Salvini e Santanchè se la cavano, ma la destra è in grande imbarazzo

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La mozione di sfiducia contro il vicepremier Salvini subito, quella contro la ministra del Turismo Daniela Santanchè a ruota, slittata a stamattina e bocciata con 213 voti contrari e 121 a favore. Il governo ha deciso così, scegliendo di procedere a passo di carica e nel più breve tempo possibile.

Nessuna suspense né per il primo né per il secondo voto, nessuna sorpresa arrivata ieri o oggi. Ma le due vicende non sono equiparabili: una, la mozione a carico del leader leghista per l’accordo di collaborazione stretto con Russia Unita nel 2017 e mai formalmente disdetto, presentata da Azione e appoggiata da tutta l’opposizione Iv inclusa, è destinata a esaurirsi con il voto di ieri.

Salvo, naturalmente, la scoperta di nuovi e più concreti elementi. L’altra, quella contro Daniela Santanchè in seguito all’accusa di truffa ai danni dell’Inps presentata dal M5s e votata da tutta l’opposizione con l’eccezione di Iv, resta un problema enorme che la premier dovrà decidersi ad affrontare nelle prossime settimane.

La strategia del governo è stata quella di abbassare quanto più possibile i decibel: la scelta di fare in fretta deriva appunto da questa esigenza. Di corsa e anche sottovoce. La ministra nel mirino non si è proprio presentata nell’aula di Montecitorio quando ieri mattina la mozione è stata illustrata.

Del resto il governo era assente al 99%, rappresentato solo dalla ministra dell’Università Bernini. Deserti i banchi del governo, vuota anche l’aula: disertata dall’intera maggioranza ma anche dalla stessa opposizione.

Salvini si è fatto vedere ma è stata una comparsata lampo: se ne è andato prima che la mozione che lo riguardava venisse discussa: “Ho una riunione sulle concessioni autostradali. Vado a fare il mio lavoro”. Ciao, ciao.

Nella maggioranza non c’è stata neppure l’ombra di una incrinatura. “Per garantismo” tutti hanno annunciato subito la decisione di respingere entrambe le mozioni anche se sul caso Santanchè sia la Lega che Fi qualche prudente distanza la prendono.

“La decisione politica spetta a FdI”, sottolinea per gli azzurri Tosi. “Se ci sarà il rinvio a giudizio deciderà Meloni”, mette le mani avanti il vice di Salvini, Andrea Crippa. La grana è di Giorgia e tutti sanno che è grossa: se la sbrigasse lei. Nessuno, tanto meno la premier, si illude infatti che il voto di oggi basti a risolvere il guaio.

Il caso Salvini invece si è di fatto già esaurito. I rapporti stretti della Lega con Putin non erano certo un segreto. Per l’intera opposizione il solo fatto che il Carroccio non abbia formalmente disdetto l’accordo del 2017 dimostra che il rapporto tra via Bellerio e il Cremlino è ancora solido e l’intesa pienamente in funzione.

La Lega afferma che l’accordo ha perso automaticamente ogni valore in seguito all’invasione dell’Ucraina e anche se la tesi è fragile ci vuole molto più di una mancata disdetta vergata nero su bianco per accusare un vicepremier di alto tradimento, perché di questo in soldoni si tratta anche se nessuno pronuncia la formula dannata. Ma soprattutto la vicenda non è tale da colpire la pancia degli elettori. Senza nuovi elementi il voto di ieri basterà a chiuderla.

Il caso Santanchè è opposto: il conflitto di interessi tra una ministra del Turismo che è anche imprenditrice nel settore è palese. L’abitudine di chiedere dimissioni a raffica stride con la pervicacia con la quale la ministra si avvinghia oggi alla sua poltrona.

Le numerose e non precisamente eleganti sparate contro quelli che, grazie al rdc, si facevano mantenere dallo Stato invece di lavorare suonano decisamente stonate e poco gradevoli a fronte della richiesta di rinvio a giudizio per truffa ai danni dell’Inps.

È una di quelle vicende che, al contrario dell’accordo tra Salvini e Russia Unita, colpiscono e irritano l’elettorato e la bocciatura dell’inutile mozione presentata dai 5S sarà comunque irrilevante dal momento che il problema si ripresenterà per intero se la richiesta di rinvio a giudizio sarà accolta. A quel punto Giorgia Meloni si troverà di fronte a un bivio e a un dilemma.

Spingere la ministra alle dimissioni non le sarà facile. In parte per i rapporti stretti tra l’imprenditrice e il presidente del Senato Ignazio La Russa, che tra i Fratelli d’Italia ma in parte anche per la tendenza della premier a fare quadrato e difendere sempre la sua gente, a maggior ragione quando presa di mira dall’opposizione.

Ma lasciarla al ministero dopo l’eventuale rinvio a giudizio vorrebbe dire procurarsi un danno d’immagine che alla lunga potrebbe rivelarsi disastroso. Si capisce perché gli alleati siano così contenti di scaricare solo sulle sue spalle il peso della decisione.

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