Chi ha vinto i ballottaggi: a Bari e Firenze trionfa il Pd, scricchiola l’era della Meloni

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Il centrosinistra mantiene senza sforzo Firenze e Bari, le due piazze principali in lizza nei ballottaggi di ieri. Conquista Perugia, Potenza, Campobasso e un comune piccolo ma altamente simbolico perché eterna roccaforte leghista, Vittorio Veneto. La destra strappa ai rivali Rovigo, al fotofinish Lecce, al M5S Caltanissetta. La mappa variegata dei comuni al ballottaggio conferma i risultati del primo turno e delle europee, tutti o quasi possono cantare vittoria e tutti, in questo caso senza il quasi lo faranno. Le colonnine dei comuni vinti dagli uni o dagli altri sono più o meno in pari, anche se con i 10 capoluoghi contro cinque conquistati già al primo turno prevale il Campo Largo. Ma questa è aritmetica, non politica. Politicamente la doppia tornata elettorale che si è conclusa ieri, le europee più una quantità di comuni, segna un passo avanti netto del Pd e un arretramento del centrodestra, che manca un risultato trionfale al quale la premier ambiva e che sarebbe stato prezioso nella fase molto difficile che la attende.

Sino a poche settimane fa il sogno di conquistare la roccaforte di Firenze albergava davvero nei sogni della maggioranza e sembrava anche, se non proprio a portata di mano, almeno possibile. Il candidato, Eike Schmidt, e direttore degli Uffizi, era stato selezionato apposta per attrarre il voto moderato e per lo stesso motivo si era presentato senza simboli di partito. La contrapposizione con la Iv di Renzi prometteva di aprire qualcosa in più di un semplice spiraglio. Invece Sara Funaro, considerata una candidata debole e poco conosciuta, ha vinto facile con il 60% dei voti. A Bari l’illusione di poter far leva sugli scandali per scalzare il Pd si era già rivelata una chimera alle europee, dove il sindaco uscente Decaro si è piazzato secondo per numero di preferenze dopo la premier ma prima del generale acchiappavoti fascisteggianti Vannacci. Il delfino di Decaro, Vito Leccese, ha stravinto con oltre il 70% dei voti.

Perugia, con le candidate Margherita Scoccia, assessora uscente di centrodestra, e Vittoria Ferdinandi in parità quasi perfetta al primo turno era il test più atteso perché il più incerto: “Abbiamo fatto un miracolo”, commenta la vincitrice Ferdinandi e il giudizio è condiviso al Nazareno. Bonaccini è il primo a esultare: “Andavano al voto divesi capoluoghi di provincia e cinque di regione. Abbiamo vinto 5 a 0. Il centrosinistra unito può battere la destra”. La sconfitta più bruciante forse è quella di Potenza, testa di ponte leghista nel sud. È la conferma di quanto disastrosa sia per la premier quell’autonomia differenziata che ha dovuto ingoiare per tenere a freno una Lega altrimenti incontrollabile dopo la sconfitta alle europee ma che promette di costarle moltissimo in termini di consenso e popolarità oltre che di compattezza della maggioranza. Senza contare il rischio di un conflitto con il capo dello Stato che sta vagliando da ieri il testo e sembra deciso a farlo puntigliosamente. Il risultato di Lecce, persa dal Pd per un pugno di voti, non modifica il quadro. La candidata ex sindaca Poli Bortone godeva infatti di un forte e in buona misura meritato consenso personale, che non la ha peraltro salvata dal testa a testa sino all’ultimo secondo.

Politicamente Elly Schlein esce a testa altissima dalla sua prima prova elettorale reale da quando è segretaria e lo stesso può dirsi per Avs, che con i risultati a sorpresa delle europee alle spalle ha le carte in regola per tentare il sorpasso sui 5S in declino. Proprio la sconfitta del Movimento poteva rivelarsi la spina nel fianco di Elly. Non è stato così anche per merito di Grillo e di Giorgia Meloni. Con l’ex comico e fondatore all’attacco, scegliere una strategia di conflitto permanente con il Pd avrebbe significato per Conte riconsegnare per intero le chiavi del Movimento a Grillo e alla fronda di Virginia Raggi. Ma una mano al Campo Largo la ha data anche l’autonomia differenziata, legge che pare fatta apposta per compattare l’opposizione. Non che la premier debba piangere. Il suo governo è comunque uscito meglio di tutti gli altri esecutivi dell’Unione dalle europee e se non ha conquistato nessuna piazza importante alle amministrative non ha nemmeno subìto sconfitte simbolicamente determinanti.

Ma, pur aumentando in percentuale sia come leader del suo partito che come capo della maggioranza, la coalizione di Giorgia ha comunque perso oltre un milione di voti ed è uno scricchiolio rumoroso e minaccioso. Soprattutto, la premier ha mancato il colpo che aveva bisogno di mettere a segno per coprirsi le spalle prima di affrontare una fase molto difficile, sia sul fronte delle riforme che su quello, in condizioni disastrose, dei conti pubblici e delle possibilità di spesa. Il plebisicito che sperava di ottenere con la candidatura ovunque doveva servire proprio a metterla al riparo da ogni ondata di dissenso popolare minacciosa nella prossima fase che la attende, senza un soldo da spendere, dovendo difendere una riforma molto impopolare come l’autonomia leghista, vacillante in quell’Europa che è stato il suo principale elemento di forza da quando si è insediata a Chigi. Per questo, molto più di quanto non dicano nella loro freddezza i nudi dati, questa tornata elettorale è stata per il Campo largo una prima vittoria.