Suicidio assistito: le false ragioni di chi si oppone alla libertà di scelta

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1. Riassunto della puntata precedente (l’Unità, 8 giugno). Mercoledì 19, la Corte costituzionale si pronuncerà su un nuovo “caso Cappato”. Nasce da un processo in cui è accusato, con altre due militanti, di aver agevolato il suicidio in Svizzera di un malato di sclerosi multipla incurabile, causa di sofferenze insopportabili, liberamente deciso a darsi la morte, ma che non dipendeva (ancora) da un supporto salvavita. In simili casi, l’imputazione per il delitto dell’art. 580 c.p. è dovuta, ma sarebbe incostituzionale. Appare irragionevole, infatti, escludere il reato di aiuto al suicidio solo in presenza di «trattamenti di sostegno vitale». Perché è una condizione scientificamente indeterminata. Aleatoria e giuridicamente discriminatoria. Scollegata dagli altri requisiti necessari per accedere alla procedura di morte medicalmente assistita. Sproporzionata rispetto allo scopo di evitare una generalizzata deriva eutanasica. Incompatibile con la dignità e l’autodeterminazione del malato. Contraria alla vita privata, tutelata dalla CEDU, che include il diritto di decidere quando e come morire. In ragione di ciò, il Gip di Firenze ha rovesciato sull’art. 580 c.p. un camion di eccezioni d’incostituzionalità (per violazione degli artt. 2, 3, 13, 32 e 117, 1° comma, Cost.).

2. Sarà un’udienza affollata, non solo per la presenza delle parti private e dell’avvocatura dello Stato. Idealmente, infatti, risuonerà l’eco delle voci dei tanti amici curiae che hanno depositato memorie pertinenti alla quaestio. E se in appoggio alle censure del Gip di Firenze c’è solo una ristretta pattuglia (UCPI, Associazione Luca Coscioni, Società della Ragione, Consulta di Bioetica), ben più folto è il plotone a difesa della norma impugnata (Esserci per Essere, Movimento per la Vita, Centro studi Rosario Livatino, Osservatorio di Bioetica di Siena, Unione per la promozione sociale, Scienza&Vita, Unione Giuristi Cattolici Italiani, Associazione Medici Cattolici Italiani, Ditelo Sui Tetti, Family Day, Nonni 2.0, Osservatorio sull’attività parlamentare Vera Lex). In solido con il Governo, alcuni di essi chiedono di non affrontare nel merito la quaestio, tali e tante sono le ragioni processuali che la renderebbero inammissibile. Se avranno ragione, l’ingresso di Palazzo della Consulta rimarrà sbarrato all’iniziativa del Gip di Firenze. Si tratta, dunque, di un tornante decisivo. Un collegio costituzionale diviso (come s’intuisce dalla nomina di due giudici relatori fatta dal presidente Barbera), davanti a una quaestio così controversa, potrebbe essere tentato dall’uscita di sicurezza di una decisione meramente processuale. Un nulla di fatto. Il cerino acceso resterebbe in mano al Gip di Firenze e, in futuro, ai giudici chiamati a decidere casi analoghi. Nell’attesa vana di un legislatore cieco e sordo alla sorte di tali malati terminali, abbandonati con indifferenza al loro destino. Quali sono questi ostacoli processuali?

3. Ecco il primo: il Gip di Firenze non avrebbe impugnato una legge. La necessità di «trattamenti di sostegno vitale», infatti, non compare nell’art. 580 c.p., scaturendo dalla sent. n. 242/2019 pronunciata nel “caso Cappato-DJ Fabo”. Ma la Consulta è giudice delle leggi, non di altro. L’argomento è viziato da un’idea astratta del sindacato di costituzionalità. La verità è che la Corte «giudica su norme, ma pronuncia su disposizioni» (sent. n. 84/1996). La disposizione legislativa è il necessario vettore, in entrata e in uscita, del giudizio di costituzionalità che, però, riguarda il significato normativo della disposizione impugnata. Ebbene, come dimostra la prassi post sent. n. 242/2019, nell’applicare l’art. 580 c.p., Asl e giudici tengono conto delle condizioni in presenza delle quali è riconosciuta legittima la procedura di morte assistita e scriminata l’agevolazione al suicidio. Tra queste, la sopravvivenza del malato grazie a «trattamenti di sostegno vitale».
Con la sua iniziativa, il Gip di Firenze non ha scambiato una sentenza per legge, né la Corte costituzionale per il Parlamento. Si è mosso, semmai, nella consapevolezza che le norme sono non quali appaiono in astratto, ma quali sono applicate in concreto.

4. Ecco il secondo ostacolo. La quaestio sull’art. 580 c.p. sarebbe, in realtà, un surrettizio ricorso diretto contro la sent. n. 242/2019 per aver introdotto, tra le condizioni necessarie a escludere il reato, la dipendenza da «trattamenti di sostegno vitale». Ma «contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione» (art. 137 Cost.). Ecco perché simili ricorsi sono inammissibili di default, mirando a censurare il merito di una pronuncia di cui si cerca di eludere la forza vincolante (art. 136 Cost.). Così la Consulta ha sempre difeso le proprie sentenze manipolative, con le quali plasma la disposizione impugnata nell’unico modo possibile per renderla conforme a Costituzione. Ma la sent. n. 242/2019 non è stata scritta «a rime obbligate»: vi si legge, infatti, che i quattro criteri introdotti per circoscrivere l’operatività dell’art. 580 c.p. sono sì «costituzionalmente necessari, ancorché non a contenuto costituzionalmente vincolato».
Vale anche per il requisito del supporto salvavita: la sua presenza è un’opzione possibile, dunque, ma non inderogabile. Del resto, auspicando l’intervento del Parlamento, la Consulta non ha escluso una differente disciplina della materia, così confermando che quello in esame va considerato, al più, un requisito eventuale.

5. D’altra parte, il giudicato della sent. n. 242/2019 ricalcava la peculiare condizione clinica di Fabiano Antoniani, la cui sopravvivenza dipendeva da supporti salvavita. La dinamica è nota: rimasto senza seguito il monito alle Camere per l’approvazione di una legge generale e astratta (ord. n. 207/2018), la Corte è poi intervenuta sull’art. 580 c.p., sagomando la norma su quella vicenda, così da contenere la discrezionalità della sua supplenza legislativa. Il caso all’esame del Gip di Firenze è diverso. Nuova, dunque, è la quaestio prospettata alla Consulta, anche giuridicamente: allora, in gioco era il divieto assoluto di aiuto al suicidio; ora, invece, è il divieto condizionato del medesimo reato. Cadono così altri due ostacoli processuali. Non è vero, infatti, che il Gip di Firenze riproporrebbe una questione già risolta in precedenza, contro il divieto del bis in idem. Né è vero che si chiederebbe ai giudici costituzionali la paradossale ammissione di aver violato la Costituzione con la sent. n. 242/2019: nessun autodafé, perché oggi sono chiamati a pronunciarsi (non sul loro precedente, bensì) sull’art. 580 c.p. in relazione a un’inedita fattispecie.

6. Infine, la quaestio sarebbe inammissibile perché processualmente irrilevante: il Gip di Firenze, cioè, avrebbe impugnato una norma (l’art. 580 c.p., ridefinito dalla sent. n. 242/2019) inapplicabile al suo giudizio. Taluni amici curiae si affaticano a spiegarne le ragioni: inutilmente, perché viziate da un equivoco di fondo. Interpretare la legge ai fini della sua applicazione è compito dell’autorità giudiziaria, non della Corte costituzionale. Essa, semmai, è chiamata a svolgere un controllo di mera plausibilità sulla relativa motivazione addotta dal giudice. Ciò – è il caso di aggiungere – indipendentemente dagli effetti che l’eventuale dichiarazione d’incostituzionalità avrà sull’esito del processo davanti al Gip di Firenze: infatti, «il presupposto della rilevanza non si identifica con l’utilità concreta di cui le parti in causa potrebbero beneficiare a seguito della decisione» della Corte (sent. n. 253/2019). Con buona pace dell’opposto parere dell’avvocatura dello Stato.

7. Chiedo venia al lettore per i troppi tecnicismi, ma qui la forma (processuale) è davvero sostanza. L’auspicio è che i giudici costituzionali evitino scelte di rito evasive. Ne uscirebbe, altrimenti, un’algida decisione disincarnata, rispetto ai drammi tragicamente riassunti nella quaestio del Gip di Firenze.