Chi era Franco Di Mare, uno dei ragazzi della redazione (fortissima) dell’Unità di Napoli

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È morto Franco Di Mare, aveva 68 anni e alle spalle una carriera giornalistica di primissimo ordine. Era napoletano, era ironico, era intelligente, aveva grande intuito e sapeva raccontare. Lo ho conosciuto bene perché è stato dieci anni all’Unità.

Faceva parte di quella scuola napoletana, fortissima, che tra la fine degli anni settanta e gli anni novanta fu un pilastro del giornale del Pci, che cambiava pelle, che voleva essere indipendente, dove i militanti diventavano giornalisti e volevano competere sul mercato dei giornali.

Rocco Di Blasi, Polito, De Marco, Vicinanza, Geremicca, Marcella Ciarnelli, Maddalena Tulanti. Non saprei dire chi fosse il più bravo o la più brava. Ognuno di loro aveva delle sue caratteristiche e delle doti speciali.

Franco scalpitava, perché nel suo DNA c’era scritto a lettere d’acciaio: “Inviato speciale”. Quando l’ho conosciuto stava ancora a Napoli, faceva il cronista. Imparava e faceva l’irregolare. Non amava mica la disciplina né il metodo. Amava l’estro, l’intuizione. Poi è venuto a Roma e abbiamo lavorato vicini.

Un periodo breve, quando io ero caporedattore centrale, lui era caporedattore di notte. Si divertiva. Perché a quel tempo fare il redattore capo di notte voleva dire rifare mezzo giornale. Però lui preferiva scrivere: quel posto lì al desk lo intristiva.

E allora passò agli esteri e decollò. Me lo ricordo inviato nella prima guerra del golfo, che per noi nati negli anni ‘50, professionalmente, era la prima esperienza di guerra. Il Vietnam lo avevamo visto da lontano.

Il nostro capo, che era Renzo Foa ed era di qualche anno più grande, era stato in Vietnam, aveva fatto il corrispondente, aveva vissuto sotto le bombe dei B52. Raccontava di essere stato al bar con Jane Fonda, ma poi ci rideva su e non si capiva mai se era vero o no. Franco, dei giovani, insieme a Mauro Montali, fu il primo a finire sotto i missili, quelli americani e quelli iracheni.

Poi decise di volare fuori dal recinto nostro. Fu assunto alla Rai ed è come giornalista Rai che ha fatto una gran carriera. Reportage da tutto il mondo. Forse i più importanti per lui furono quelli della Bosnia. L’assedio di Sarajevo. Bisognava essere bravi, capire, saper scrivere e anche avere un fegato robusto.

L’avete mai vista la conca di Sarajevo? Riuscite a immaginare che tutto intorno alla città c’erano i cannoni e le mitragliatrici di Mladic e Karadzic, che dominavano l’intera città, potevano mirare persino dentro le finestre della case.

I giornalisti in quegli anni dell’assedio rischiavano la vita tutti i giorni, sapevano di rischiare. Franco ne aveva da vendere di coraggio. E un bel giorno riuscì persino ad adottare una bambina che era rimasta orfana. Non l’ho conosciuta, penso che oggi abbia circa 35 anni. Le mando un abbraccio.

Lo sentivo spesso in quel periodo perché lavorava insieme al suo amico del cuore, che era rimasto all’Unità, poi concluse la carriera al Fatto: Nuccio Ciconte. È morto anche lui qualche anno fa, maledizione, è morto giovane come Franco.

Non aveva paura Franco, della guerra, ma faceva male a non avere paura. In quegli anni in Jugoslavia chissà quanto uranio ha respirato. le bombe magari le schivi, se l’aria è zeppa di uranio non puoi farci niente.

L’uranio si è depositato nei polmoni, e alla fine lo ha colpito a morte, quando ormai era andato in pensione e pensava di averla fatta franca. La Rai non lo ha trattato bene. Lo ha abbandonato. Lui ha denunciato l’abbandono qualche settimana fa in una intervista a Fabio Fazio. Eppure alla Rai aveva dato molto.

Interviste prestigiosissime (da Blair, ad Arafat, ad Amos Oz, a tantissimi altri) reportage, e poi la conduzione del programma del mattino, e poi la direzione di Rai tre. Neanche grazie gli hanno detto. Lui era molto amareggiato per questo.

Sperava di potere durare ancora un po’, ma sapeva di dover morire presto. Sperava di potere arrivare almeno ai 70 anni. Non è riuscito neanche ad arrivare luglio, quando ne avrebbe compiuti 69. Cosa mi viene da dire per salutarlo? La cosa più scema di tutte: Forza Napolì, con l’accento sulla ì, e forza Maradona!

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