Espulsioni nei paesi sicuri sono illegali, i migranti vincono i ricorsi

RMAG news

Il Tribunale di Firenze sospende l’espulsione di un cittadino del Gambia a cui era stata negata la protezione internazionale mediante “procedura accelerata”.

La motivazione è il tempo del giudizio: la Questura ha impiegato sei mesi per trasmettere gli atti alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale (dipendente dal Ministero degli Interni) che doveva giudicare la richiesta di asilo e ciò contrasta con la procedura usata, che prevede tempi molto più brevi.

La “procedura accelerata” ex art. 28 bis d. l.gs. n. 25 del 2008 in Italia viene utilizzata da anni nei casi in cui la domanda di protezione è presentata da cittadini provenienti dai cosiddetti Paesi sicuri.

E’ una procedura semplificata che prevede che il cittadino straniero sia in grado di produrre prove stringenti del rischio di persecuzione nel Paese di origine, pena l’inammissibilità della domanda e l’adozione del provvedimento di espulsione.

Un onere della prova pressoché diabolico per chi arriva in Italia dopo l’odissea della rotta libica o di quella balcanica, un iter in cui non ci sono vere indagini sui motivi che spingono il richiedente a chiedere protezione e in cui l’esito è spesso un diniego.

Ma le tempistiche sono chiare: “la Questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla commissione territoriale che, entro 7 giorni dalla data di ricezione della documentazione, provvede all’audizione e decide entro i successivi 2 giorni”. Nove giorni in tutto, prescrive la legge italiana, non i centosessantacinque che ci sono voluti per decidere sul futuro del cittadino gambiano.

Se l’Italia non è in grado di rispettare le tempistiche di una procedura accelerata, deve ricorrere a quella ordinaria che prevede un più accurato esame del caso.

Il provvedimento di Firenze, emesso il 5 maggio e supportato da un analogo pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione emesso il 9 aprile, sta orientando i tribunali di tutta Italia e di fatto smonta i proclami del governo Meloni su fantasiose operazioni di espulsione immediata di masse di invasori stranieri.

Finora le persone arrivate in Italia dai cosiddetti Paesi sicuri hanno presentato domanda di protezione e aspettato anche due anni prima di ottenere un appuntamento. Nel frattempo sono state abbandonate nel limbo dei centri per migranti senza la possibilità di avere un permesso di soggiorno, l’accesso al Sistema Sanitario regionale, alla residenza anagrafica, al lavoro, alla formazione.

Poi, all’improvviso, sono state inviate per direttissima alla Commissione Territoriale, come fossero appena sbarcate a Lampedusa, e hanno ricevuto la declaratoria di inammissibilità della domanda di asilo.

Adesso, ci spiega l’avvocata Martina Bianchi del foro di Pisa, a queste persone basterà dimostrare (per esempio con la copia di una pec inviata) di aver chiesto un appuntamento in questura per rendere inapplicabile la procedura accelerata.

Il governo Meloni, in piena campagna elettorale, probabilmente trema al pensiero che i suoi elettori capiscano cosa sta accadendo. Giorgia Meloni ha più volte millantato di poter effettuare in soli 28 giorni l’espulsione di migranti transitanti dai fantomatici centri italo-albanesi e in molti le hanno fatto notare l’irrealizzabilità della cosa.

La scorsa settimana il ministro Piantedosi ha emanato una direttiva indirizzata ai prefetti in cui chiedeva di incrementare sensibilmente la durata dei procedimenti delle commissioni territoriali ma le suddette commissioni hanno risposto che è impossibile e hanno indetto uno sciopero di protesta.