Sinwar e gli USA: come il capo di Hamas può influenzare le elezioni e aiutare Harris o Trump

RMAG news

Forniremo qui notizie e analisi in successione, distinguendo le une dalle altre. Intanto una constatazione. Si sta verificando la “flemmatizzazzione” del conflitto in Medio Oriente, annunciata martedì scorso da l’Unità, in quanto obiettivo transitorio della Cia, ottenuta, con il sì di Joe Biden, grazie alla decisione strategica di trattare con l’ala dura di Hamas, comandata da Yahya Sinwar. Essa ha avuto due momenti forti: 1– la liberazione del commando americano catturato a Gaza durante la fallita operazione per la liberazione degli ostaggi nei tunnel (vedi l’Unità del 29 giugno e del 9 luglio); 2- il pagamento del riscatto è stata la consegna agli ayatollah di una lista con i nomi delle ventidue “fonti” interne al regime, che la Cia e il Mossad avevano da tempo arruolato tra Pasdaran e Basij (la malvagia polizia religiosa della Guida suprema Khamenei), usate dagli israeliani per uccidere a Teheran Ismail Haniyeh, capo dell’ufficio politico di Hamas.

Sia chiaro. La risposta militare iraniana come ritorsione contro Israele è attesa di ora in ora, ma il segnale intanto è arrivato: rallentamento della risposta come richiesto da Cia con il consenso di Biden (e Mossad come anche dell’ Idf) e il dissenso di Bibi Netanyahu. Hamas e Iran hanno mantenuto i patti, tenuto a freno i 15mila Hezbollah già sul pezzo, scalpitanti e straboccanti di armi e componenti di missili fornite da russi, cinesi e coreani del nord, introdotte dal confine siriano; bloccando sia gli Houthi, anch’essi impazienti, che le milizie sciite in Iraq. I servizi segreti americani e israeliani sul campo stanno cercando di dimostrare ai rispettivi leader politici e agli Stati maggiori degli eserciti che, se si vuole arrivare intanto a un raffreddamento della crisi, per poi puntare a una soluzione stabile, questo può passare soltanto dalla deep diplomacy, che è il core business dell’intelligence, essendosi dimostrata la sola strada oggi praticabile rispetto sia all’impotenza delle trattative ufficiali (quelle condotte attraverso la segreteria di stato Usa e appunto il disgraziato Haniyeh, un corrotto che non contava nulla) che al costo umano enorme e non risolutivo dell’intervento militare totale.

L’ala dura, durissima di Hamas – filo iraniana – ne esce certo rafforzata come unica autorità palestinese a Gaza. Giova? Due le soluzioni possibili: l’eliminazione chirurgica dei suoi capi; una trattativa che porti a uno scambio tra ostaggi israeliani e detenuti palestinesi, con la garanzia americana di tregua permanente. I capi reali ed effettivi di Hamas erano tre. È rimasto sulla tolda di comando solo quello che in ordine gerarchico era già il numero uno: il crudele e carismatico Sinwar, detto il “macellaio di Khan Younis”, dal nome del campo di rifugiati dov’è nato 61 anni fa. Gli altri due sono stati liquidati. Mohammed Deif è forse ancora vivo ma fuori combattimento dallo scorso luglio, mentre Saleh Arouri è stato ucciso a Beirut il 4 gennaio con un missile in un palazzo del quartiere sciita di rientro dal Cairo. La Shura, il Consiglio, composta tra i 40 e i 50 membri più autorevoli di Hamas, ha votato all’unanimità come capo politico con sede ufficiale a Doha, proprio Sinwar, il quale naturalmente non è in condizione di spostarsi agevolmente dai tunnel ma ha comunque messo fuori gioco il miliardario che aveva cercato di farsi accreditare come successore di Haniyeh, il corrotto Muhammad Ismail Darwish, residente a Doha, e nominalmente presidente della Shura. Sinwar, rafforzato dalla trattativa vincente con la Cia, ha nominato come suo vice e capo militare un suo allievo, che ha condiviso con lui le prigioni israeliane, e che in malvagità ha superato il maestro, Fathi Hamad 55/60 anni. La specialità della scuola è l’eliminazione dei collaborazionisti. I quali sono indotti a parlare versando sulla loro testa non la goccia cinese, micidiale ma a base di acqua, bensì quella di olio bollente.

Sinwar era stato arrestato e imprigionato dagli israeliani nel 1988, dopo la condanna a quattro ergastoli. Musulmano estremista fin dalla giovinezza, si era associato ad Hamas dalla nascita nel 1987. Capo della polizia religiosa era specializzato nell’uccisione, oltre che di presunte spie impiccate dopo la confessione ottenuta con l’accennato metodo di tortura, allo sgozzamento con il machete di chi tenesse in casa riviste pornografiche (ha decapitato un autista per tale colpa) oltre che di omosessuali e di sospetti adulteri e adultere. A volte seppellendoli vivi. Yahya Sinwar: il culmine del terrore. In carcere per 23 anni, in cella aveva libri e uso di biblioteca e giornali, fino a parlare correntemente l’aramaico e l’ebraico, conoscere gli ingranaggi degli organi di sicurezza e le tecniche del Mossad. Acquista l’autorità di guida di tutti i prigionieri, ordinando l’assassinio a Gaza della sorella di un compagno di Hamas che aveva visto in cella triste per la notizia di una relazione adulterina della congiunta. Due giorni e la donna fu trovata giustiziata con tanto di cartello con l’accusa infamante. Il segnale dato con questa elezione unanime e la nomina del peggior luogotenente possibile è un avviso a Netanyahu.

Comanda chi ha preparato e organizzato con infamia perfetta il 7 ottobre. Sapeva che il Mossad aveva rinunciato all’intelligence umana (humint) per consegnarsi all’elettronica. Aveva anche messo alla prova la reattività israeliana, diffondendo ad arte l’annuncio a fine settembre 2023 che di lì a poco nelle prigioni ebraiche ci sarebbe stata festa. Non fu capito. Era la prova del nove dell’impreparazione totale dello Stato ebraico a guida Netanyahu. Il Mossad ha fatto autocritica pubblica, attraverso il suo capo David Barnea, e da qualche giorno si è deciso a riconoscere il suo errore anche il premier israeliano che punta a eliminare fisicamente, costi quel che costi, il nemico assoluto Sinwar. Il quale limita a pochi minuti le sue uscite dai tunnel per raggiungere la superficie. Ma da lì sotto sarà lui a comandare e a stabilire se e come liberare gli ostaggi. E la condizione – ripeto – è la liberazione dei prigionieri palestinesi e la garanzia americana che Israele non metterà più piede nella Striscia né bombarderà. Si sente al sicuro, circola nei tunnel rimasti ancora intatti – alcune centinaia di km – , va a trovare i sequestrati, e li saluta con deferenza. Ovvio: sono il suo tesoro. Del resto, Sinwar è uno dei 1027 a cui furono aperte le porte delle celle in cambio della restituzione alla sua famiglia del sergente Gilad Shalit il 18 ottobre 2011, dopo quattro anni di prigionia nei tunnel.

Il leader di Hamas è consapevole che sarà forse lui a influenzare la scelta di chi potrà essere il prossimo presidente americano. Cerca attraverso la Cia una soluzione – una trattativa – , e sa di avere in questa strategia Biden e Kamala Harris come alleati obtorto collo. Mentre Netanyahu punta sulla presidenza Trump, che di sicuro non consentirebbe, se vittorioso, alla Cia di negoziare. Sono i paradossi orrendi delle guerre e della lotta al terrorismo. Io resto convinto che le operazioni di humint intelligence siano quelle più efficaci, meno stentoree, ma capaci di salvare vite, ed estenuare la capacità propagandistica del jihadismo. Il 17 settembre 2004, governo Berlusconi-Letta, fu un’operazione di intelligence “umana” del Sismi a impedire l’11 settembre italiano, che avrebbe provocato centinaia di morti e conseguenze catastrofiche. Usando fonti reclutate sul posto e penetrando il gruppo terroristico salafita/jihadista, una squadra del controspionaggio del Sismi arrestò a Beirut, insieme ai servizi libanesi, Ahmad Salim Miqati (ricercato dalle più importanti agenzie di intelligence del mondo). Miqati plenipotenziario di al-Qaida prima e poi dell’Isis in Medio Oriente, stava portando a termine con circa 40 terroristi, tutti catturati, un attentato alla nostra ambasciata a Beirut con un’auto imbottita con 400 kg esplosivo. L’alternativa all’intelligence è la guerra, più o meno totale, ma di certo infinita.

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