Un terzo del pianeta ha fame, due terzi se ne frega: ieri morti 18mila bambini, ma noi parliamo di Spalletti

RMAG news

Non so esattamente quante persone sono morte ieri in Sudan. Di fame o di sete. Probabilmente circa 10 mila. Almeno la metà bambini. Forse anche più della metà. Nel resto del mondo sono morte di fame o di sete circa 14.000 persone. Di queste, calcolano gli istituti dell’Onu che si occupano del problema, circa tre quarti sono bambini con meno di 5 anni di età. Piccolissimi. Chiedono da mangiare, piangono, soffrono: poi muoiono. In braccio alle mamme o alle zie, se la mamma è già morta anche lei di fame. Qualcuno di voi sicuramente ha letto Dickens. L’immaginazione del grande scrittore inglese, e la sua capacità di romanzare, di raccontare, di toccare le emozioni, sono niente di niente in confronto a quello che sta succedendo nel mondo di oggi. Dico nel mondo reale.

Noi giustamente ci indigniamo, e strepitano, e ci accapigliamo fra chi dà ragione ai russi, chi agli ucraini, chi ai palestinesi, chi agli israeliani. Ignoriamo il fatto che queste due guerre atroci e spietate, folli e infami, queste due guerre messe insieme non producono nemmeno un decimo dei morti prodotti dalla fame. Giusto una settimana fa su questo giornale abbiamo denunciato, con un articolo di un professore di Roma Tre, Matteo Caravani, quello che sta succedendo in Sudan. Si prevede che nelle prossime settimane moriranno di fame e di sete, in Sudan, circa 750 mila persone. Però in questi grandi numeri si nascondono delle ingiustizie ancora più grandi dei numeri. Per esempio il fatto che tra i morti, la grande maggioranza è rappresentata dai bambini. Sono i tre quarti delle vittime. Perché sono meno resistenti, più piccoli, più fragili. Reggono con meno facilità alla tortura della fame. Mi ha colpito come la denuncia che abbiamo lanciato la settimana scorsa abbia lasciato nella totale indifferenza l’intero sistema dell’informazione italiana. 750 mila morti divisi in poche settimane vuol dire più di diecimila morti al giorno. Mi chiedo cosa scriverebbero i giornali se arrivasse la notizia che ieri a Gaza o a Kiev sono state uccise 10 mila persone. Titoli a nove colonne, speciali Tv. E sarebbe una reazione giusta, sacrosanta.
E per i sudanesi? Basta una scrollata di spalle, una smorfia triste con gli occhi.

Voi dite che è giusto così? Che è logico che ogni paese si occupi dei suoi problemi e che non possa prendersi in carico dei problemi degli altri? Prima gli italiani in Italia, i francesi in Francia, gli americani in America? Questo modo di pensare si chiama sovranismo. Se provi a contestarlo ti dicono che sei buonista, che non conosci la realtà, che stai nella ztl e non sai cos’è la periferia di Roma. Io invece so cos’è: è un posto dove si vive malissimo, e questa è una ingiustizia e va sanata. Con la politica, con la lotta, con le leggi. Però è un luogo dove si vive. La differenza col Sudan è la stessa differenza che c’è tra la vita e la morte. Non ha nessun senso mettere in relazione e in interdipendenza i grandi problemi sociali che ci sono in Italia, e in Europa, e negli Stati Uniti con la tragedia cosmica della fame nel mondo e della morte per fame in un terzo del pianeta. È successo qualche volta, seppure raramente, qui in Italia, che qualcuno, poverissimo, morisse di fame o di freddo. E giustamente in quelle occasioni i giornali hanno messo la notizia in prima pagina. Volete sapere quanti sono, nelle 58 nazioni più povere del mondo, le persone che vivono in condizione di sottoalimentazione, cioè di fame, e rischiano la morte? Nel girone più basso, quello dell’agonìa, ci sono 750 milioni di persone. Nel girone appena un po’ più alto, quelli che non sanno se domani potranno mangiare, ci sono 2,4 miliardi di persone. Quasi un terzo dell’intera popolazione mondiale.

Nel 2005 in una grande conferenza alla quale parteciparono i rappresentanti di quasi tutti i paesi del mondo, fu posto l’obiettivo “2030 fame zero”. Allora a rischio di morte per fame c’erano 793 milioni di persone. Da allora è iniziato un calo, lento lento ma importante. Nel 2017 gli affamati erano 571 milioni. Cioè si erano ridotti di 222 milioni. Il ritmo era buono, e lasciava sperare bene. Ogni anno 18 milioni in meno. Altri trent’anni, proseguendo con quel ritmo, per arrivare all’obiettivo. Tanti, ma un lume di speranza. Dal 2018, che più o meno è l’anno nel quale esplode nel mondo il sovranismo e finisce l’era della globalizzazione, e tutte le politiche in Occidente si spostano a destra, la curva si inverte e torna a salire. Oggi il numero delle persone che vivono nella fame è uguale al 2005. Quasi 800 milioni di persone 12 volte l’Italia. E rischia di crescere ancora. In parte è stata colpa del Covid, e del rallentamento delle economie. In parte delle guerre. In parte delle politiche economiche.

Pensate all’Italia: in che termini ci si occupa del mondo più povero? Usando un solo pensiero: “come respingerli”. Se provi a porre il problema, ti rispondono arroganti: “Cosa vuoi fare, accoglierli tutti in Europa? Prenditeli a casa tua”. E così nascono i piani Salvini, su come bloccare i profughi in mezzo al mare, o il piano Meloni, che lei chiama piano Mattei (offendendo il ricordo di un grande personaggio della politica e dell’economia italiana) e che significa esattamente questo: pagare i governi dei paesi più poveri perché impediscano ai loro cittadini di tentare di raggiungere l’Europa. Dicono le destre (ma anche spesso hanno detto le sinistre): bisogna distinguere tra esuli politici ed esuli economici. Gli esuli economici sono solo furbacchioni. Già. Se quei 18 mila bambini che sono morti ieri avessero tentato di trovare rifugio da noi, e ci avessero chiesto una pagnottella, avremmo risposto loro: via di qui, furbacchioni.

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