Patrizio Bianchi: «È in Africa la nuova frontiera europea»

Patrizio Bianchi: «È in Africa la nuova frontiera europea»

Il Quotidiano del Sud
Patrizio Bianchi: «È in Africa la nuova frontiera europea»

Intervista all’ex ministro Patrizio Bianchi: «Il G7 ha sottovalutato il potenziale dell’Africa, il Mediterraneo può portare pace solo se c’è sviluppo»

Da Addis Abeba a Trieste, per parlare di Africa. E non solo. Patrizio Bianchi, ex ministro dell’Istruzione, economista ed ex manager pubblico, non si ferma un attimo. Su e giù fra i due continenti, senza mai fermarsi, per vedere e toccare con mano la grande rivoluzione del mondo capovolto, dove lo sviluppo corre sull’asse Sud-Nord. E dove l’Africa può giocare un ruolo decisivo anche sullo scacchiere della guerra in Medioriente, evitando che il conflitto possa rallentare il percorso che ha portato il Mediterraneo di nuovo al centro dei traffici mondiali.

L’intervista con Patrizio Bianchi, però, parte da una constatazione precisa: l’Europa deve abbattere le sue mura, vincere le paure che ancora oggi gonfiano le vele ai partiti sovranisti o dell’estrema destra xenofoba, e impostare con il mondo africano un rapporto paritario, non più di stampo neocolonialista. Anche perché le cose stanno cambiando in maniera molto più rapida rispetto a quello che siamo abituati a immaginare.

Professor Bianchi, l’Africa sta rivestendo un ruolo sempre più importante sullo scacchiere economico e politico mondiale. Quali sono i suoi punti di forza e quali quelli di debolezza?

“Sono gli stessi e non a caso. Prima di tutto non c’è una sola Africa, ce ne sono mille. Molte di queste sono ancora in guerra, conflitti colpevolmente dimenticati dall’Occidente. Secondo, bisogna ricorcare che nel continente africano ci sono tutte le risorse naturali fondamentali per la nuova economia, dal litio, alle cosiddette materie rare. Ma la cosa ancora più importante è che, come ha ricordato la presidente dell’Etiopia, l’Africa è un mondo in forte crescita. L’Europa ha ancora tassi dello zero virgola, l’Africa viaggia su incrementi del Pil fino a 10 punti percentuali. Infine, non è solo un mercato che cresce ma anche un continente capace di fare innovazione. A Trieste, ad esempio, ho incontrato un gruppo di imprenditrici nel settore farmaceutico che hanno in programma investimenti davvero molto interessanti. Addis Abeba, che ho visitato qualche giorno fa, ha 3,5 milioni di abitanti e un centro che somiglia a Manhattan, con una rete metropolitana finanziata e realizzata dai cinesi”.

Ecco, professore, ha toccato un punto cruciale. L’Italia e il Mezzogiorno, se non altro per motivi geografici, possono giocare una partita importante per lo sviluppo dell’area. Non le sembra, però, che ci siamo mossi con un po’ di ritardo?

“Per la verità non siamo solo noi in ritardo ma tutto il G7. L’impressione è che i Paesi sviluppati non si siano resi conto di quello che stava succedendo non solo in Africa ma nel cosiddetto “global south”. Ci siamo accorti del Bangladesh quando ha cambiato il governo con un colpo di stato chiamando alla presidenza il premio nobel Muhammad Yunus. Inoltre, abbiamo dimenticato che è il secondo produttore al mondo per il tessile dopo la Cina. Insomma, l’Italia è in buona compagnia. Ma devo dire anche che il nostro Paese ha una carta in più da giocare. I Paesi africani battono molto sul tasto dell’autonomia e dell’indipendenza, si fidano ancora poco dei vecchi colonialisti come Francia e Inghilterra. L’Italia, infine, è in vantaggio anche per la sua collocazione geografica: il nostro Mediterraneo è, come ricordava Prodi, la piattaforma per le relazioni con il continente africano”.

Il Piano Mattei può rappresentare una svolta?

“Per la verità penso che i Paesi europei continuano a muoversi in ordine sparso. Sia la Francia che la Germania hanno delle cose simili al nostro Piano Mattei. E l’Europa ha già un’intesa con l’Unione Africana. Dovremmo cercare di mettere tutto questo a fattor comune, dobbiamo lavorare insieme. Altrimenti non riusciremo mai ad avere quella massa critica necessaria per bilanciare la presenza della Cina o della Russia”

Riusciremo a battere la concorrenza di questi due giganti?

“Molto dipenderà dagli investimenti ma anche da quello che noi saremo in grado di mettere in campo sul fronte della ricerca scientifica e della tecnologia. L’Europa deve fare di più, non chiudersi in se stessa. L’Italia, ha centri di ricerca di eccellenza da Trieste a Bologna. Se cominciassimo a mettere in fila tutte queste opportunità potremmo davvero svolgere un ruolo molto più attivo nei Paesi africani”.

E il Mezzogiorno?

“Ha grandissime potenzialità anche su questo fronte. Vorrei ricordare il progetto di Romano Prodi per l’università del Mediterraneo, che io estenderei a tutta l’Africa. L’intero continente ha bisogno di capacità tecniche e industriali. E il piano per il rilancio degli istituti tecnici professionali è estremamente importante. Nel Mezzogiorno sono nati tanti nuovi Its che possono diventare il punto di riferimento di tanti giovani in africani e delle numerose imprese che vogliono investire. Ma attenzione, penso ad un rapporto bidirezionale: giovani che vengono in Italia per formarsi e quindi tornare in Africa, professionalità che partono dall’Italia, fanno nuove esperienze e poi tornano con un nuovo bagaglio di competenze. Serve una visione dinamica, senza paura delle frontiere”.

Intanto il Medioriente è in fiamme. In che modo la guerra può influenzare il futuro del Mediterraneo?

”Ecco, c’è un concetto fondamentale: il Mediterraneo può diventare un mare di pace nel nuovo scacchiere mondiale ma solo se si mette in moto un processo di sviluppo. Per questo l’Africa è importante. Se le risorse disponibili sono destinate a finanziare la guerra, non si va da nessuna parte. L’Europa, da questo punto di vista, è penalizzata anche dal punto di vista economico, perché ha un’industria di pace ma non di guerra. Se facciamo crescere l’Africa, se portiamo lo sviluppo in questo continente, possiamo anche contribuire fortemente ad una de-escalation dei conflitti mondiali. Si tratta di un’opportunità per l’intera Europa”.

Lei è anche presidente del board di Feuromed: uno dei meriti del Festival Euromediterraneo dell’Economia è stato proprio quello di aver acceso un faro sulle grandi opportunità del Mediterraneo.

“Bisogna andare avanti e allargare ancora di più l’orizzonte a tutto il Mediterraneo considerato come nuovo asse Sud-Nord del mondo. Bisogna ricordare che le nuove tecnologie hanno trasformato il processo di sviluppo, non è più lineare ma procede anche con dei veri e propri salti in avanti. I Paesi possono passare direttamente alle fasi più moderne superando tutti i passaggi precedenti. E’ un altro di quei fattori che possono velocizzare lo sviluppo del continente africano”.

Il Quotidiano del Sud.
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