“In Francia era un referendum anti-Macron, le politiche altra partita”, intervista a Marcelle Padovani

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“Più che un voto sull’Europa, quello francese è stato un referendum su Emmanuel Macron, sulla persona prim’ancora che sulla sua politica. E da questo punto di vista si può parlare di disfatta, ma la partita delle politiche è del tutto aperta”. A sostenerlo è Marcelle Padovani, è una delle più autorevoli giornaliste e saggiste francesi, storica corrispondente in Italia del Nouvel Observateur.

Bufera sull’Eliseo. Trionfo della destra. Il termine “disfatta” è una forzatura giornalistica?
Assolutamente no. È la fotografia della realtà emersa dalle urne. Disfatta, certamente, va però chiarito bene di chi e perché.

Chi e perché?
È la disfatta di Emmanuel Macron. Queste elezioni di europeo hanno avuto pochissimo, quasi niente. Sono state soprattutto un referendum anti-Macron, nel senso che tutte le categorie sociali, tutti i ceti, sono oramai coinvolti in un rigetto totale del personaggio Macron più che della sua politica. Un rigetto del suo stile, delle sue esitazioni, del suo modo di governare. C’è stato a suo tempo anche per Sarkozy, stavolta il rigetto è ancora più forte. In questa disfatta c’è solo un aspetto se si vuole positivo.

Quale?
Il fatto che Macron ha reagito subito, con rapidità e coraggio. Lui ha scelto di riscrivere la storia piuttosto che subirla. Macron rischia di governare con una maggioranza di estrema destra. È possibile, certamente, ma non ne sono convinta.

Perché?
Il vecchio riflesso repubblicano contro il fascismo sarà ancora un argine che potrà funzionare. Le elezioni politiche non saranno più un referendum sulla persona di Macron, ma si giocheranno su dei contenuti politici: le politiche sui migranti, l’Europa etc. Credo che Macron potrebbe cavarsela e anche se non dovesse farcela, il sistema istituzionale francese permette di governare anche con una maggioranza avversa. È successo praticamente a tutti i presidenti. È successo a Mitterrand, con Sarkozy. Il sistema elettorale francese, a due turni, fa sì che ti puoi ritrovare con una maggioranza che non corrisponde a quella delle presidenziali. Macron è stato eletto a suffragio universale, dunque non c’è motivo che se ne vada dall’Eliseo. Ha scelto di sciogliere le Camere. Qualcuno ha detto che ha giocato a poker. Può darsi. Ma ha giocato con chiarezza, con rapidità e credo che dovrebbe scuotere un po’ il quadro politico. Ad esempio, penso che il leader del Partito socialista francese, Raphaël Glucksmann, non potrà continuare a dire: noi non siamo coinvolti, non si rifarà il Fronte popolare. Stavolta ci sarà da scegliere politicamente, non soltanto fare il rigetto bis del personaggio Macron.

L’estrema destra francese aveva il volto di Marine Le Pen. Ora l’astro nascente è Jordan Bardella.
Bardella è stato scelto da Marine Le Pen. Lei è stata tre volte candidata alle elezioni presidenziali e tre volte battuta. Ha astutamente pensato che fosse il caso di legare ad un’altra faccia la rappresentazione dell’estrema destra. E a scelto un figlio dei tempi, Jordan Bardella, il “re dei selfie”. Come personalità politica non esiste. Sembra un robot. Non ha né anima né contenuto, però piace molto, perché sembra un giocattolo, ai giovani. Molti giovani hanno votato per lui e per il Rassemblement National a queste elezioni. E poi tutti quelli radicalmente anti-Macron, come i Gilets jaunes e tutte le categorie sociali che si ritengono vessate da Macron. Jordan Bardella, con la sua inesistenza politica e umana, ha attratto una serie di rigetti. Ma un robot, per quanto “re dei selfie” difficilmente può ambire a governare un paese come la Francia.

Questo per quanto riguarda la destra. E la sinistra?
La sinistra risorge. Come in Italia. In Francia risorge il vecchio Partito socialista. Il partito di Mitterrand che Glucksmann sta rappresentando, con le stesse parole, le stesse scelte, lo stesso modo. Da queste elezioni europee si conferma anzitutto un desiderio di bipolarismo e poi il desiderio di rivitalizzare le vecchie formazioni politiche ideologizzate. Il Psf non esisteva più. Adesso è al 15% con
Glucksmann. Glucksmann in Francia, Schlein Italia. Due cognomi né molto francesi né molto italiani. Figlio di migranti, gente transnazionale, non tipicamente né francese né italiana. Leadership proiettate fuori dai confini nazionali, e non solo nominalmente.