Walter e il Solferino alla Corte di Giorgia, a passo di danza

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Con l’occhio penetrante del cineasta, che coglie il senso intimo delle cose inquadrando un semplice particolare e il dettaglio più casuale di un volto è in grado di attribuire dei significati che sfuggono allo sguardo dei profani, Walter Veltroni è rimasto impressionato dalla Giorgia di Puglia. Dove il senso comune si limita ad afferrare – come fa ad esempio Rino Formica, che però è aggrappato ad un mondo in bianco e nero – solo una “rappresentazione gioiosa, festosa e turistica” alla quale per dare il giusto tono da cerimonia patronale non poteva mancare “il cappellano dei grandi”, il più profondo lavoratore delle immagini ravvisa invece la magica simbiosi di “metodo” e “sostanza”.

L’osservatore grossolano non scorgeva altro, dinanzi alle riprese generose dell’evento pugliese, che la incolore fabbrica di un non luogo, con i convenuti che affogavano annoiati nel vinello di Vespa, tra un pisolino incalzante suscitato proprio dalle note del Nessun dorma pucciniano e l’angoscia di non avere nemmeno una sparuta marmaglia di contestatori ad attestare che era in corso un incontro tra “i grandi della Terra”. Solo chi penetra nei misteri reconditi delle narrazioni poteva percepire che a Borgo Egnazia la grande politica, quella che accarezza la storia, celebrava invece il suo bel ritorno assumendo le sembianze di una Giorgia tutta di bianco vestita che a piedi nudi si esibiva in una spettacolare pizzica. Dietro lo sciogliersi ballerino del potere c’è per Veltroni la concretezza dello storico successo (“i significativi risultati”) della italica diplomazia, che si appresta ad espropriare i capitalisti russi e a dichiarare guerra commerciale allo scorretto gigante cinese. Veltroni si lamenta perché lo stesso ballo del qua qua non venga proposto anche ai lupi delle opposizioni, per indurre quei ricalcitranti a condividere a ritmo di danza la riforma del “premierato” o autocrazia elettiva, l’autonomia differenziata spacca-Nazione e gli epocali lager d’Albania.

A Giorgia, la quale assolve la sua squadra acrobatica di Montecitorio cha ha malmenato un grillino sorpreso con il tricolore in mano, si unisce la voce del “ma anche” secondo la quale alla Camera “ci si prendeva a pugni”, e quindi nella “rissa” il deputato che le buscava era reo tanto quanto i fascio-leghisti che gliele suonavano. L’amore di via Solferino per la signora di Colle Oppio è talmente vasto che ora la chiamano il “cigno per l’Europa del futuro” (Polito). Paolo Mieli non si accontenta di condurre le trattative Stato-La7 per regalare la premier ai guanti vellutati del maratoneta conduttore che le concede un monologo “incontinente”. Per aiutare comunque “l’ambidestra” (l’efficace formula è di Prodi), in ogni occasione televisiva l’abile editorialista del Corriere si presenta addirittura come uno del vecchio Pci e, in quanto legato anima e corpo a Botteghe Oscure, si dichiara seccato per le continue domande sul passato scomodo che piovono sui dignitari di FdI (Famiglia d’Italia), svezzati con la musica e le parole di Marcello De Angelis, cresciuti con i calorosi saluti da gladiatore di Procaccini e istruiti in dottrina dello Stato e riti pagani da un redivivo Signorelli.

Il lodo Mieli, Polito, Veltroni (e “compagnia cantante”, per dirla col linguaggio di Palazzo Chigi) prevede che la fedeltà atlantica cancelli d’un tratto tutte le ipoteche legate alle ideologie autoritarie ancora coltivate. La Patriota, a prova di bombe russe e di concorrenze sleali cinesi, merita non solo completa legittimazione quale leader del moderno centrodestra conservatore, ma anche il pieno ingresso con la sua gloriosa Fiamma nella maggioranza che decide la nuova governance europea. Pazienza che il cancelliere socialdemocratico classifichi Giorgia Meloni come un capo politico di “estrema destra”, per nulla diverso da Le Pen o dagli ossessi di AfD. O che un calciatore francese denunci i pericoli dell’onda nera che marcia nel cuore dell’Europa (“bisogna votare per fermare il Rassemblement National”). Scholz e Thuram non hanno visto lo stesso film di Veltroni, ma soprattutto non sanno che in Italia per essere ammessi nella stanza dei bottoni e diventare statisti basta accennare un passo della taranta.