La Germania si riarma, subalterna a Usa e Israele: ma quando la “sinistra” fa la destra, quest’ultima si avvantaggia

RMAG news

I tedeschi non vogliono ancorare la Germania all’Europa. Vogliono ancorare l’Europa alla Germania.
(M. Thatcher)

Mutamenti profondi avvengono in Germania. Rilevanti su scala europea. E oltre. Anzitutto: non c’è più la “locomotiva tedesca”. Il Paese vive una depressione economica, determinata, fra l’altro, dall’alto costo dell’energia, che ha messo in difficoltà l’apparato industriale.

Venuto meno l’apporto energetico a buon mercato dalla Russia, si è aperta una crisi di non breve periodo. A riprova che le sanzioni danneggiano soprattutto i… sanzionatori.

Il welfare ne risulta compromesso, anche a causa delle ingenti spese militari. Berlino ha stanziato un fondo speciale per la Bundeswehr (le forze armate) di 200 miliardi di euro, che garantirà alla Difesa 50 miliardi all’anno.

Dal 2028 la spesa annuale passerà da 50 a 75 miliardi. Inutile dire che, considerati i precedenti storici, il riarmo tedesco inquieta (come quello giapponese, del resto).

Anche perché la finalità è esplicita: è volta contro la Russia, definita “la più grande minaccia alla pace e alla sicurezza nell’area euro-atlantica”, e contro la Cina, le cui “ambizioni politiche contraddicono sempre più i valori e gli interessi” tedeschi (così nel documento programmatico). Uno scenario di guerra globale.

La sudditanza agli Usa non poteva essere più netta. E fa il pari con quella relativa alla Palestina. Rispetto ai massacri israeliani a Gaza e in Cisgiordania, la repressione in Germania contro le manifestazioni filopalestinesi, in particolare quelle degli studenti, è durissima e costante.

Parla da solo il divieto di ingresso nel Paese all’ex ministro greco Yannis Varoufakis, per impedirgli di partecipare a un congresso pro Palestina.

Ma era già accaduto che alla filosofa Nancy Fraser venisse ritirato l’invito dell’Università di Colonia dopo che aveva firmato un appello di condanna della carneficina a Gaza.

L’atteggiamento ultrafiloisraeliano, della maggioranza dell’opinione pubblica e dei media tedeschi, ha radici profonde. Nel 2019, con un discorso nella Knesset, Angela Merkel disse che il sostegno a Israele, per la Germania, era “ragion di Stato”.

Come a voler farsi perdonare la responsabilità tedesca, con la complicità del fascismo italiano, dell’Olocausto, per cui ad Israele viene permessa ogni nefandezza in violazione del diritto internazionale, crimini di guerra e contro l’umanità compresi.

Ma c’è anche l’accettazione piena (e il sostegno esplicito) del ruolo strategico di Israele come cane da guardia super armato contro centinaia di milioni di arabi. Esattamente lo stesso atteggiamento degli Stati Uniti.

Tutto questo avviene sotto il governo, a trazione socialdemocratica, guidato dall’incolore Olaf Scholz. E’ durante la reggenza socialdemocratica che, tradizionalmente, vengono ristrette le libertà democratiche in Germania.

Così avvenne con il varo del Berufsverbot (“interdizione professionale”), promulgato dall’ “illuminato” cancelliere Willy Brandt. Era il 1972 e il provvedimento, volto a punire le lotte studentesche, impedì l’accesso ai pubblici uffici di migliaia di “estremisti”, violando la costituzione che impedisce la discriminazione in base alle idee politiche.

Legge che, si badi, è ancora in vigore. Ma tutto ciò, naturalmente, continuiamo a chiamarlo “democrazia”. La Spd non avrebbe via libera, senza la collusione del partito dei Verdi. I quali, accantonate da tempo le idee originarie, sono diventati più realisti del re: imbottire di armi l’Ucraina per la sua vittoria (?!?) bellica e lasciare mano libera a Israele.

È questo insieme di fattori che alimenta la crescita dell’Afd, il partito neonazista. Di cui i sondaggi prevedono un forte balzo in avanti proprio in occasione delle elezioni europee. Preoccupante.

Ma è la conferma della collaudata regola: quando la “sinistra” fa la politica della destra, è questa che ne trae vantaggio. E’ così in Germania, in Francia, in Italia. Sicché lottare oggi per la difesa della democrazia – tale è il suo svuotamento sostanziale – sembra quasi un atto rivoluzionario.

Soprattutto da noi sarebbe bene trarne lezione: riprendendo una seria e vasta mobilitazione contro la guerra, per la pace, il lavoro, l’istruzione, la dignità delle persone e dei popoli. Sapendo che l’inversione di tendenza non verrà dal cielo, ma dall’impegno di ciascuno di noi.