Venezuela e Medio Oriente, così la Meloni prova a uscire dall’angolo

RMAG news

La premier è uscita molto ammaccata dalla partita europea: non a caso dopo quella sconfitta non è quasi più comparsa in pubblico. La sconfitta è strategica, dal momento che sullo spostamento a destra dell’asse europeo aveva scommesso moltissimo, ma lo scacco va anche oltre. La premier italiana ha perso non solo per le manovre a gamba tesa di Macron e Scholz da un lato e di Orban dall’altro, ma perché lo schieramento anti Green Deal della destra, sia quella dei Patrioti sia quella dei Conservatori ma anche dell’ala destra del Ppe, cozza con gli interessi enormi veicolati dalla riconversione energetica, che è anche un affare di dimensioni ciclopiche.

Per Giorgia i guai europei non sono ancora finiti. Il rapporto con Ursula von der Leyen può certamente essere recuperato ma al momento è di nuovo al minimo storico. La vicenda del commissario, esaltata con troppa e imprudente enfasi dagli esponenti della maggioranza in Italia, non è affatto facile. La sfida con i francesi per la conquista di un vicepresidente esecutivo è di fatto già persa e in queste condizioni non è affatto detto che Raffaele Fitto, il candidato ufficioso e più prestigioso, abbia interesse a lasciare Roma e il Pnrr per una postazione non di primissimo piano a Bruxelles. Non è neppure detto, peraltro, che von der Leyen opti per lui. Ai Paesi che non confermeranno il commissario uscente, e non è il caso dell’Italia, è stato chiesto di presentare due nomi, un uomo e una donna. Per la ripresidente il rischio di una Commissione troppo al maschile è un problema serio e l’Italia sembra messa lì apposta per aiutare il riequilibrio. Insomma, l’eventualità che a Bruxelles arrivi invece di Fitto Elisabetta Belloni, con delega alla Difesa, è concreta e per l’Italia sarebbe un’ulteriore sconfitta, almeno sul piano simbolico e dell’immagine.

Ma questo è ancora il meno. L’intera strategia del governo sul fronte più delicato e nevralgico di tutti, quello del bilancio, si basava sul presupposto che una commissione sbilanciata a destra e un ruolo essenziale della premier italiana nel mantenere i rapporti tra la maggioranza Ursula e le diverse aree della destra nell’europarlamento avrebbe facilitato la trattativa sulla procedura d’infrazione e la definizione concordata con Bruxelles del Piano di rientro a medio termine. Il quadro, al momento, è opposto: nulla autorizza a pensare che la futura Commissione, soprattutto di fronte alla probabile richiesta italiana di rientrare nei parametri del deficit in 7 invece che in 4 anni, si mostrerà di manica larga e questo costituirebbe un problema enorme, quasi insormontabile, per i conti dell’anno prossimo.

Trovare una via d’uscita, per Meloni, non è affatto facile, tanto più che la batosta subita ha galvanizzato un’opposizione passata da un giorno all’altro all’offensiva e con ottime probabilità di segnare un punto essenziale nelle regionali del prossimo autunno e forse anche quello decisivo nel referendum sull’autonomia. La crisi internazionale, cioè le guerre da un lato ma anche il Venezuela dall’altro, potrebbero offrirle quella via d’uscita. Il rischio di una esplosione del Medio Oriente esalta il ruolo dell’Italia, che storicamente è il Paese europeo più in grado di dialogare col mondo arabo. Qualcosa della politica di Mattei e di Moro, di Craxi e di Andreotti nonostante i decenni passati è rimasto e probabilmente non è un caso che il solo Paese europeo occidentale non colpito pesantemente dall’offensiva terrorista islamica nei decenni scorsi sia proprio l’Italia.

Una crisi mediorientale sommata a quella che potrebbe profilarsi in Venezuela, inoltre, minaccerebbe l’intera Europa e la costringerebbe a compattarsi. E’ significativo che l’incontro di Versailles tra Macron e Meloni, ai ferri corti fino a pochi giorni prima, sia andato molto meglio di quanto chiunque prevedesse e si sia concentrato proprio sulle crisi internazionali, quella venezuelana in particolare, e sulla necessità di una risposta unitaria europea. Insomma, la guerra, in questo caso quella in Ucraina, aveva già offerto a Giorgia Meloni l’occasione perfetta per ottenere una legittimazione in Europa e in Occidente molto più rapida del prevedibile. Ora potrebbe regalarle la possibilità di tirarsi fuori da un guaio enorme.

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