GIOVANI E LAVORO, SOLO IL 35% NE È SODDISFATTO OCCORRE CAMBIARE NEL SEGNO DELL’INCLUSIVITÀ

GIOVANI E LAVORO, SOLO IL 35% NE È SODDISFATTO OCCORRE CAMBIARE NEL SEGNO DELL’INCLUSIVITÀ

Il Quotidiano del Sud
GIOVANI E LAVORO, SOLO IL 35% NE È SODDISFATTO OCCORRE CAMBIARE NEL SEGNO DELL’INCLUSIVITÀ

Il rapporto tra i giovani e il lavoro è in progressiva evoluzione, solo il 35% dei giovani è pienamente soddisfatto del proprio lavoro: è quanto emerge dall’indagine “Il lavoro inclusivo per le giovani generazioni”

Solo il 35% dei giovani è pienamente soddisfatto del proprio lavoro: è quanto emerge dall’indagine “Il lavoro inclusivo per le giovani generazioni” realizzata da SWG per l’associazione Valore D su un un campione di giovani, tra i 18 e i 35 anni, Neet, studenti in procinto di entrare nel mondo del lavoro e lavoratori all’inizio del loro percorso professionale. I giovani lavoratori sentono di far parte di un meccanismo che non attribuisce loro la giusta considerazione e valutazione delle competenze e che non assicura una cornice – sia concettuale che comportamentale – fatta di rispetto, trasparenza, equità e giustizia.

Le nuove generazioni, insomma, stanno cambiando il modo in cui guardiamo al mercato del lavoro, rimettendo al centro le proprie aspirazioni e gli orientamenti valoriali, rimettendo al centro la ricerca di contesti professionali che assicurino maggiore inclusione, miglior bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa e benessere complessivo. Il 36% del campione ha infatti rivelato di aver subito o assistito in prima persona a pratiche di scarsa inclusione sul lavoro, situazione che rende i giovani più inclini a cambiare posto di lavoro rispetto alle generazioni precedenti.

GIOVANI E LAVORO, LE PREOCCUPAZIONI SULL’INCLUSIVITÀ LAVORATIVA

Una quota che oscilla tra il 30 e il 40% ha invece evidenziato un forte ritardo della propria azienda sui princìpi dell’inclusività lavorativa, in particolare sviluppo del benessere (42%), rispetto delle identità (40%), accoglienza (40%) e supporto alle competenze (40%). Quasi un giovane su due (47,5%) ritiene che il mondo del lavoro sia in netto ritardo nell’attuazione di questi principi, soprattutto su apertura al dialogo (45%), rispetto delle identità (44%), accoglienza (43%) e sviluppo del benessere individuale e collettivo (42%). Una quota marginale, che oscilla tra il 13 e il 17%, ritiene che questi principi siano già molto diffusi nei contesti lavorativi.

Alla luce di questi dati, Valore D ha raccolto in un pledge dal titolo “Diamo forma al futuro” i 9 principi di inclusività lavorativa di cui le aziende dovrebbero tenere conto per attrarre e trattenere i giovani talenti: apertura al dialogo e al confronto; valorizzazione; partecipazione; disponibilità di luoghi, informazioni, risorse e tecnologie; supporto allo sviluppo di competenze; equità e trasparenza; sviluppo del benessere individuale e collettivo; rispetto e protezione delle singole identità; appartenenza.

Per Cristiana Scelza, Presidente di Valore D, “l’inclusione per le giovani generazioni è un argomento di grande rilevanza e la sensazione condivisa è che ci sia ancora molto da fare, in particolare in ambito lavorativo considerato come un terreno accidentato, in cui l’inclusione è messa a repentaglio da ostacoli latenti e culturalmente radicati nel sistema, come il paternalismo, la mancanza di equità e meritocrazia, il conflitto tra generazioni”.

IL PUNTO DI VISTA DEI GIOVANI

Il punto di vista dei giovani. Mappare il presente significa intercettare i trend e intervenire sulle criticità per rispondere alle esigenze emerse e permettere al Paese di crescere, ma anche dare voce ai più giovani affinché essi trovino la loro strada e possano essere liberi di esprimere le proprie capacità.

Francesca ha 28 anni, vive a Catania e ha sempre sognato di diventare project manager: “Ho iniziato a lavorare già durante gli anni dell’università, svolgendo prima il servizio civile e poi un progetto placement. Ho trovato lavoro in una multinazionale dopo la laurea, insomma mi sono sempre rimboccata le maniche. Non posso però dirmi soddisfatta di quella che è la mia quotidianità. Il lavoro è stimolante, eppure anche in un ambiente così strutturato mancano il reale supporto allo sviluppo di nuove competenze e il dialogo aperto, trasparente. La mia giovane età, poi, sembra giocare a mio sfavore perché fatico a far valere, o quanto meno ascoltare, la mia opinione sia con i responsabili che con i colleghi. È frustrante”.

LA TESTIMONIANZA DI IGOR

Igor invece ha 30 anni, vive a Taranto e ha lasciato il lavoro pochi mesi fa: “Potrà suonare azzardato, ma ho deciso di lasciare il mio lavoro per via di una insoddisfazione crescente. Nell’azienda in cui lavoravo c’era scarsa attenzione all’equilibrio tra vita privata e lavoro, al punto da ricevere telefonate e e-mail dai manager fuori orario e nei weekend con la pretesa sottesa di ricevere risposta; c’era poi poca trasparenza, che portava alla scarsa oggettività nei criteri di valutazione e promozione, che portano a una mancanza future concrete. Ho avuto il supporto della mia famiglia e ho potuto fare questo salto nel vuoto, dimettendomi senza avere un’alternativa, ma so che non possibile per tutti e capisco i miei coetanei che vivono la medesima frustrazione”.

I dati esaminati e le esperienze dirette raccolte sottolineano l’importanza di costruire un ponte di dialogo tra giovani e imprese, con un cambio di vedute da parte di aziende e istituzioni che devono prendere atto dell’evoluzione culturale e ripensare il lavoro mettendo al centro il benessere delle persone dando vita ad ambienti organizzativi che siano davvero rispettosi, stimolanti e valorizzanti.

Il Quotidiano del Sud.
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