Strage di Cutro, la testimonianza: “Eravamo 21 familiari, sono quasi tutti morti”

Strage di Cutro, la testimonianza: “Eravamo 21 familiari, sono quasi tutti morti”

Il Quotidiano del Sud
Strage di Cutro, la testimonianza: “Eravamo 21 familiari, sono quasi tutti morti”

Deposizioni frammentarie in aula: la testimonianza del dramma dei superstiti sulla Strage di Cutro; testi ancora sconvolti

CROTONE – «È passato tanto tempo, molte cose le ho dimenticate». È stata una testimonianza inframezzata da tanti “non ricordo”, quella di un giovane afghano, tra i superstiti del naufragio di Cutro, che ha sopportato un dolore immane: «ho perso tutta la mia famiglia, sei persone, compresi mio padre e mia madre». La testimonianza in videoconferenza dalla Germania è iniziata con un colpo di scena in quanto le generalità non corrispondevano a quelle dichiarate in sede di sommarie informazioni e quindi si è scoperto che il teste è minorenne.

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Forse c’erano state difficoltà di comprensione perché, altra scoperta, il suo dialetto è il pashtu e non il dari, in cui si è svolta la prima parte dell’esame. Quei “non ricordo” sono dovuti al fatto che nei giorni immediatamente successivi alla tragedia, quando è stato sentito dagli inquirenti, il giovane non ha dormito. «Stavo tanto male». E quindi non ricordava alcune circostanze che il pm Pasquale Festa rievocava al fine di aiutarlo nella memoria.

«NON HO VISTO L’ARMA»

Ad esempio, non ricordava che fosse armata la persona che avrebbe minacciato i migranti. «Non ho visto l’arma», ha detto rispondendo al pm che contestava che il teste aveva dichiarato che durante la traversata i migranti erano controllati da due pakistani che garantivano l’ordine a bordo e si interfacciavano con l’equipaggio. «Durante la prima parte del viaggio il mare era calmo, ma gli ultimi giorni era agitato, i migranti volevano chiamare la polizia, i trafficanti scendevano per mantenere la calma perché eravamo quasi arrivati in Italia e non dovevamo preoccuparci».

Il teste però ha negato di aver visto l’arma, contrariamente a quanto dichiarato a sommarie informazioni, quando sostenne che qualcuno minacciò i migranti. Inoltre, non ha riconosciuto il pakistano che li faceva salire sopra coperta per prendere aria anche se ha individuato in foto colui che, prima di imbarcarsi, mentre i migranti percorrevano una foresta indicava la strada. E ancora, il teste ha affermato che «guidava» un turco ma non sarebbe in grado di dire chi erano gli altri componenti dell’equipaggio se non che «si alternavano alla guida». Evasivo il teste anche sul ruolo degli imputati nell’organizzazione della safe house.

L’esame – condotto anche dagli avvocati Teresa Paladini, che assiste Sami Fuat, di 50 anni, turco, e dall’avvocato Salvatore Perri, difensore di Khalid Arslan, di 25, e Ishaq Hassnan, di 22, entrambi pakistani, tutti accusati di naufragio colposo, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e morte in conseguenza di altro reato – si è concluso con l’augurio di un «futuro migliore» rivolto al teste dal presidente del Tribunale, Edoardo d’Ambrosio.

LA TESTIMONIANZA DI NAMZAI ALI SULLA STRAGE DI CUTRO

Dello stesso tenore la testimonianza di un altro afgano sopravvissuto, Namzai Ali, che, invitato dall’avvocato di parte civile Pietro Vitale a ripercorrere la dinamica della tragedia, ha detto che non vuole ricordare perché è ancora sconvolto. «Siamo partiti in 21 con i miei familiari, tra morti e dispersi siamo rimasti vivi soltanto in sei». Si era buttato in mare dal caicco Summer Love che andava in frantumi, dopo lo schianto contro la maledetta secca di Steccato di Citro, insieme alla fidanzata e poi non l’ha più trovata.

Ha sostanzialmente confermato quanto dichiarato in sede di sommarie informazioni un altro sopravvissuto, Kabiry Roullah. A lui i pakistani avrebbero raccontato che la decisione di ritardare lo sbarco per approdare di notte era stata presa per eludere i controlli e poter rientrare con l’imbarcazione per organizzare altri viaggi.

Il Quotidiano del Sud.
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