“Starmer vincitore, ma dopo i disastri dei Tories non aspettatevi la rivoluzione”, parla Donald Sassoon

RMAG news

“Il grande merito di Starmer è stato quello, per usare un adagio cinese, di aver aspettato il cadavere dell’avversario politico sul greto del fiume. Fuor di metafora, il leader del Labour Party e neopremier ha saputo massimizzare i disastri a raffica collezionati da cinque primi ministri Tories, uno più incapace dell’altro. In politica, saper giocare sui fallimenti degli altri non è roba da poco”. Il voto in Gran Bretagna analizzato da uno dei più autorevoli storici inglesi e della sinistra europea: il professor Donald Sassoon, allievo di Eric J. Hobsbawm, professore emerito di Storia europea comparata presso il Queen Mary College di Londra, autore di numerosi libri di successo, tra i quali Cento anni di socialismo. La Sinistra nell’Europa occidentale del XX secolo (Editori Riuniti) e il recente Storia globale del capitalismo. 1860-1914 (Garzanti). I suoi lavori sulla realtà politica, culturale ed economica europea, sono attualmente tradotti in più di dodici lingue.

Trionfo laburista (33,8% dei voti, 412 seggi in Parlamento, raddoppio della loro presenza a Westminster), bastano 326 seggi per avere la maggioranza). Tracollo epocale dei conservatori, al potere da 14 anni (23,7%, meno 250 seggi, al minimo dal 1834, anno della fondazione del partito). Restando al voto: i Liberaldemocratici hanno più che quintuplicato il numero dei seggi, ottenendone 71, mentre Reform Uk di Nigel Farage, la reincarnazione del Brexit Party, ha fatto breccia tra l’elettorato di destra, (14,3%, terzo partito). Professor Sassoon, è la rivoluzione delle urne?
La rivoluzione c’è stata, ma non è per nulla quella narrata su tutti i giornali, cioè di una travolgente valanga laburista. Restiamo ai dati: il Labour Party di Keir Starmer ha ottenuto il 33,8% dei voti, qualcosa in più, ma non tanto, in termini percentuali rispetto al precedente risultato registrato nel 2019 dal Labour guidato da Jeremy Corbyn. Se di “rivoluzione”, nel senso di evento epocale traumatico, si può parlare, questo riguarda la disfatta del Partito conservatore. A dar conto della dimensione della disfatta non è tanto il crollo nei seggi ma quello nei voti. Sono precipitati al 23,7%, meno venti punti.

Dove sono andati quei voti, professore?
Sono andati al Reform Uk, il partito di estrema destra di Nigel Farage. C’è stata poi una piccola avanzata, in termini di consensi elettorali, dei Liberaldemocratici. Questo dimostra ancora una volta di quanto sia bizzarro il sistema elettorale britannico.

In che senso “bizzarro”?
È un sistema che funziona se ci sono soltanto due partiti o un terzo, più piccolo. Ma quando ce ne sono parecchi, è assolutamente pazzesco. Il Labour Party con il 33 e rotti per cento dei voti, ha ottenuto due terzi dei seggi parlamentari. Questo è dovuto anche dal fatto che in Scozia è crollato il partito nazionalista che era diventato il terzo partito nel Parlamento ed era il primo partito in Scozia. A causa di diversi scandali, hanno perso punti e il Labour, che vent’anni fa era il primo partito in Scozia, ha riconquistato un grande numero di seggi. Insomma, la grande avanzata dei laburisti è dovuta sostanzialmente al crollo dei conservatori più che alle iniziative di Starmer.

Cosa c’è alla base del tracollo Tory?
Il tracollo dei Tories è dovuto ad una serie di fatti. In primo luogo, la successione di cinque primi ministri in quattordici anni, cosa alquanto rara in un paese come la Gran Bretagna. Il fatto che David Cameron ha indetto un referendum, quello sulla Brexit, che pensava di vincere e invece ha perso seppur di pochi voti. Secondo i sondaggi alla maggioranza dei britannici oggi rincresce di essere usciti dall’Unione Europea. Dopo Cameron, al 10 di Downing Street si è insediata Theresa May, altro fallimento. Poi Boris Johnson, il quale era sì divertente, ma fare le feste con lo champagne mentre esortava tutti i britannici a restarsene a casa, ai tempi funesti del Covid, beh, non è una cosa che testimonia una grande saggezza politica. Ma visto che al peggio non c’è mai fine, a Boris Johnson succede Liz Truss, che in sole tre settimane ha fatto quasi tracollare l’economia britannica. E poi siamo arrivati a Rishi Sunak, sul quale, per umana carità, è meglio stendere un velo pietoso. Questi sono i cinque primi ministri conservatori, nessuno dei quali ha brillato, per usare un benevolo eufemismo. A tutto ciò va aggiunto, nella colonna disastri, il fatto che l’inflazione è molto alta, che il prezzo dei generi alimentari è aumentato del 25% negli ultimi due anni, che il reddito per famiglia non è aumentato dalle elezioni del 2019, quando fu nominato Primo ministro Boris Johnson, mentre di solito aumentava almeno del 2%. Poi abbiamo la profondissima crisi che attanaglia il Servizio sanitario nazionale: la gente deve aspettare mesi per una operazione, settimane per vedere un medico, le liste di attesa per tutte le condizioni sono ormai di sette milioni in un paese di 65 milioni di abitanti. C’è poi l’affare dell’acqua.

Vale a dire?
Le compagnie delle acque, mentre hanno dato somme ingenti ai loro azionisti, in molte parti del paese, soprattutto laddove i conservatori erano forti, consigliavano alla gente di non bere l’acqua del rubinetto perché non era potabile. Possiamo andare avanti in questi innumerevoli cahiers de doléances. Ad esempio, la condizione scioccante in cui versano le carceri. Talmente affollate, che persino i capi della Polizia hanno detto che così non si può continuare. In mezzo a tutto, questo, dove occorrerebbero più medici, più infermieri, c’è il tentativo di bloccare l’immigrazione. Un tentativo che per fortuna sta fallendo. Abbiamo bisogno di migranti, perché in Gran Bretagna come nel resto d’Europa, la gente invecchia, vive più a lungo, e ha bisogno di spese mediche, mentre nell’800 morivano a cinquant’anni e non se ne parlava più. Senza l’immigrazione in Gran Bretagna non ci sarebbe il sistema sanitario pubblico.

Venerdì 5 Luglio 2024. Inizia l’era di Keir Starmer, neopremier del Regno Unito. Cosa c’è da attendersi da lui?
Non si sa bene cosa attendersi, perché per poter vincere ha adottato la strategia, che ha pagato alla grande, di non fare promesse. Criticare i conservatori, ma senza sbilanciarsi troppo. Tra le poche promesse che ha fatto in campagna elettorale c’è che non aumenterà le tasse, se non alcune tasse che sono pagate dai super ricchi che sanno benissimo come fare per evaderle. Non ci sarà un aumento significativo negli introiti delle casse dello Stato. H anche promesso di non aumentare il debito pubblico. Ma se non si aumenta il debito pubblico, se non si aumentano le tasse, è chiaro che non si può neanche incrementare la spesa pubblica, cosa che sarebbe necessaria per mettere a posto tutti i problemi che ho in precedenza elencato. È probabile che non accadrà nulla di particolarmente notevole.

E sul piano della politica estera?
Non cambierà assolutamente nulla. Continuità nel sostegno all’Ucraina e sul Medio Oriente appoggio a Israele. In buona sostanza, la politica estera britannica rimarrà ancorata a quella americana. Se gli americani cambieranno posizione su Zelensky o Bibi Netanyahu, anche il Labour Party cambierà la propria posizione né ci sarà un tentativo di rinegoziare gli accordi con l’Unione Europea. Starmer ha detto chiaramente che non cercherà di far parte del mercato unico. Ci sarà un negoziato, questo sì, ma non sulle cose più importanti.

Lei conosce molto bene anche la realtà italiana. Da più parti, si prova a tirare il risultato delle elezioni britanniche verso il proprio “mulino” interno. Si sostiene, ad esempio, che la sinistra può tornare a vincere se si fa “centrista”.
Su questo punto bisogna essere estremamente chiari e onesti intellettualmente. Anche nelle elezioni in Gran Bretagna, che sembrano aver visto una vittoria della sinistra, al contrario di Italia, Francia, Germania etc, in realtà la vittoria vera è quella dell’avanzata dell’estrema destra di Farage. Questo farà sì che il Partito conservatore si sposterà più a destra e il Labour Party, non avendo nemici importanti a sinistra, si sposterà ancora di più verso il centro. Tutto l’asse politico britannico è più probabile che si orienti verso il centro-destra che a sinistra.

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