Cosa succede a chi si ribella alla guerra: tre diciottenni arrestati in Israele

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Sono tre i diciottenni israeliani detenuti in prigioni militari in Israele per aver detto “io mi rifiuto di partecipare a questa guerra”. Sono Ben Arad, Sofia Orr e Tal Mitnick. Di loro si sa perché la loro obiezione di coscienza l’hanno fatta pubblicamente.

La rete di obiettori israeliani Mesarvot (tradotto: mi rifiuto), ripresa in Italia dalla agenzia di stampa Pressenza, ne dà costantemente notizia. Anche altri si sono rifiutati di essere arruolati, alcuni l’hanno fatto prima della strage del 7 ottobre e dell’attacco di Israele a Gaza, ma l’hanno fatto senza rendere pubblica la loro scelta.

Sono anche loro in prigioni militari. Ma non si sa quanti siano. Questo fine settimana sia Sofia Orr, condannata il 18 marzo ad altri 20 giorni di cella, sia Tal Mitnick, condannato finora a un totale di 105 giorni di carcere, usciranno dalla cella temporaneamente in attesa di altre sentenze.

Sofia Orr ha scritto una lettera riguardo a una strage di palestinesi che cercavano di procurarsi del cibo. “In una recente visita del mio avvocato – racconta – ho sentito parlare un po’ del mondo esterno e della recente sparatoria contro i palestinesi che a Gaza lottavano per ottenere cibo e aiuti. Questa storia non riesco a scordarmela, ho continuato a pensarci costantemente in cella. Oltre al fatto che sparare a persone affamate che cercano di procurarsi del cibo è un orribile crimine di guerra, credo che dobbiamo riconoscere che non si è trattato di una casualità o di un fatto insolito.

È un evento che rappresenta la direzione che sta prendendo la coscienza di Israele, una disumanizzazione che si collega alla volontà di vendetta. Voglio ricordarvi che le persone che hanno circondato i camion carichi di cibo non sono affamate per caso. Stanno morendo di fame. Da dietro le sbarre vi chiedo: provate a pensare a cosa li ha spinti a correre verso i camion. Resistete alla tentazione di trasformare gli affamati in mostri. Quando lo facciamo, li uccidiamo senza pensarci perché li abbiamo trasformati tutti in mostri. Le loro vite non hanno più valore.

Quando ho sentito ulteriori dettagli, ho capito che la storia raccontata dai media israeliani descriveva un assalto violento da parte di chi cercava cibo, durante il quale i soldati si sarebbero sentiti minacciati e avrebbero sparato per autodifesa. Perché non si può comandare una folla affamata, e quando non si può comandare, si cerca di uccidere il più possibile per recuperare la ‘deterrenza’ e fingere che il sangue versato aiuti a riprendere il controllo.

Anche volendo non tener conto di questa storia specifica in cui i soldati cercavano di gestire una popolazione di rifugiati affamati, Israele mette sempre i palestinesi in condizioni invivibili, cerca di gestirle e fallisce. E quando il fallimento ci esplode in faccia e va fuori controllo, ci convincono che è colpa dei palestinesi.  È così che possono uccidere e far sì che questo non abbia alcun peso. Molti cercheranno di dire, e la maggior parte degli israeliani cercherà di credere, che la sparatoria era giustificata, che i soldati si sentivano minacciati e che sparare alla gente di Gaza va bene, visto che sono il nemico.

Questo è un altro motivo per cui mi trovo qui, nella prigione militare. Sento l’obbligo di parlarne e di ricordare che stiamo parlando di esseri umani. Non permetterò che la disumanizzazione continui senza alcuna resistenza. Come obiettrice di coscienza, purtroppo non ho niente di positivo da dire in questo momento, ma ciò rafforza la mia volontà di fare ciò che faccio, di rifiutare di arruolarmi, di pagare il prezzo e di stare in prigione, di continuare ad alzare la voce e di non lasciare che la disumanizzazione passi sotto silenzio.

Ve lo dico dal carcere: i palestinesi sono esseri umani e non posso restare a guardare mentre muoiono. Non si può più fingere di gestire la situazione; questa finzione non fa altro che favorire questi caotici spargimenti di sangue. La mia generazione non è nata per uccidere o essere uccisa e per avere un futuro qui dobbiamo passare al processo di pace e fermare la guerra”.

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