Sicurezza dei treni, il binario morto dei magistrati

Sicurezza dei treni, il binario morto dei magistrati

Il Quotidiano del Sud
Sicurezza dei treni, il binario morto dei magistrati

La sicurezza dei treni e la paralisi nelle decisioni dei magistrati. L’aumento delle condanne penali ai dirigenti Fs per gli incidenti potrebbe avere un effetto negativo

Il governo del sistema ferroviario secondo standard elevati di sicurezza richiede non solo responsabilizzazione del management, ma anche serenità nella assunzione delle decisioni. Nel corso dell’ultimo mezzo secolo la dotazione tecnologica della rete ferroviaria e dei convogli è molto migliorata, ed il tasso di incidentalità si è ridotto in modo molto consistente. Al contrario, i giudizi penali che si sono svolti negli anni recenti hanno trasmesso alla pubblica opinione una percezione di segno opposto. Analizzare queste storie è utile forse non solo per aprire uno squarcio sul sistema ferroviario, ma anche per svolgere un ragionamento sulla responsabilità del management.

LA RIVOLUZIONE DEL 1991

A partire dal 1991 si è determinata in Europa una rivoluzione strategica nell’assetto organizzativo, con la separazione tra gestore della rete ed imprese ferroviarie, che avrebbe potuto destabilizzare il modello di controllo della sicurezza. Così non è stato. Nonostante queste evidenze, le condanne penali per incidenti nel gruppo dirigente delle ferrovie italiane sta crescendo in modo esponenziale, senza che sia intanto cambiato il codice penale. Interrogarsi su questo dato di fatto è particolarmente necessario, soprattutto perché non se ne parla affatto. Quello che è diventato inaccettabile in Italia è il rischio ragionevolmente accettabile, principio introdotto dal diritto comunitario sulla sicurezza ferroviaria, proprio della mentalità e della cultura anglosassone. L’implicazione che ne deriva è la prevalenza culturale nel nostro ordinamento del rischio zero a costi infiniti, operazione impraticabile che conduce alla paralisi di qualsiasi assunzione di responsabilità. Nessuno si interroga nemmeno sulle conseguenze di questa postura davvero unica nel mondo.

Calo degli incidenti ferroviari nello scorso decennio

In Europa si è assistito ad un drastico calo degli incidenti ferroviari, durante il passato decennio. Nel 2019 ci sono stati 1.516 incidenti ferroviari negli Stati membri dell’Ue, con 802 morti e 612 ferimenti gravi. Se osserviamo i dati del 2010, e gli episodi di questo tipo registrati nel corso dell’ultimo decennio, emerge come gli incidenti siano andati costantemente calando. Nel 2010 infatti sono stati 2.229.Si è registrato dunque un calo del 32% degli incidenti ferroviari registrati in Ue tra 2010 e 2019, secondo l’European Railway Agency. Un terzo di tutti gli incidenti ferroviari in Ue sono avvenuti in Germania e Polonia. La Germania, in particolare, è il paese comunitario che, nel 2019, ne ha registrato il numero più elevato (298), seguita dalla Polonia, con 214. Da segnalare anche il dato dell’Ungheria, con 142 incidenti per il 10% del totale europeo.

Le cifre più contenute sono state registrate invece in Irlanda (2), e in Estonia (5), ma ovviamente questo dato è correlabile anche alla dimensione della rete e del traffico. Mentre il Lussemburgo è stato l’unica nazione a non averne riportato nessuno nel 2019 – senza considerare Cipro e Malta, sprovviste di reti ferroviarie.
In Ue, nel decennio passato si sono registrati meno di 2 decessi ogni milione di abitanti per incidenti ferroviari. Oltre al numero di eventi registrati, anche il numero di morti è andato progressivamente calando nell’ultimo decennio, passando da 1.245 nel 2010 a 802 nel 2019. Questo calo è stato consistente nella serie storica, anche se si è registrato un leggero aumento a metà del decennio. I decessi causati da incidenti ferroviari nella Unione Europea sono diminuiti del 35,6%, tra 2010 e 2019.

Nel 2006 picco di incidenti ferroviari; nel 2005 il numero più alto di morti

Se consideriamo i dati italiani sugli incidenti ferroviari dal 2004 al 2022, certificati da Istat, gli incidenti ferroviari gravi sono passati da 144 a 115, con un picco alto nel 2006 (166) ed un punto di flesso nel 2019 (77). La voce più rilevante è quella degli incidenti a persone causati da materiale rotabile in movimento, che pesa mediamente per la metà del valore complessivo.
Se passiamo ad analizzare il numero dei passeggeri morti per incidenti ferroviari si passa da 12 nel 2004 a 4 nel 2022, con un valore massimo di 26 nel 2005 ed un valore minimo di 1 in cinque anni della serie considerata. L’incidente di Viareggio viene contabilizzato dalle statistiche ufficiali come esterno al perimetro direttamente ferroviario, pur se è evidente a tutti che la causa è connessa strettamente al deragliamento del treno.

La Relazione Annuale sulla Sicurezza delle Ferrovie Interconnesse per l’anno 2022. è un report tecnico dettagliato che ogni anno ANSFISA, l’organismo di regolazione e controllo, compila dopo aver raccolto ed esaminato gli eventi incidentali registrati sulla rete e che dà conto anche dell’attività normativa, autorizzativa e di supervisione messa in campo sia per allineare le disposizioni alla normativa comunitaria sia per contribuire a perseguire, come indicato dalla norma, il mantenimento e, se praticabile, il costante miglioramento dei livelli di sicurezza ferroviaria, dando la priorità alle attività di prevenzione e di mitigazione dei rischi.

I dati analizzati riguardano una rete di più di 18.000 km complessivi su cui operano 12 differenti gestori dell’infrastruttura, e sulla quale circolano oltre 70 imprese ferroviarie merci e passeggeri provenienti da vari Paesi dell’Europa. I volumi di circolazione complessiva si attestano ad un totale di oltre 9.000 treni al giorno, circa 3 milioni di treni all’anno.

LE CAUSE DEGLI INCIDENTI

La causa principale di incidentalità si determina principalmente per l’occorrere di variabili esogene alla movimentazione dei treni in senso stretto ed è, infatti, riferibile alla presenza indebita di pedoni e di veicoli stradali sui binari, che insieme rappresentano l’82% della casistica. Segue l’errata esecuzione di procedure in esercizio e manovra che ammonta al 7% dei casi. Le altre cause rappresentano percentuali molto esigue.
Nella Relazione di ANSFISA sono individuate anche le principali aree di miglioramento per gli operatori ferroviari: si focalizza l’attenzione sull’analisi del fattore umano, sullo sviluppo di una positiva cultura della sicurezza che favorisca un clima di reciproca fiducia e collaborazione, e il monitoraggio, da parte degli operatori, della corretta applicazione e dell’efficacia di quanto previsto nei Sistemi di Gestione della Sicurezza.

A livello operativo, vengono indicati come punti di attenzione, su cui sono attivabili alcune misure di mitigazione, la gestione delle eventualità connesse all’attraversamento indebito della sede ferroviaria da parte di pedoni, il piano di soppressione e di upgrade tecnologico dei passaggi a livello, l’adeguamento di alcune linee regionali ai migliori standard nazionali, la massimizzazione dell’efficacia dei processi di manutenzione.
Nonostante un livello molto più che adeguato di sicurezza nell’esercizio ferroviario in Italia, con dati che anzi testimoniano un miglioramento determinato dalla progressiva introduzione delle tecnologie più moderne, sembra radicalmente cambiato l’atteggiamento e la valutazione della magistratura nei casi di incidenti ferroviari gravi, che non sono ovviamente cancellabili del tutto dalle eventualità, pur se i dati dimostrano un calo molto significativo delle occorrenze. Di seguito riepiloghiamo tre drammatici incidenti ferroviari.

L’INCIDENTE DI PIACENZA

Sono le 13:26 del 12 gennaio 1997, quando il Pendolino ETR 460 n.29 delle Ferrovie dello Stato è quel giorno in servizio come Eurostar 9415 “Botticelli”, che parte alle 12:55 dalla stazione di Milano Centrale, diretto a Roma Termini. Il treno trasporta a bordo 167 passeggeri, e alle 13:10 è costretto a una sosta tecnica per il bloccaggio di una porta guasta, per poi riprendere la corsa poco dopo. La giornata è fredda, l’ambiente circostante poco ospitale per colpa di una fitta nebbia che si addensa sulla Pianura Padana. Alle 13:26, nell’imboccare la curva di ingresso della stazione di Piacenza, a circa 400 metri dall’asse del fabbricato viaggiatori, l’elemento di testa si ribalta, colpendo alcuni pali di sostegno della linea aerea e spezzandosi in due. Delle carrozze successive, sei vengono trascinate nel deragliamento e solo le ultime due rimangono sul binario.
Dalle lamiere contorte vengono estratti i due macchinisti in servizio, due agenti della Polfer, due hostess e due viaggiatrici per un totale di 8 morti e 36 feriti.

A bordo del treno si trova anche il senatore a vita Francesco Cossiga, ex presidente della Repubblica, che esce illeso in quanto al momento dell’incidente si trovava in una delle due carrozze rimaste intatte. La sua presenza a bordo del convoglio lascia pensare a un attentato, come lui stesso suggerirà nelle interviste a caldo, pista subito abbandonata. Le prime notizie diffuse dagli organi di stampa parlano di eccessiva velocità del treno e ipotizzano lo stato di ubriachezza dei due macchinisti. Tale tesi non ebbe tuttavia alcun seguito al processo per “carenza di elementi probatori”. Alcune associazioni sindacali di categoria ipotizzano la frattura dell’albero di trasmissione anteriore della motrice di testa, che sarebbe caduto sul binario, impuntandosi e sollevando quindi il veicolo, ma anche questa teoria viene ben presto scartata.

La causa: velocità eccessiva del treno

L’incidente, alla fine, fu attribuito alla velocità eccessiva del treno che al momento dello svio stava viaggiando a 160 km/h, velocità di ben 55 km/h più alta rispetto al limite nella tratta incriminata, del valore di 105 km/h. Sono stati tutti assolti “per non aver commesso il fatto” i 25 dirigenti delle Ferrovie dello Stato finiti sotto processo con l’imputazione di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose e disastro ferroviario colposo. Per la difesa, il ‘codice 180’ è considerato dalle Fs un segnale di distanziamento treni. e non un dispositivo di sicurezza atto a frenare i convogli troppo veloci. Il processo ha vissuto anche una ‘guerra’ tra i periti: per quelli nominati dal pm, lo spostamento del segnale fu concausa della tragedia, per quelli degli imputati l’ ‘iter che portò alla decisione fu del tutto regolare e la modifica del ‘codice 180’ non era legata alla sicurezza dei treni.

L’INCIDENTE DI VIAREGGIO

Le Ferrovie dello Stato sono state condannate per la strage di Viareggio nei suoi massimi vertici: cinque anni di detenzione per Mauro Moretti (allora amministratore delegato di Fs), quattro anni due mesi e venti giorni per Michele Mario Elia, ex Ad di Rfi, e per Vincenzo Soprano, ex Ad Trenitalia, e quattro anni a Mario Castaldo, che era direttore divisione cargo di Trenitalia. Va osservato che Mauro Moretti è stato indagato come AD del Gruppo FS (assolto in primo grado) ma anche come AD di RFI. FS come società è stata assolta. Da quel terribile incidente, con trentadue vittime, sono passati quindici anni. Vincenzo Soprano è detenuto a Rebibbia, mentre la Cassazione deve ancora pronunciarsi sulle attenuanti per gli altri imputati.

Condannato il gruppo dirigente

Quando tutti i massimi vertici di un gruppo subiscono condanne penali per un gravissimo incidente ferroviario, è il gruppo nella sua interezza che viene chiamato in causa, quasi che fosse una organizzazione a delinquere. Per paradosso, a essere condannato per la strage di Viareggio è oltretutto proprio il gruppo dirigente delle ferrovie che ha più investito sulla sicurezza, introducendo tecnologie all’avanguardia nelle modalità di organizzazione della circolazione e dell’esercizio. Il piano di ristrutturazione della rete italiana ha comportato investimenti per 1,5 miliardi di euro. Lo sforzo profuso è stato talmente rilevante, negli anni Novanta del secolo passato, al punto tale da essere stato considerato da taluni persino eccessivo. L’Italia si era così posta all’avanguardia, in Europa e nel mondo, nelle innovazioni per la sicurezza.
Chi conosce come funziona tecnicamente il sistema ferroviario, sa che la sicurezza è l’architrave della filosofia aziendale, in modo ossessivo.

E chi ha dovuto analizzare per professione gli incidenti ferroviari sa che solo una serie di cause convergenti determinano un esito fatale. Nel caso di Viareggio, il fattore scatenante fu la rottura di un assile di uno dei 14 carri cisterna del convoglio, il primo in sequenza immediatamente dopo il locomotore: il cedimento strutturale determinò il deragliamento del treno merci 50325. In seconda battuta, la cisterna si sganciò dal carro. Nessuno dei due eventi, anche in sequenza, avrebbe generato, pur in combinato disposto, quello che poi è accaduto. Saranno altre due circostanze convergenti a provocare la strage. La cisterna subì uno squarcio che determinò la fuoriuscita del gas, e la scintilla, probabilmente dovuta ad un motorino di passaggio, determinò l’esplosione.

L’origine dell’incidente: manutenzione inadeguata

All’origine dell’incidente di Viareggio sta la manutenzione del tutto inadeguata del carro merci, il cui assile venne ritrovato con un logoramento nella struttura portante che risaliva a un periodo significativamente precedente. Il carro era stato immatricolato negli anni Settanta in Germania Est, era stato immesso sul mercato da una società internazionale di noleggio (Gatx), mentre le operazioni manutentive portavano traccia nel libretto solo a partire dal 2002, con interventi sempre effettuati in Germania.

Il dato oggettivo inconfutabile riguarda un processo manutentivo dell’officina tedesca totalmente e manifestamente inadeguato; si sarebbe preteso che in Italia tale operazione avrebbe dovuto essere ripetuta, nonostante le regole imperative europee centrate sulla interoperabilità Ma come era possibile che circolasse in Italia un carro merci con caratteristiche così carenti dal punto di vista della sicurezza? Quindici anni fa eravamo in una fase di passaggio della regolamentazione comunitaria verso la compiuta liberalizzazione.

La direttiva 49 sulla sicurezza ferroviaria del 2004

Nel processo di riassetto strategico del sistema ferroviario comunitario, certamente opportuno e positivo, esisteva all’epoca ancora qualche area grigia, dai contorni non ben definiti: il trasporto ferroviario delle merci in Europa era stato aperto alla competizione su scala comunitaria solo due anni prima dell’incidente, e le regole sulla sicurezza e sulla interoperabilità erano ancora in fase di completamento. La direttiva 49 sulla sicurezza ferroviaria, emanata dalla Unione europea nel 2004, assegnava il ruolo di unici pilastri del sistema di controllo ai gestori delle infrastrutture e alle imprese ferroviarie. L’Agenzia europea per la sicurezza ferroviaria era di là da venire.
Nessuno degli altri attori che concorrevano all’esercizio portava responsabilità, né gli organi di controllo amministrativo, né gli altri protagonisti del processo operativo, a cominciare dalle società di noleggio del materiale rotabile e dagli operatori di manutenzione, terzi rispetto al perimetro della gestione ferroviaria. L’incidente di Viareggio accadde proprio in questa delicata fase di transizione. Nessuno di questi elementi è stato adeguatamente considerato in fase processuale.

L’INCIDENTE DI PIOLTELLO

I pm di Milano Maura Ripamonti e Leonardo Lesti hanno chiesto, nel processo di primo grado, 8 anni e 4 mesi di carcere per l’ex Amministratore Delegato di Rfi, Maurizio Gentile, e altre 4 condanne per ex dirigenti, dipendenti e tecnici di Rete ferroviaria italiana nel processo sul disastro ferroviario di Pioltello, in cui il 25 gennaio 2018 – in seguito al deragliamento del regionale Cremona- Milano Porta Garibaldi – morirono tre persone e oltre 200 rimasero ferite.
E’ stata invece chiesta l’assoluzione invece per Moreno Bucciatini, l’allora capo del reparto programmazione e controllo dell’unità territoriale linee sud di Rfi; Ivo Rebai, ex responsabile della struttura operativa ingegneria della Dtp di Milano e Marco Gallini, all’epoca dirigente della struttura organizzativa di Rfi – servizi per i rotabili e per la diagnostica.

«Se un treno deraglia non a 140 chilometri all’ora, ma a 50 – ha aggiunto il pm – allora quasi sicuramente non muore nessuno». In un altro passaggio della lunga requisitoria è poi stato sottolineato che «non potendo sostituire tutti i giunti, si finisce per accettare il rischio che qualche giunto si rompa. O si interviene tempestivamente in continuazione oppure ogni tanto qualcosa si rompe. Intervenire ogni tanto costa meno». Ora, dovrebbe essere noto ad un magistrato che la manutenzione della rete ferroviaria nazionale è a carico dello Stato, ed è disciplinata nel contratto di programma. Non esiste alcun interesse o incentivo per il management aziendale di risparmiare alcunché: questa è una delle ottime ragioni per le quali la rete deve restare pubblica, oltre che perché l’infrastruttura ferroviaria è un monopolio naturale non duplicabile.

Il percorso di privatizzazione dell’infrastruttura ferroviaria

Strano piuttosto che nessuno dica nulla sul percorso di privatizzazione previsto, considerato che obiettivo del governo è quello di privatizzare il 40% del Gruppo FS nella configurazione unitaria ed integrata, comprendente anche il compendio della rete ferroviaria italiana. Il deragliamento, stando alle indagini, avvenne a causa della rottura di uno spezzone di rotaia di 23 centimetri nel cosiddetto «punto zero», sopra un giunto in pessime condizioni. Per la Procura quello di Pioltello fu un incidente causato da una lunga serie di «omissioni» nella «manutenzione» e nella «sicurezza», messe in atto solo per risparmiare.

L’ennesima condanna per ruoli apicali

“Per i pm di Milano gli ingegneri Umberto Lebruto (allora direttore della Direzione produzione di Rfi) e Vincenzo Macello (all’epoca direttore della Direzione territoriale produzione di Milano) non hanno evitato il disastro ferroviario di Pioltello. Per l’ennesima volta si pretendono condanne per ruoli apicali. Il reato è diventato una colpa per talune categorie sociali. Una deriva ignota al mondo civile occidentale”. Lo sostiene l’avvocatessa Ambra Giovene, difensore di Lebruto e Macello, imputati nel processo.
“Il processo ha dimostrato che ogni scelta è stata compiuta nel rispetto di un sistema complesso, correttamente regolato, certificato e organizzato. Ma osservare la legge non basta. Il sospetto è diventato regola di giudizio e la responsabilità da posizione pare tranquillizzare gli animi. È l’unico modo per non rendere giustizia né agli imputati né alle vittime. Le richieste di condanna non hanno alcun fondamento probatorio e si fondano su un pregiudizio che non dovrebbe mai trovare ingresso in un’aula di tribunale” conclude il difensore.

VERSO LA PARALISI DELLA RESPONSABILITÀ

Nei casi di Viareggio e di Pioltello essere al vertice delle strutture ferroviarie è stato considerato presupposto di comportamenti omissivi, per finalità sostanzialmente attribuite ad una trascuratezza manutentiva connessa al perseguimento del profitto. Nel processo viene ribaltato l’onere della prova. Si parte dal presupposto di colpevolezza.
La manutenzione non è più una attività disciplinata da regole prudenti che vanno rigorosamente rispettate. Si poteva sempre fare di più. L’inviluppo dei massimi conduce invece alla paralisi. L’apice della sicurezza viene raggiunto con i treni fermi. Tutto sommato si tratta di una prospettiva interessante. Il rischio zero non esiste scientificamente in natura. Lo creiamo astrattamente nel laboratorio delle aule di giustizia. Serve a placare una insana sete di giustizia.

Non basta minimizzare il rischio rendendolo basso ed accettabile, secondo l’acronimo inglese ALARP: as low as reasonably practicable. Ci riempiamo la bocca di analisi costi benefici, salvo poi a non praticare questi principi in modo sistematico, nemmeno nell’area degli investimenti per migliorare costantemente la sicurezza. Non deve esserci limite, neanche di ridondanza, per spendere denaro nelle azioni al fine di rendere impossibili gli incidenti ferroviari, pur se sappiamo che questo è un obiettivo irraggiungibile. La sicurezza deve diventare un pozzo senza fondo, e non sarà mai sufficiente. C’è sempre altro che non sarà stato fatto.

Lo Stato investirà sulla sicurezza fin quando sarà pubblica la proprietà e la gestione della rete ferroviaria

Alla radice di questo indirizzo processuale c’è l’idea, del tutto priva di fondamento, che risparmiare sulla sicurezza sia nel codice genetico dei dirigenti delle ferrovie. E’ vero esattamente il contrario. Anche perché non esiste alcun incentivo che possa spingere in direzione del risparmio economico su questa posta.
Lo Stato si fa carico correttamente di questi costi, almeno sino a quando sarà pubblica la proprietà e la gestione della rete ferroviaria. Forse, interrogarsi su cosa potrebbe accadere con la privatizzazione della proprietà delle ferrovie, ed in particolare della rete ferroviaria, proprio rispetto al tema della sicurezza, sarebbe altamente auspicabile, considerata la sciagurata esperienza inglese.

Quale sarà l’effetto dell’indirizzo che si sta affermando nella magistratura sul raggio della responsabilità del gruppo dirigente delle ferrovie? Si determinerà molto probabilmente un congelamento delle capacità decisionali. Il crampo burocratico della firma, proprio della peggiore burocrazia, riguarderà anche il gruppo dirigente delle ferrovie. La qualità del servizio sarà destinata a peggiorare, perché il principio ispiratore sarà quello di scaricarsi dalla responsabilità, non in ossequio alla sicurezza, ma traguardando il rimbalzo delle decisioni verso altri.

Chi pagherà per questi costi? Nessuno. E tutti vissero infelici e scontenti. Ovviamente ciò non significa immaginare nemmeno lontanamente l’impunità di chi eventualmente opera comportamenti consapevolmente omissivi determinando un disastro ferroviario. Partire dal presupposto contrario, immaginando che il gruppo dirigente delle ferrovie voglia risparmiare sulla sicurezza per realizzare profitti, è un teorema assolutamente privo di fondamenti logici.

Il Quotidiano del Sud.
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