La verità di Julian Assange: “Ecco perché dopo 14 anni sono libero”

RMAG news

«Voglio essere totalmente chiaro: non sono libero oggi perché il sistema ha funzionato. Sono libero oggi perché dopo anni di carcere mi sono dichiarato colpevole di aver fatto il giornalista». A parlare è Julian Assange al Consiglio d’Europa a Strasburgo. Per il cofondatore di WikiLeaks questa è la prima apparizione in pubblico al suo rilascio e dopo i 14 anni passati in detenzione in Gran Bretagna. Assange nella mattinata di ieri ha preso parte a un’udienza organizzata dalla commissione europea per gli Affari giuridici e i diritti umani sul suo caso.

La presenza del giornalista è legata al rapporto preparato dalla socialista islandese Thorhildur Sunna Aevarsdottir, sulla libertà di espressione e l’autocensura di giornalisti ed editori a causa di condanne e detenzioni, che l’Assemblea dovrà votare nella giornata di oggi. Nella bozza di risoluzione presentata dalla Commissione, sono contenute diverse testimonianze sugli anni di prigionia di Assange, durante i quali il giornalista sarebbe stato vittima di “detenzione arbitraria”, in cui avrebbe potuto subire “trattamenti inumani o degradanti”. Il giornalista, dopo anni di silenzio, è tornato a parlare, partendo proprio dalla testimonianza delle vicende giudiziarie che l’hanno riguardato. «Ho scelto la libertà al posto di una giustizia irrealizzabile», ha dichiarato Assange, con l’intento di spiegare la sua decisione di patteggiare con gli Stati Uniti. Una scelta sicuramente non facile, presa probabilmente per la prospettiva di una condanna a 175 anni di detenzione.

Nelle sue parole risuona forte anche il J’accuse, scagliato contro Washington. «La giustizia, per me, è ora preclusa poiché il governo degli Stati Uniti ha insistito per iscritto nel suo patteggiamento che non posso presentare un caso alla Corte europea dei diritti dell’uomo o anche una richiesta di Freedom of information Act per quello che mi ha fatto a seguito della richiesta di liberazione. Voglio essere totalmente chiaro». «L’esperienza dell’isolamento per anni in una piccola cella è difficile da trasmettere. Spoglia il senso di sé, lasciando solo l’essenza dell’esistenza». Mentre parla, il suo tono è evidentemente emozionato, tanto da fare delle pause e scusarsi per le sue «parole esitanti». Scarcerato a giugno dopo essere stato detenuto per 5 anni nel carcere inglese di alta sicurezza di Belmarsh, e 7 anni in isolamento nell’ambasciata dell’Ecuador in Inghilterra.

«Da quando sono uscito da Belmarsh» – ha detto il fondatore di WikiLeaks – «ho notato un grande cambiamento nella nostra società. Vedo più impunità, più segretezza, più rappresaglie per aver detto la verità, e più autocensura». «Quando ho fondato WikiLeaks, ero spinto da un semplice sogno: educare le persone su come funziona il mondo in modo che attraverso la comprensione potessimo realizzare qualcosa di meglio. Avere una mappa di dove siamo ci consente di capire dove potremmo andare. La conoscenza ci dà il potere di chiedere conto al potere e di esigere giustizia dove non ce n’è. Abbiamo ottenuto e pubblicato la verità su decine di migliaia di vittime nascoste di guerra e altri orrori invisibili, su programmi di assassinio, consegna, tortura e sorveglianza di massa».

Continua la sua testimonianza con una preoccupazione nei confronti proprio dell’Unione europea, ha sottolineato come gli europei debbano «obbedire alla legge sullo spionaggio degli Stati Uniti». «È difficile non tracciare una linea tra il governo degli Stati Uniti che attraversa il Rubicone, criminalizzando a livello internazionale il giornalismo e il freddo clima attuale per la libertà di espressione». Il suo caso, potrebbe diventare un pericoloso precedente per qualsiasi grande Stato con la volontà di perseguire i giornalisti in Europa. «Se le cose non cambiano, nulla impedirà che quanto è accaduto a me accada di nuovo» – ha aggiunto. «La libertà di espressione e tutto ciò che ne consegue si trovano a un bivio oscuro».

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