Nessuno tocchi Caino “boicottato” in carcere, i detenuti non possono iscriversi: battersi contro l’ergastolo è un crimine

RMAG news

Un detenuto al 41bis del carcere di Novara ha scritto a Roberto Giachetti raccontandogli cosa gli è capitato quando ha chiesto tramite lettera al fratello, di versare i cento euro per l’iscrizione a Nessuno tocchi Caino. È successo che l’ufficio di Sorveglianza di Novara ha emesso un “decreto di trattenimento” della missiva perché “numerose circolari dipartimentali – ma se ne cita solo una del 2015 – hanno disposto di intercettare tutte le missive in qualche modo afferenti a tale associazione, che è una lega internazionale di cittadini e parlamentari per l’abolizione della pena di morte nel mondo, poiché le stesse potrebbero favorire l’insorgere di proteste da parte della popolazione detenuta compromettendo l’ordine e la sicurezza all’interno dei reparti”.

Il detenuto che scrive a Giachetti ha 53 anni, è stato condannato all’ergastolo, sta in carcere da 21 anni ed è sottoposto al regime del “carcere duro” da 18 anni. Dice di essere “basito” e commenta: «vorrei sapere se io da ergastolano non posso sostenere chi si batte contro “la morte per pena”, quindi contro l’ergastolo a vita». Ce lo chiediamo anche noi che portiamo la responsabilità di Nessuno tocchi Caino, associazione che l’anno scorso ha compiuto trent’anni, che è stata fondata da Marco Pannella e Mariateresa Di Lascia, che ha ottenuto all’Onu lo straordinario successo della “moratoria universale delle esecuzioni capitali” e ha contribuito in modo determinante all’abolizione in Italia dell’ergastolo ostativo. Noi, che da radicali e grazie all’esempio di Marco Pannella, pratichiamo da sempre la nonviolenza, saremmo provocatori di proteste che possono compromettere l’ordine e la sicurezza negli istituti penitenziari?

Noi, che abbiamo avuto il nostro attuale segretario Sergio D’Elia che nel 1987, con un permesso speciale, dal carcere ove era ristretto, è andato al congresso del Partito radicale per consegnare la banda armata Prima linea al partito della nonviolenza con un discorso di immenso, attuale, valore: «Vi consegniamo Prima linea, però… vogliamo un riscatto. Vi abbiamo offerto disposizione dello spirito e piena dedizione, da voi ci aspettiamo un dono più grande, ci aspettiamo una tecnica della speranza e della nonviolenza, un sentimento della politica e della conoscenza, ci aspettiamo una filosofia politica e una educazione sentimentale… finalmente al servizio della Democrazia». Ammesso che le “numerose circolari dipartimentali” esistano e circolino ancora, quel che non dovrebbe essere ammesso è che un magistrato di sorveglianza (anche dei diritti dei detenuti) decreti sulla base di documenti riservati segnalati da un “ufficio censura” carcerario di valore giuridico di quarto o quinto livello. Che tali “circolari” siano considerate fonte di prova sulla natura di un’associazione fondata e, finché è stato in vita, presieduta da Marco Pannella. Che tali note siano state elevate a fonte giuridica, prevalente rispetto a manciate di articoli della Costituzione afferenti ai “principi fondamentali”, recepiti anche nell’ordinamento e nel regolamento penitenziari, oltre che consacrati da patti e convenzioni internazionali sui diritti umani.

In quel “decreto di trattenimento” della missiva, c’è dell’altro. Il magistrato di sorveglianza di Novara, infatti, rincara la dose di inaudita irragionevolezza della decisione con queste testuali parole: “L’iscrizione, ove attuata, potrebbe in effetti condizionare l’operato dell’associazione Nessuno tocchi Caino e favorire iniziative della stessa, destabilizzanti per l’ordine e la sicurezza interna degli istituti, e ciò a maggior ragione ove anche altri detenuti a regime differenziato, emulando il (qui viene scritto il cognome del detenuto) chiedessero poi di aderire alla stessa associazione che finirebbe per essere finanziata da tesserati in regime di 41bis dell’Ordinamento penitenziario.” Che noi si sia contrari (come da tradizione radicale e pannelliana) al 41bis, all’ergastolo, alle leggi speciali, ai codici fascisti, alle carceri “illegali” che non rispettano le regole costituzionali italiane e convenzionali europee, credo sia noto a tutti. Non è recente, data a ventidue anni fa l’uscita del libro-denuncia sul “carcere duro” dal titolo emblematico “Tortura democratica”, che Sergio D’Elia e Maurizio Turco hanno scritto dopo aver fatto il giro nelle sezioni del 41bis e cella dopo cella intervistato 650 detenuti.

Così come è noto a tutti (come da tradizione statutaria del Partito radicale) che da noi “chiunque”, senza esclusioni e come è scritto da trent’anni anche nel nostro statuto, si può iscrivere alla nostra associazione. Ricordo come nel 1987, quando era in corso la campagna di iscrizioni del Partito radicale denominata “o lo scegli o lo sciogli”, Marco Pannella destò lo scandalo di molti benpensanti (anche dirigenti radicali) di rendere noto che, assieme a premi Nobel, parlamentari di tutto il mondo, sindaci, scienziati e popolarissimi appartenenti al mondo dello spettacolo e dell’arte, anche due feroci assassini avevano preso la tessera radicale. Si trattava del “padrino” Giuseppe Piromalli e del pluriassassino Vincenzo Andraus. «Non ho necessità di chiedermi perché mai lo facciano» – scriveva Pannella – «visto che noi abbiamo chiesto a tutti i cittadini italiani di farlo, e quindi anche a loro. Se mai il mio e nostro problema è di capire perché mai gli altri non lo facciano e non l’abbiano fatto fin qui!». «Posso però immaginare» – proseguiva Pannella – «che il “padrino” Piromalli, capo di una famiglia che ha esercitato molto potere nella sua regione, condividendolo con la classe politica, trovandosi ora a oltre sessant’anni chiuso, probabilmente per sempre in galera e conoscendo meglio dei più la serietà, l’onestà, il rigore, la capacità dei radicali e anche l’efficacia della loro nonviolenza, avendo oggi più che mai anche lui bisogno di giustizia e di “giusti”, sia lieto, potendolo, di dare una mano a costoro, che gliela chiedono. Posso immaginare anche che Vincenzo Andraus, come altri violenti “politici” e non solo “comuni”, voglia rendere omaggio, testimoniare rispetto e amicizia per chi, con il passare degli anni, sa dimostrare quanto la nonviolenza sia conveniente, sia più forte, più bella e praticabile, e quanto il rispetto delle leggi, delle regole – se davvero fosse possibile – possa valere la pena di crederci, e di praticarlo».

L’opera nonviolenta e gli scopi più che legali di Nessuno tocchi Caino, organizzazione non governativa riconosciuta dal Consiglio d’Europa e anche dal ministero degli Esteri in Italia, sono certificati in centinaia di provvedimenti e concessioni del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Dal 2009 fino a oggi, Nessuno tocchi Caino è stata autorizzata a tenere i suoi Congressi biennali all’interno degli istituti penitenziari, a tenere i laboratori “Spes contra Spem” nelle sezioni dell’Alta sicurezza, a poter realizzare dentro il carcere di Opera il docu-film di Ambrogio Crespi contro l’ergastolo ostativo con la partecipazione dell’allora capo del Dap Santi Consolo, docu-film presentato dall’allora guardasigilli Andrea Orlando al festival del Cinema di Venezia. L’opera laica di Nessuno tocchi Caino di misericordia corporale, “visitare i carcerati”, si è rinnovata centinaia di volte negli ultimi anni con gli ingressi in carcere, alcune volte anche nelle sezioni del 41bis, già autorizzati e che continuano a essere autorizzati dal Dap, con il cui Capo attuale Giovanni Russo (come accadeva con Santi Consolo, Carlo Renoldi e Dino Petralia) manteniamo un leale rapporto di collaborazione grazie anche ai report che gli mandiamo sulle visite, report in cui evidenziamo lo stato dei singoli istituti, le condizioni di vita dei detenuti e di lavoro dei “detenenti”, comprese le disfunzioni, le irregolarità e le vere e proprie illegalità perpetrate nei confronti di tutta la comunità penitenziaria dovute tutte più che a problemi di gestione a una legislazione carcero-centrica che determina la violazione sistematica dei diritti umani fondamentali.

Un’opera di conversione dalla violenza alla nonviolenza, dall’odio all’amore, dal delitto al diritto, è questa la cifra dell’associazione radicale nonviolenta transnazionale e transpartitica Nessuno tocchi Caino. Perciò, quando accade che una persona che ha commesso gravi crimini violenti decide di prendere la tessera di un’organizzazione nonviolenta, il fatto dovrebbe essere salutato come un evento salvifico, non come una iattura, una minaccia per lo Stato e – addirittura – per la nostra stessa esistenza. A meno che non si voglia mai cogliere il bene e si preferisca invece coltivare il male, maledire e inchiodare per sempre i condannati ai loro delitti, a essere cattivi per sempre, esibirli come trofeo di uno Stato forte che non perdona. Noi vogliamo ancora credere allo stra-citato articolo 27 della Costituzione e concludere con le parole di Marco Pannella a proposito delle iscrizioni di Piromalli e Andraus: «Cosa volete aspettarvi – a parte la storia cristiana delle redenzioni, quella laica del giudicare attraverso le opere – dai “criminali” in carcere? Che assassinio, onde per vostra tranquillità confermarvi che loro sono belve e voi persone?».

*Presidente di Nessuno tocchi Caino

Please follow and like us:
Pin Share