Vangelo, il manuale di sovversione più noto e meno applicato del mondo

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È possibile parlare oggi del Vangelo, senza essere retorici, senza finire nel catechismo? Padre Antonio Spadaro, sottosegretario del Dicastero vaticano della Cultura e finissimo critico letterario, sembra aver trovato la chiave giusta in Gesù in cinque sensi. Un racconto di carne ed ossa (Marsilio). Ci trasporta lì in mezzo, tra Gesù, gli apostoli, i farisei, la gente del popolo. Si inventa una cinepresa nascosta e crea quello che Liliana Cavani nella prefazione chiama “un film da leggere”. E si tratta di lettura guidata non tanto da una ricerca “spirituale” quanto dai cinque sensi: un Gesù da vedere, ascoltare, toccare, un Gesù perlopiù “disadattato” che mescola il fango con la saliva per guarire un cieco, che ci chiede di essere gustato come il sale, poiché “il cristianesimo vive di un’ordinaria esperienza mistica senza la quale la fede diventa ideologia” (le idee infatti non si toccano né si mangiano).

Così si anima davanti ai nostri occhi quello che è il “più bel racconto che sia mai stato scritto” (Pasolini). Inoltre Spadaro sa bene che la musica e le arti visive sono capaci di mostrarci Dio meglio della parola letteraria: molti i rimandi ad artisti contemporanei, e in particolare alle tele di Rothko, con il loro buio luminoso. I temi sono innumerevoli. Provo a soffermarmi su alcuni che ritengo più significativi. Anzitutto: chi è il nostro prossimo? Il buon samaritano è l’unico che semplicemente vede l’ebreo derubato e percosso dai briganti ai margini della strada. Gli altri non lo vedono. La compassione è accorgersi, dare realtà a qualcuno: “chi è altrove non ha alcun prossimo”. La parabola di Marta e Maria contiene un messaggio prezioso: Maria, seduta in silenzio ai piedi di Gesù, e dunque “capace di perdere tempo” è in grado di ospitare Dio, mentre Marta è così assorbita dalle sue faccende che non può creare alcun spazio di intimità. Il fariseo che sale al tempio è esempio di pietà e giustizia ma ne è troppo compiaciuto. Mentre, come sottolinea con bella immagine Spadaro, “la fede è sgonfiamento dell’io”, seguendo le parole di Cristo: “chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. La pagina più commovente del libro di Spadaro è quando ci cala nella parabola di Lazzaro. Quando muore, la sorella si getta ai piedi di Gesù piangendo: “Se tu fossi stato qui non sarebbe morto”(la resurrezione è da venire). A quel punto Gesù scoppia in pianto, pensando al suo amico Lazzaro. Benché sia il figlio di Dio è anche pienamente umano: può accadergli di piangere, di gridare, di disperare. È un Dio ferito, sofferente, piagato, che, per amore, ha rinunciato alla propria onnipotenza.

Gesù “ribalta i sistemi di valutazione di una vita riuscita”. Nel Discorso della Montagna (Matteo) fa un elenco dei “beati”: i poveri di fronte a Dio, i perseguitati e gli insultati, gli ultimi e i sofferenti, chi piange, chi non è violento, chi ha fame e sete di giustizia, e poi chi ha compassione e diffonde la pace. Si direbbe proprio una religione degli sfigati, come aveva ben compreso Nietzsche, che vedeva in essa il desiderio di rivincita degli sconfitti, dei deboli e dei malati contro i sani, i forti e vincenti. A Nietzsche sfuggiva un fatto decisivo: i forti non sono mai sempre forti e i deboli non sono mai sempre deboli! Alla base di tutto c’è una infermità originaria, o almeno una vulnerabilità originaria, dell’essere umano, esposto senza riparo alla sventura. Perciò chi soffre ed è umiliato appartiene alla schiera dei beati si mostra più vicino alla verità ultima della nostra condizione. Ma torniamo al Discorso della Montagna, quello che invita tra l’altro ad amare i propri nemici dal momento che amare gli amici è facile, non ci costa nulla (Gesù pretende da noi che facciamo qualcosa di “straordinario”: condanna l’albero di fichi che non dà frutti, anche se si era in inverno, per la ragione che quel fico non è andato oltre se stesso e la propria ordinaria natura)…

Ho sempre pensato che da quel Discorso ne consegue l’unica etica davvero universale che sia mai stata pensata da un essere umano. Però è anche vero che ognuno di noi tenta di educare i propri figli al successo (comunque non al fallimento), alla autorealizzazione, al dispiegamento dei propri talenti, non alla sfiga! Qual è per noi una “vita riuscita”? Chi oggi, nella società del narcisismo, acconsentirebbe a sgonfiare il proprio io? Mi chiedo come sia riuscita la nostra civiltà attuale – edificata sulla forza, il successo, il potere, la ricchezza – ad appropriarsi del messaggio sovversivo del Vangelo, a farsene bella però depotenziandolo. In particolare, penso al nostro cattolicissimo paese. Se faccio notare a un amico cattolico – imprenditore, sinceramente credente e assiduo praticante, che – poniamo – tende a maltrattare i propri dipendenti, mi risponde sempre “Ma è un’altra cosa!”. Per il cattolico alla fine è sempre “un’altra cosa”. Se gli dico che dovrebbe lasciare il proprio patrimonio non ai figli – Gesù avversa il possesso: “chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” – ma alla Caritas o alla Comunità di Sant’Egidio mi obietta: “Che c’entra?”. Già, che c’entra.

In un recente dialogo pubblico ho voluto chiedere a Spadaro perché una religione così estremista come quella cristiana – e nel suo libro si evidenziamo i momenti di intransigenza di Gesù – sia diventata in Italia un codice diffuso della doppiezza morale, l’alibi ipocrita di qualsiasi compromesso, un passepartout per ogni possibile aggiustamento. Non è qualcosa di aberrante? Lui, che è gesuita, e che conosce bene la storia del proprio Ordine (la inesauribile casuistica della Controriforma, il “nondimeno” assolutorio di fra Timoteo della Mandragola di Machiavelli) mi ha risposto che sì, ci sono state indubbiamente delle deviazioni, ma che al dunque il messaggio evangelico ha migliorato le persone. Un cattolico illuminista come Manzoni auspicava una cristianizzazione della società. Forse sottovalutava la nostra (diabolica) abilità nel tenere separati i principi dai comportamenti concreti, però è anche vero che i “valori” cristiani – disattesi o meno – rappresentano qualcosa a cui chiunque può almeno appellarsi nella protesta contro l’ingiustizia.

Una prima puntata del “viaggio” di Spadaro nel testo evangelico ebbe una prefazione di papa Francesco, in cui si puntualizzava che “abbiamo bisogno di un linguaggio nuovo”, di scrittori e artisti capaci di farci vedere Gesù. Scorsese dopo averla letta si è messo in contatto con Spadaro per scrivere un film su Gesù. Una intuizione giusta, quella del papa. Se la chiesa non trova quel linguaggio nuovo per parlare della vita e della morte, della caduta e della salvezza, si condanna all’inerzia, o peggio all’appiattimento sulla lingua della comunicazione. Si potrebbe concludere (non lo dice Spadaro, lo dico io) che ad esempio i film sperimentali e aggressivamente sgangherati di Carmelo Bene, un mistico fallito, un blasfemo per troppo amore di Dio, sono più vicini a quel “linguaggio nuovo” rispetto al Vangelo un po’ mieloso di Zeffirelli.