Trump condannato spacca la destra italiana: Salvini fanboy, gelo della “falsa” Meloni

RMAG news

Nelle chat dei circoli trumpisti la presidente del Consiglio italiana la hanno ribattezzata “Phoney Meloni”, Meloni la Falsa. Se fino a un paio d’anni fa era considerata un’alleata sulla piazza europea oggi è la traditrice che per ragioni di bottega ha abbracciato Joe Biden.

Una di cui non ci si può fidare. Al contrario di Marine Le Pen in Francia, l’alleata numero uno anche perché potrebbe nel 2027 alloggiare all’Eliseo, ma anche di Matteo Salvini.

Sarà per questo che le reazioni del capo leghista e del partito di Giorgia alla condanna di New York sono non diverse ma diametralmente opposte. Salvini è perfettamente in linea con la visione del condannato: processo politico, condanna pilotata: “Sostegno e piena solidarietà.

“È vittima di una persecuzione giudiziaria e di un processo di natura politica. Spero che vinca”. La Lega si pronuncia al massimo livello, e Salvini martella su quel tasto più volte nel corso della giornata.

FdI lascia la parola a un ufficiale, il presidente della commissione Affari costituzionali Balboni, che decisamente non vede le cose come l’alleato leghista: “Rispetto la giurisdizione degli Usa, che sono uno Stato di diritto dove tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”.

Non è proprio un plauso alla condanna del principale leader della destra nel mondo, però ci manca poco. Tajani, capopartito ma anche ministro degli Esteri e diplomatico cauto per vocazione, fa il salomonico: “Noi siamo alleati degli Usa, non di questo o quel presidente”.

Di mezzo c’è anche e molto la campagna elettorale. Tutte le posizioni assunte in questi giorni vanno prese con le pinze, in particolare quelle sull’Ucraina. Ieri Tajani ha confermato il no italiano all’eliminazione del caveat che vieta a Kiev di usare le armi fornite dall’Italia per colpire il territorio russo: “Ce lo vieta la Costituzione”.

In effetti quello di Forza Italia, come quello di Lega, Conte, Orbàn e Le Pen, è stato nell’Assemblea parlamentare di Sofia, pochi giorni fa, uno dei pochi voti contro l’emendamento canadese a favore della possibilità di colpire le basi russe vicine al confine da cui partono i missili.

La delegazione FdI non c’era ma per una volta pare che non fosse un’assenza diplomatica. Quella del Pd ha votato a favore. Si vede che il parere contrario della segretaria è, tanto per cambiare, “a titolo personale”. Se poi l’Italia, scavalcate le elezioni, manterrà la posizione dipenderà dall’insistenza degli Usa.

Anche i commenti sulla condanna di Trump risentono delle esigenze pre-elettorali, ma in questo caso incidono maggiormente altre e più sostanziose motivazioni.

Il rapporto della premier con il presidente americano in carica è stato fondamentale nell’aprirle le porte dei piani alti in Europa, ha funzionato come garanzia inappellabile.

Il cambio della guardia con un Trump che, al contrario, al momento non se ne fida affatto la priverebbe di un sostegno prezioso. La premier italiana, inoltre, deve buona parte della sua credibilità all’estero proprio alla posizione assunta sulla guerra in Ucraina.

Nonostante tenti di svicolare ora sul nodo della gittata delle armi anti-russe, quella linea le garantisce comunque una rendita più che mai necessaria date le condizioni non precisamente floride delle casse italiane.

Con Trump presidente le cose non sarebbero le stesse. Più precisamente sarebbero opposte. The Donald ha pochissimo interesse nel fronte ucraino e non lo nasconde.

Non a caso a esprimergli solidarietà ieri sono stati, oltre a Salvini, Putin e Orbàn (ma non l’accorta Marine Le Pen). In compenso è probabile che la tensione si impennerebbe in un’area molto più vitale per i concreti interessi italiani: il Golfo Persico, l’Iran.

Insomma, se Trump perderà le elezioni Giorgia non verserà una lacrima in pubblico e brinderà in privato. Come premier italiana e anche come leader della destra.

La competizione fra le due destre è appena iniziata. Passate le elezioni i decibel scenderanno ma la sfida proseguirà e aumenterà se non in rumore in intensità.

La vittoria di Trump avvantaggerebbe l’area Le Pen-Salvini in misura se non decisiva certo rilevante. Il capo leghista, del resto, ha evidentemente scelto di continuare a puntare sull’identità di destra radicale di una Lega che, ai tempi di Bossi, faceva invece il possibile per sottrarsi a quella catalogazione.

Il candidato generale Vannacci, con il video in cui invita a votare con una X “come quella della X Mas”, flirta apertamente col fascismo. La Lega non prende le distanze e anzi accredita la risibile versione dello staff di Vannacci, secondo la quale il generale si riferiva sì al reparto comandato dal principe nero Junio Valerio Borghese, ma prima dell’armistizio mica a quella della Repubblica di Salò alla quale aderì poi la Decima.

E Salvini, che oggi sarà a Milano con Vannacci per un comizio, lo spalleggia: “Il fascismo è morto e sepolto. Sono orgolgioso di Vannacci che sarà eletto e sarà uno dei più votati”. Il quadro possibile di una destra radicale diversa e competitiva con la sua che conquista la Casa Bianca e poi magari anche l’Eliseo non può certo fare contenta la leader di FdI. E se una sentenza ostacola quell’esito, cameriere champagne!