Chiara Carnovale: «E così sono tornata al Centro. Ora cerchiamo altri professionisti»

Chiara Carnovale: «E così sono tornata al Centro. Ora cerchiamo altri professionisti»

Il Quotidiano del Sud
Chiara Carnovale: «E così sono tornata al Centro. Ora cerchiamo altri professionisti»

Psicologa lametina, Chiara Carnovale, responsabile del Centro Autismo della comunità Progetto Sud racconta la storia di un posto pieno di speranza

Chiara Carnovale, 32 anni, lametina: è responsabile del Centro Autismo della Comunità Progetto Sud. Un posto pieno di speranza e di futuro che sta nell’ala di un immenso convento moderno, in un fabbricato anni ’60 e tanto verde intorno: gli orti e gli alberi di limone, le palme e gli oleandri. Un giorno le poche suore di Maria Bambina rimaste dissero a don Giacomo Panizza: “Cosa possiamo fare per voi?”.

E voi di Progetto Sud cosa avete fatto?

“C’era bisogno di un intervento intensivo, con il coinvolgimento delle famiglie e del sistema scolastico. C’era bisogno di un luogo aperto e sorridente, non di biglietti per le strutture del Nord. Dove ci sono specialisti che possono effettuare un intervento ridotto, mente il nostro è complesso. Volevo specializzarmi nei disturbi dello sviluppo, a poco a poco mi sono focalizzata sull’autismo. Pensavo: qualcuno dovrà pure dare una risposta a queste famiglie”.

Lei è partita…

“Dopo il Liceo Classico sono andata a Roma a studiare psicologia clinica, sono specializzata in psicoterapia, ho fatto un primo tirocinio al ‘Bambin Gesù’, con il neuropsichiatra Luigi Mazzone. Sono stata coinvolta nel progetto Aita: attività ludico-sportive, campus estivi dove stanno insieme ragazzi con autismo a sviluppo tipico e altri senza diagnosi. E sono riuscita ad organizzare un soggiorno anche in Calabria”.

…e poi è tornata

“La Progetto Sud cercava un responsabile per il Centro appena aperto: mi è sembrato il richiamo del cuore. I miei genitori preferivano in un primo tempo che io restassi a Roma, ma ora sono contenti. Anche perché io continuo a collaborare con l’Università di Tor Vergata e con l’Accademia di scherma “Lia”, per bambini e ragazzi con lo spettro autistico. Questo mi regala uno scambio continuo di esperienze”.

Quanti pazienti avete in carico?

“Al momento sono 24, dai 18 mesi ai diciotto anni. La lista d’attesa è molto lunga. Il messaggio che mandiamo ai genitori è questo: prima venite da noi, più efficace sarà l’intervento. Non sempre accade”.

È vero che trovate difficoltà nel reperire il personale?

“Cerchiamo figure da formare per l’area sanitaria. Attiviamo percorsi di formazione e tirocinio. Abbiamo bisogno di personale specializzato anche per i soggiorni estivi che organizziamo, per esempio al Parco della biodiversità di Catanzaro, al Parco Lilliput di Lamezia. I bimbi autistici vengono seguiti dai tutor specializzati, con rapporto di 1 a 1”.

Perché manca il personale qualificato?

“Prima di tutto perché in Calabria non ci sono percorsi di formazione universitaria specifici per queste professionalità. L’impegno emotivo e fisico che richiediamo è forte: non sempre le persone ci riescono. I salari, infine, spesso non sono adeguati alle professionalità richieste e alla fatica. Educatori professionali, logopedisti, tecnici della riabilitazione psichiatrica, neuropsicomotricisti sono ricercatissimi in tutta Italia”.

Lei sente di aver raggiunto dei risultati?

“Non io, ma tutto il Centro. C’è una maggiore consapevolezza da parte dei genitori, concetti più radicati. Non hanno paura di chiedere aiuto”.

Vi sentite inseriti nella città? Ricordo quello che racconta don Panizza, quando il vescovo gli disse oltre cinquant’anni fa: “Devi andare in un posto dove si vergognano degli handicappati”.

“Nessun problema. Ma più che la comunità, è la scuola che deve cambiare la visione dei nostri – sì, li chiamo nostri – bimbi. Certe patologie non possono essere spiegate e raccontate solo dentro la cornice della disabilità”.

Quindi uscite dal Centro?

“Per fortuna abbiamo un grande spazio, Ogni 2 aprile ci apriamo alla città, per la giornata mondiale dell’autismo. In più, organizziamo la pulizia delle spiagge ed altre attività con la partecipazione dei genitori. Siamo stati al McDonald’s perché l’idea è quella di vivere negli spazi di tutti”.

Ma prima dove andavano questi genitori?

“Da nessuna parte. O meglio, negli studi specialistici. Certo noi non possiamo essere l’unica risposta. La richiesta è molto più alta. Ci sono posti dove questi servizi non ci sono e dove vanno implementati”.

Come si mantiene il centro? Ci sono stipendi da pagare.

“Siamo nati da pochi anni, per ora il Centro è un servizio privato, anche se si va verso una convenzione. Ci hanno aiutato due Fondazioni, una è svizzera. Le famiglie danno un contributo, ma molte ci arrivano a fatica. E c’è qualcosa che tutti i cittadini possono fare: il 5×1000 a Progetto Sud”.

Della sua classe della maturità, quanti sono rimasti in Calabria?

“Più o meno la metà, che è una buona media. Ma per quanto mi riguarda, credo che la spiaggia di Gizzeria possa fare la differenza”.

Il Quotidiano del Sud.
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