Al cinema porno, un film ai margini del desiderio: ossessione, dipendenza, educazione sessuale a luci rosse

RMAG news

E qualcuno si tocca, apre e tira fuori e si masturba poco lontano, senza vergogna, qualcuno con cui non si ha alcun feeling sessuale, erotico. Uno sconosciuto. E ha ragione, ha tutto il diritto di farlo. A nessuno verrebbe in mente di perseguirlo, nessun atto osceno in luogo pubblico. Com’è che ci si finisce dentro, e a chi verrebbe in mente di saziare la propria sessualità dentro un cinema porno? Online è dappertutto, anche sui social più popolati – non è difficile, basta smanettare un po’, un’imbeccata – e invece dalle strade ormai la pornografia è bandita. I cinema a luci rosse sono sempre meno, in via d’estinzione. Una specie di ultima briciola del Novecento insieme con i fumatori di sigarette non elettroniche.

Attorno a questo dalle parti della Stazione a Napoli non c’è alcuna grafica esuberante o pomposa. Un nome evocativo, da playboy. Solo davanti alla porta ci si rende conto di cosa ospitino quei locali. SOLO PER ADULTI FILM HARD – recita la locandina sgualcita – RIGOROSAMENTE VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI. E la rassicurazione bollente: “Aria condizionata”. Ah ok, allora sì, allora cambia tutto. Qualcuno ciondola davanti con mestizia, entra con nonchalance. Ma chi? Chi ai tempi del porno online, prêt-à-porter, mai così raggiungibile e gratis, chi ai tempi di Tinder e di escortadvisor, di altre mille app indicizzate e indirizzate per categorie da incontrare, frequenta ancora questi misteriosi e superati posti di erotismo pubblico, condiviso?

La realtà virtuale ormai permette di stimolare il tatto oltre che la vista in un’esperienza sensoriale in prima persona. Le pornostar utilizzano doppelganger virtuali animate dall’intelligenza artificiale per farli interagire con gli abbonati e vendere più contenuti. L’industria si è adattata, ha perso e recuperato, si è adattata: si è passati dalle linee calde e la seconda serata, dai giornaletti alle vhs, dal web a OnlyFans. In un certo senso è come se le dinamiche del porno, tra streaming e abbonamenti, abbiano anticipate quelle del cinema classico. L’Italia sesta su Pornhub nel 2022, il tempo medio di visita è di quasi 10 minuti – sempre più breve. Con categorie e smartphone l’esperienza è diventata sempre più centrata sull’individuo. Non è sempre stato così, non soltanto nei cinema.

Aveva in mano qualcosa il figlio del giornalaio che uscì di nascosto dall’edicola, mentre faceva buio, e si guardò attorno con fare circospetto, con il mariuolo in corpo, e nascose qualcosa dietro un vaso. Quel giornaletto era pieno di donne dalle forme bombastiche, biondissime, finte, dalla pelle che sembrava oliata. Si decise tutti insieme di nasconderlo in un posto segreto. Com’era prevedibile, ci durò pochissimo: qualcuno, il bambino più lesto di tutti, lo prese e lo fece suo. Nessuno seppe mai chi era il traditore. Al cinema meglio mettere la mascherina FFP2: i casi covid sono in risalita. È un’ottima scusa.

Pornoterrorismo

Per quanto più o meno resista una forma di vergogna, la pornografia è sempre esistita. Dalle statuette dell’antichità ai papiri egiziani, dal Kamasutra agli Shunga, dai romanzi dell’era illuminista alle produzioni femministe. Spesso destinata prima alle classe alte della società e poi al resto. Al Panda Breeding and Research Center di Chengdu, il più grande centro al mondo per la conservazione del panda gigante in Cina, i ricercatori hanno proiettato le immagini di esemplari nell’atto della riproduzione per stimolare la libido dei mammiferi. E a volte ha funzionato. Il dibattito sul porno in Italia negli ultimi tempi ha preso soltanto una piega.

La ministra alla Famiglia, alla Natalità e alle Pari Opportunità Eugenia Roccella vuole vietare la pornografia ai minori. A ispirare lo spunto le parole di uno dei ragazzi coinvolti nello stupro di una 19enne a Palermo, la scorsa estate. “Se ci penso mi viene lo schifo – si leggeva nell’ordinanza – perché eravamo cento cani sopra una gatta, una cosa così l’avevo vista solo nei porno, eravamo troppi e sinceramente mi sono schifato un poco, però che devo fare la carne è carne”. D’accordo al divieto anche Rocco Siffredi, il più noto attore porno italiano, di recente protagonista di una serie tv Netflix dedicata alla sua vita, Supersex.

“I ragazzi vengono su guardando il porno – aveva detto in un’intervista a Il Corriere della Sera – è vero che non è una novità, ma oggi ci sono i video negli smartphone … Siamo noi gli educatori sessuali, sovradimensionati e capaci di fare sesso per ore. E questo non fa che generare insicurezze, perché nessuno si prende la briga di spiegare ai ragazzi che il nostro lavoro è finto, costruito, da professionisti”. La stella della musica mondiale Billie Eilish ha ammesso alla radio Sirius XM come il porno, che aveva cominciato a guardare a 11 anni, gli abbia “distrutto il cervello. Mi ha dato incubi e creato un sacco di problemi con il ‘dating’”. Il porno può prosciugare il desiderio, generare incertezza, desertificare la sessualità.

Se è porno tolgo

Sabina Fasoli è una sessuologa, la sua pagina Instagram Psychandlove è seguita da quasi 36mila follower, quella TikTok da oltre 505mila. Spiega di non avere pazienti dipendenti dal porno e che non si dovrebbe cadere nel pornoterrorismo. “Le ricerche dicono che si può evidenziare una possibile relazione tra l’esposizione precoce alla pornografia e lo sviluppo di atteggiamenti maschilisti. Non può essere però soltanto la sola visione di materiale pornografico a indurre una persona a molestie e violenze. Questi comportamenti sono influenzati da altri fattori che sono personali, familiari e sociali. La soluzione non è la proibizione”.

Il problema è quando il porno diventa educativo: “Può diventare un manuale di istruzioni. La dipendenza dev’essere considerata come tutte le altre dipendenze, non è il porno a creare il problema quanto le vulnerabilità personali. Può essere anche una strategia per controllare l’ansia o stati negativi interni. Quello che dico ai miei pazienti è di utilizzare la fantasia, tenerla in allenamento, pensare a esperienze passate, ma la fantasia torna utile anche nei rapporti reali”. Fasoli confessa di non essere mai entrata in una sala a luci rosse, nessun paziente gliene ha mai parlato. La prima in Italia venne aperta nel 1977, il Majestic di Milano. Per aggirare la buoncostume che non avrebbe permesso la proiezione, l’imprenditore Luigi De Pedis fece installare una luce all’ingresso che diventava rossa per informare gli spettatori sul tipo di spettacolo in corso. Fino a metà anni ’80 quindi la visione dell’hard era pubblica e condivisa tra bordelli e cinema. “Erano posti romantici? – si è chiesto lo scrittore statunitense Samuel R. Delany nel suo Pornotopia – Un elogio politico della promiscuità edito in Italia da Einaudi – Certo che no. Ma, per via di chi li frequentava, erano posti umani e con una funzione, soddisfacevano dei bisogni che in gran parte la società non sa ancora come gestire”.

Pornomondo

Le pareti bianche, il pavimento bianco. Su alcuni pannelli bianchi le locandine dei film in proiezione. L’ingresso costa 6 euro, ridotto per i militari – ma perché? Non lo sapranno spiegare -, un pacchetto di patatine con tutta l’aria di chi non va a ruba. Il ragazzo al botteghino informa da quando è cominciata l’ultima proiezione, faccio per aspettare la successiva e allora esce fuori e spiega: “No, non hai capito. Non funziona così, o entri subito o te ne vai”. Accanto a lui un uomo con un occhio di vetro e una cicatrice sulla guancia che non parla, mai, sorride soltanto. Prima della sala un po’ di gente seduta su qualche divano, adulti, giovani per la maggior parte dalla carnagione mediorientale o subsahariana, qualche anziano. L’impressione è che qui la gente ci passi più o meno il tempo che vuole, non necessariamente quello della proiezione. E infatti la trovi comoda all’ingresso, altri verso i bagni affollati non si capisce se per una fila o per cosa. Qualcuno con un sorriso indica una porta a ventola puntualmente pesante e scomodissima per entrare in sala, qualcun altro mi segue immediatamente.

A volume altissimo gli ansimi attraversano la sala annebbiata dal fumo, un’atmosfera da circolo proibito. La maggior parte della gente se ne sta sul fondo, le spalle al muro. I posti sono delle file di sedie unite sui lati. ROAD TRIP, si chiama il film, e un paio di loro si stanno già sbattendo forsennatamente su un divano, due donne e un uomo dai fisici super prestanti. L’occhio a pesce, quasi del tutto calvo, una maglietta bianca e una pancia pronunciata, quasi anziano: è Philippe Noiret invecchiato piuttosto male l’uomo che mi ha seguito in sala e che si è accomodato a due tre posti di distanza. E guarda con insistenza, ficca una mano in tasca e tira fuori una sigaretta che porta lentamente alla bocca.

Qualcuno cammina per il corridoio, ha una voce femminile e ripete: “Ho voglia di c*zzo”. Non è una donna però, non ce ne sarà nessuna fino a quando resterò nel cinema. E forse non è un caso. “Si può cadere nello stereotipo – spiega Fasoli – ma uomini e donne hanno scientificamente una maniera diversa di eccitarsi. L’uomo ha un’eccitazione più visiva, la donna un’eccitazione più mentale, romanzata. Anche se ci sono registe che si sono orientate alla pornografia più dedicata al pubblico femminile”. Conferma la pornostar Priscilla Salerno: neanche lei è mai entrata in un cinema a luci rosse. “Quando ho cominciato con il porno, nel 2004, erano già quasi tutti chiusi ma dico la verità: non ci andrei nemmeno adesso. Assolutamente. È proprio una cosa da uomo. Non vado a farmi una sega o un ditalino in un cinema porno. Non lo farei mai, proprio per la dignità di donna. Noi donne siamo più preziose, più riservate. Magari un porno lo guardo a casa e mi masturbo a casa, con il mio compagno. Non si tratta di niente di molesto o di spiacevole, a me non piace e non ci andrei mai”.

È un’ombra bella grande quella che continua a camminare avanti e indietro e a ripetere “ho voglia di c*zzo”. Poco più in là qualcuno si agita su una sedia: cosa starà facendo?  – ma cosa vuoi che faccia, dio mio – È come se ci fosse una sorta di ordine, un prontuario di comportamenti non scritti per comunicare quello che si cerca, che cosa si vuole fare. Qualcuno seduto sotto allo schermo, qualcuno in disparte, qualcuno che cammina, qualcuno alle ultime file. E intanto Philippe Noiret continua a fissare, l’occhio languido. La scena intanto è cambiata: in due su un promontorio, un paesaggio mediterraneo, quel poco di costume se lo sono già tolto. Corpi super palestrati, untuosissimi, un membro enorme che lei prende in bocca. Lui che comincia a vibrarle dentro in pieno giorno all’aria aperta. “Zigarettə?”, sluma e insiste Philippe che fissa. È il momento di andare, sarà passato neanche un quarto d’ora in tutto.

Pornobisogno

Al botteghino chiedo se è possibile parlare con il proprietario: per capire quanto sia cambiata la sala negli anni, quanto il pubblico, come la tecnologia abbia influito su questi posti. La giornalista Anna Ferri ha scritto su Domani come una sala hard in Emilia Romagna abbia anche un canale Telegram per mettersi in contatto. Qui non sono al corrente di niente del genere – l’uomo dall’occhio di vetro continua a sorridere e a non spiccicare una parola. Se non si è riportato il nome del cinema è perché le richieste sono state sempre e puntualmente rimbalzate. Né dalla Siae né dall’Agis hanno chiarito numeri e dati sulla realtà. Chissà perché. Chi entra in un cinema hard lo fa forse per solitudine, ninfomania, ossessione, isolamento, viscidume, perversione, opportunità. Ognuno avrà le sue ragioni. È qualcosa che comunque sembra stare a metà tra il desiderio e i margini: il desiderio ai margini.

“Le istituzioni come i cinema porno – spiegava ancora meglio Delany spiegando dei cinema porno a Times Square, a New York, progressivamente smantellati – si fanno carico di certi eccessi sociali; e talvolta possono persino servire a mitigare ‘eccessi troppo eccessivi’ (quelli che vanno oltre la marginalità). Ma questo è lo stesso argomento che ne consente lo smantellamento, sfruttato da chi li viole distruggere e radere al suolo: interessano soltanto ai marginali. A nessun altro importa”. Anche nei locali per scambisti, nelle dark room o a semplici feste private è possibile sperimentare o esprimere la propria sessualità, cercare e trovare quello che si cerca senza troppi giri: tutti contesti più cari ed esclusivi di una sala a luci rosse. Una cosa divertente che non farò mai più: prima di togliere la mascherina esco dal cinema e cammino un po’.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *