Montepaone, la via nuova dei girasoli dove si coltivano fiori e relazioni

Montepaone, la via nuova dei girasoli dove si coltivano fiori e relazioni

Il Quotidiano del Sud
Montepaone, la via nuova dei girasoli dove si coltivano fiori e relazioni

GiraSuli è il progetto realizzato dall’associazione di Gasperina “Sotterraneo” sul terreno della famiglia Catrambone a Montepaone: un campo di girasoli che racconta tante storie

ANCHE i satelliti Starlink di Elon Musk, avvistati sfilare a san Lorenzo come soldatini di piombo nel cielo della Calabria accorrevano forse a Montepaone, attratti dal brusio notturno di quella meraviglia che sonnecchiava dopo giorni e giorni di lavoro; la cosa più bella di questo agosto infuocato e sciatto: un campo di girasoli.
Chi come noi ha avuto in dono di poterlo visitare è come risorto, dopo la crocifissione di una estate, l’ennesima, tra secolari, ininterrotte incurie ambientali sul bene più prezioso che abbiamo, il mare, e poi le saghe, i premi posticci con lillipuziani travestiti da giganti a riceverli, gli eventi musicali che spesso non lasciano nulla se non cartacce fuori e dentro ciascuno di noi, tranne rare eccezioni, come Manu Chao, cantore dei diritti negati che dal palco del Tirreno Festival, a Cirella, ha lanciato un grido straziante per i palestinesi massacrati da Israele dando finalmente anche un senso politico di verità a un concerto.

Un campo dei miracoli, dunque, sulle colline di Montepaone. Ma non la fake in cui incappò Pinocchio, perché lì c’era, e c’è, seppure adesso a riposo in attesa di una nuova esplosione di giallo il prossimo anno, qualcosa che ha a che fare con l’attimo in cui veniamo catapultati dal ventre alla vita, o forse addirittura più indietro con gli spermatozoi di cui ci parlò Woody Allen. Di colpo ci siamo sentiti sbalzati all’indietro, verso un’estasi primordiale, in un tempo in cui i giochi erano i profumi del pallone di pezza, i colori, gli animali, l’erba da intrecciare a cappio, rincorrere una lucertola, osservare i cani annusare ovunque.

UN CAMPO DI GIRASOLI A MONTEPAONE SEMINATO UN ANNO FA DA UN’ASSOCIAZIONE DI GASPERINA

Ha avuto un potere taumaturgico questo campo di girasoli a Montepaone, venuto su come un prodigio a un anno preciso dalla semina grazie alle ragazze e ai ragazzi di un’associazione di Gasperina, appena sopra lo Ionio del sempre sorprendente e misterioso Golfo di Squillace, il cui nome è un manifesto: Sotterraneo. Scavano, loro. Archeologi della memoria fiutano, cercano, studiano, ascoltano: fatti, tradizioni della storia di questi luoghi, che poi è la storia di tutti noi, per restituirci un incanto sostanziale altrimenti perduto in una età dannata e anaffettiva come questa. Quella nella quale vaga, come la definisce con noi l’antropologo Vito Teti, «un’umanità folle, strana, senza un senso, litigiosa mentre la nave, anche qui in Calabria, affonda, al punto da costatare la nostra fragilità di animali che si impegnano per sparire dalla Terra». Contro tutto questo lottano i partigiani, resistenti, restanti, per dirla con lo stesso Teti, di Sotterraneo.

TRA I PROGETTI, “GIRASULI”

Tra i loro sorprendenti progetti, dunque, GiraSuli. Iniziativa realizzata con la famiglia Catrambone, proprietaria della masseria di Montepaone che ha ospitato il campo, all’interno del quale sono stati seminati i girasoli e che ha accolto poi gli ospiti tra luglio e i primi di agosto in una sorta di processione pasquale di rinascita, appunto, o alla ricerca del Santo Graal, di un Eden in terra, di un rifugio dove abbeverarsi di emozioni e beni smarriti, semplici e maestosi come quei fiori affacciati sul mare.
«C’è ancora oggi chi sale fin qui, nella speranza di vederne qualcuno», ci dice emozionata Maria Antonietta Procopio, vicepresidente dell’associazione. Una pasionaria. Tornare alle origini e prendersene cura, sono le sue parole d’ordine. E poi la natura, una madre gigante e ancora comprensiva nonostante tutto. «Non posso pensare alla Calabria come a un cumulo di cemento – afferma – perché non è questo, non soltanto questo. Lasciamo partire i nostri figli, sacrificando ciò che di bello abbiamo. Io sono convinta che anche coltivando fiori si coltivano le relazioni e si possa cambiare il mondo. Qui ho visto gente felice, e anche più propensa a scambiarsi gentilezze, per esempio chi era da solo ha trovato qualcuno che spontaneamente ha chiesto se avesse bisogno di una fotografia in mezzo al campo. Un fatto straordinario. Non accade in città, non accade da nessuna altra parte».

L’idea del campo di girasoli a Montepaone

L’idea fu di Cinzia Catrambone, la più piccola della famiglia. Lavorava a Milano e visitando un campo di girasoli in Lombardia sentì forte un richiamo, come un fischio da un altro mondo, quello che aveva dentro, poi la spinta a realizzare la magica distesa gialla nel suo paese, Montepaone. Quelli di Sotterraneo non ci hanno pensato due volte. Arrivati lì ci siamo trovati così di fronte alla grazia tra due sbarrette, cioè assoluta, matematica. Quei fiori, come una navicella spazio temporale, ci hanno risucchiato indietro in un’epoca che sembrava non esistesse più, alla quale anzi non pensavamo più, travolti da tutto il falso del mondo, con nasi e occhi anestetizzati abituati ormai all’odore e al colore del brutto.

LA COLTIVAZIONE DI FIORI E DI RELAZIONI

Fatto sta che nelle due settimane di fioritura il campo di girasoli a Montepaone era sempre sold out, in un viaggio in cerca di pace, luce e bellezza. Ristoro, anche fisico, visto che l’associazione ha organizzato aperitivi tra ai girasoli, angoli con poltrone o finestre, specchi, sedute, tavoli, come fosse, il campo, un set cinematografico. E visionari come Fellini sono i guerrieri di Sotterraneo, con a capo il presidente Giovanni Lupica, sentinella di mille storie. «Occorrerebbero mesi per poterle raccontare tutte», dice, circondato da mani che vogliono stringere le sue andando via.
GiraSuli ha visto bambini piangere perché non volevano più tornare a casa, padri e madri perduti tra i fiori come i Beatles in India, anziani diventare fanciulli seduti in poltrona a farsi scattare una foto indossando un cappello, giocando a fare gli spaventapasseri. «Tutto questo – ci tiene a dirlo Maria Antonietta – è stato reso possibile grazie al lavoro dei volontari dell’associazione e dei ragazzi del servizio civile», in un girotondo di gratuità che si è allargato sempre di più: «Non seminiamo soltanto fiori, ma anche relazioni, legami, cuciamo nel cuore amicizie, e ne rivediamo di antiche».

Le storie

Mario Antonio Clericò, per esempio, è venuto da Milano, faceva il direttore provinciale delle Poste, partito che era un ragazzino da Gasperina. Sta seduto, beato, tra tutta questa luce sembra George Harrison mentre compone una nuova Here come the sun: «Su che cosa rifletto in mezzo ai girasoli? Che sono tornato bambino, è una sensazione pazzesca». Aveva ragione nonna Maria, dunque. «Mi diceva: torneremo alla terra vedrai, perciò impara a conoscere le nostre cose, e pure quello che cucinavamo e mangiavamo noi», sospira Maria Antonietta, convinta che seminare non significhi per forza raccogliere, economizzare. Lei ha vissuto molti anni fuori, in Emilia, ma ha deciso di tornare. «Qui mi sono ricongiunta con i miei avi. Mio padre studiava stando nella terra, figlio di pastori, con i libri tra le pecore», racconta.

DOPO I GIRASOLI A MONTEPAONE, I “CAMMINI DELLA RESTANZA” DELL’ASSOCIAZIONE DI GASPERINA

Di recente l’associazione ha riproposto i suoi “Cammini della Restanza”, un viaggio lungo ormai vent’anni alla riscoperta del borgo antico e delle storie di Gasperina, tra musica popolare, giochi antichissimi, finanche balli con i giganti di cartapesta al ritmo di tamburelli e fisarmoniche. Scoprire, riscoprire e custodire sono i verbi della magna carta di questi ragazzi. Un lavoro sovrumano in mezzo al deserto di una terra, la nostra, messa così male, amata per finta dalla politica calabrese e meschinamente “differenziata” dal governo.
Non lo fanno mica per loro stessi, lo fanno per tutti. Hanno l’anima gentile e pulita, forte, dei nativos dell’Amazzonia brasiliana. Giovanni, Maria Antonietta, e gli altri, sono piccoli sciamani custodi della magia e della potenza salvifica della natura. Non a caso l’antropologa Patrizia Giancotti, che lì ha vissuto per dieci anni, e che oggi ha scelto di vivere a Palermiti, pochi chilometri da qui, il paesino dove nacque suo padre, ha scritto a proposito di GiraSuli come non sia affatto cosa da poco «sentirsi collegati ai ritmi della natura, ai suoi profumi, sapori, a luce e oscurità, all’eterno ciclo delle stagioni fatto di nascita-morte-rinascita».

A COSA SERVE UN CAMPO DI GIRASOLI?

A che cosa serve un campo di girasoli come questo, era la domanda che ci eravamo posti salendo lentamente le curve prima di arrivarci. Questa era la risposta. A nulla di economico, a tutto, però: fermarsi, respirare, cancellare il superfluo, riflettere in merito alla via giusta da ritrovare. Vincent Van Gogh qui avrebbe trovato pace, invece che tagliarsi un orecchio, invece di cedere alla dolce follia di quella sera del 1888 ad Arles che lo portò a reciderlo, avvolgerlo in un foglio di giornale e farlo poi recapitare alla giovane Gabrielle.
È letteratura questo campo, rigenera tutte le volte che la “rileggi”. Un modello sensoriale di quella “utilità dell’inutile” teorizzata da Nuccio Ordine. Un romanzo, GiraSuli. Un miracoloso romanzo, venuto dall’età classica in questa luce disordinata di agosto.

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