possibile contributo eccezionale. “È roba da cultura sovietica”, aveva tuonato Tajani nel weekend. Patuelli, presidente dell’Abi, concorda più di come non si può: “C’è già un’addizionale dal 2016 e non si è mai vista un’addizionale sull’addizionale”. La Lega a questo punto invece insiste, col vice Salvini, Crippa, che affonda la lama: “Serve il contributo delle banche e non solo delle banche”.

Oggi pomeriggio Giorgetti sarà di fronte alla commissione Bilancio, audito sulla manovra. È probabile, ma non certo, che precisi cosa ha in mente e cosa voleva dire nella ormai famigerata intervista a Bloomberg. La prudenza dei ministri tricolori come Urso e Ciriani, che si limitano a confermare “piena fiducia” in Giorgetti fa capire che la premier non intende prendere troppa distanza dall’affondo del suo ministro. Il fatto è che nuove entrate servono per la manovra di quest’anno, dato che 15 miliardi sui 25 necessari dovrebbero arrivare da lì, e ancor più serviranno nei prossimi anni, per rientrare nei parametri nei tempi debiti. Tranne Giorgetti, nessuno nel governo se ne rende conto più di Giorgia Meloni. Però FI non può piegarsi e non solo (ma anche) perché c’è di mezzo Mediolanum, la banca dei proprietari del partito, i Berlusconi.

Forza Italia post-Silvio

Tajani sta provando a ridefinire l’immagine del partito nell’era post-Silvio e lo fa lungo due direttrici: apertura sui diritti civili, chiusura sul fronte economico sociale. Il partito più vicino alle istanze del centrosinistra sul primo fronte, il più distante sul secondo e in entrambi i casi si tratti di connotati che dovrebbero caratterizzare il partito azzurro in futuro, non di semplice propaganda. Dunque lo scontro procederà anche se stavolta si trovasse una via d’uscita obliqua: qualche miliardo raggranellato con la diluzione nel tempo dei crediti di imposta, la sola via che le banche siano disposte a battere, qualche altro ricavato da un taglio tutt’altro che drastico degli sgravi fiscali, opzione considerata praticabile dal presidente di Confindustria Orsini. Ma il problema si riproporrà subito per il futuro e così anche il braccio di ferro tra le due anime della maggioranza.

Un discorso identico si può applicare all’altro elemento che Tajani considera costitutivo della nuova identità sul suo partito, i diritti civili. Alla fine della settimana scorsa ha illustrato il suo progetto di legge sulla cittadinanza, lo Ius Scholae che prevede la cittadinanza dopo 10 anni di scuola “con profitto”. In FdI qualcuno, come la ministra Santanchè la boccia, qualcuno, come il capo dei senatori Malan, è interessato. La Lega invece non mostra crepe e mostra il pollice verso ma FI tiene duro e replica con un comunicato a dir poco piccato “Non accettiamo che qualcuno decida cosa possiamo o non possiamo discutere”. Ma senza trovare la quadra nella maggioranza e con l’opposizione che, pur fingendosi esitante in realtà voterebbe in massa la proposta, il guaio può diventare grosso.

Poi ci sono gli esteri, che in questa fase storica sono anche più importanti del solito e quel palco di Pontida affollato di leader che il Ppe, dunque anche FI, considera impresentabili da circondare con un cordone sanitario inaggirabile certo non è testimonianza di un’intesa solida. Conti pubblici, diritti civili, politica estera e scusate se è poco. Eppure la maggioranza è in grado di reggere anche a lacerazioni di questa portata. Ma se si arriverà al referendum sull’autonomia differenziata, cioè se la Corte non respingerà il quesito, e se FI, anche solo nel Sud, assumerà una posizione contraria o troppo ambigua la proverbiale resistenza del centrodestra sempre diviso e sempre unito potrebbe disgregarsi.

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