Caso Careggi, il polverone del governo per colpire l’identità di genere

RMAG news

È appena uscita la relazione del Ministero della Salute sulla visita ispettiva “ordinaria urgente” effettuata a Careggi il 23 e 24 gennaio sulla presa in carico dei pazienti con disforia di genere e sulla somministrazione del farmaco triptorelina.

La disforia di genere è una categoria diagnostica presente nel DSM V (il manuale diagnostico psichiatrico comunemente usato), e indica lo stato disagio/sofferenza per l’incongruenza fra il sesso assegnato alla nascita e l’identità di genere percepita.

La triptorelina è un farmaco che, tra gli altri suoi utilizzi, può essere impiegato anche per la disforia di genere nei preadolescenti, al fine di sospendere la pubertà per un periodo limitato, al massimo per due anni.

Più oltre mi soffermerò sul significato di questa “sospensione” all’interno di quello che si presenta come un processo di identificazione di genere, non semplice. La triptorelina era stata autorizzata dall’Agenzia del Farmaco (AIFA) nel 2019, chiedendo in via preventiva al Comitato Nazionale per la Bioetica un giudizio sull’eticità del suo utilizzo per la disforia di genere.

Il CNB aveva dato parere favorevole in un “approccio di prudenza”, “in situazioni accuratamente selezionate da valutare caso per caso” dopo che la diagnosi fosse stata effettuata “da una equipe multidisciplinare (composta da psichiatra, psicologo, endocrinologo) che accompagni nel tempo gli adolescenti e le loro famiglie”. L’AIFA aveva indicato un percorso ispirato a queste raccomandazioni.

Ebbene, il rapporto del Ministero individua come principale criticità che alcuni casi siano stati trattati solo con trattamenti psicologici e psicoterapeutici e non psichiatrici, e ciò sulla base di una interpretazione di una “o” contenuta nelle indicazioni AIFA, erroneamente (secondo il ministero) interpretata dai sanitari di Careggi come “disgiuntiva” (sic!).

Si suggerisce alla Regione di migliorare il servizio con “procedure più dettagliate di diagnosi e presa in carico”, prevedendo che in ogni caso i pazienti vengano visitati dal neuropsichiatra infantile. In conclusione: nessuna violazione della delibera AIFA, e “miglioramenti” raccomandati di assoluta banalità.

E’ interessante notare anche altri aspetti: dal 2019, i pazienti trattati con triptorelina sono 85, un numero assai contenuto. Ancora più contenuto, se si considera che di questi solo una piccola parte sono minori in età prepuberale. Dunque, le pratiche di Careggi sono del tutto in linea con la prudenza suggerita dal CNB e ripresa nella direttiva AIFA.

Tanto rumore per nulla? Direi che il nulla (ampiamente prevedibile) ci riporta al “rumore” intorno all’ispezione e ai suoi intenti ultimi. Va ricordato che tutto è partito da un’interrogazione del senatore Gasparri (20 dicembre 2023) che accusava il servizio di Careggi di somministrare la triptorelina senza alcuna assistenza psicoterapeutica e psichiatrica; e insieme avanzava riserve sul parere CNB chiedendo di formularne uno nuovo.

Puntualmente, il ministero si muoveva in ambedue le direzioni: faceva partire con grande grancassa mediatica l’ispezione a Careggi e inviava al CNB richiesta “di riesaminare la questione dell’eticità dell’uso del medicinale triptorelina”.

Si tratta di due questioni diverse, l’una riguardante eventuali “cattive pratiche” di Careggi nel sospetto di violazioni nell’applicazione della direttiva AIFA per la somministrazione della triptorelina (ispirata come detto al parere CNB); l’altra, di riserve circa le coordinate etiche dell’uso del farmaco individuate nel parere CNB 2018, attraverso la richiesta di revisione di quel parere.

Sono però accomunate nella logica del “sollevare il polverone” che il governo e le forze che lo sostengono hanno scelto per promuovere l’articolata campagna contro la triptorelina. Il prevedibile “nulla” dell’ispezione a Careggi è semplicemente la riconferma del polverone sotteso alla campagna anti-triptorelina.

Questa, ben oltre il farmaco, è rivolta contro la terapia affermativa di genere (e, più a fondo, contro lo stesso concetto di identità di genere). Si veda ad esempio un’intervista allo psichiatra Tonino Cantelmi, intitolata “No al modello affermativo”, in cui si criticano le linee guida OMS stese da una commissione di esperti in cui figurano “attivisti transgender”.

Ancora più esplicito il presidente CNB, Angelo Vescovi, che, nel dichiararsi contro la triptolerina, denuncia “la pressione di un’ideologia liberista totale”: e interpreta l’aumento dei minori con disforia di genere come “espressione di contagio sociale”, seguendo quella che definisce “la moda della diversità” (Foglio, 26/1).

La diversità in certo modo c’entra, nel senso che fino dagli anni Novanta l’affermarsi di un clima culturale aperto al riconoscimento delle differenze ha permesso la formulazione del concetto di “identità di genere” (fondato sulla percezione soggettiva della propria mascolinità/femminilità): un’identità che in alcuni adulti o anche minori non è avvertita in concordanza col sesso assegnato alla nascita.

Proprio il “prendere sul serio” la soggettività, ha permesso di scoprire che alcune persone non si riconoscono nella categorizzazione maschio/femmina, bensì si identificano nello spettro intermedio fra le due polarità di femmina e maschio, nella prospettiva non binaria dei generi (il transgender, appunto).

Ancora, riconoscere le differenze ha portato a una progressiva de-patologizzazione/de-psichiatrizzazione della questione gender, modificando gli approcci terapeutici. Oggi la “conversion therapy”, che tendeva a sospingere il soggetto ad accettare il sesso attribuito non è più sostenibile; è invece eticamente valida la terapia affermativa, basata sull’esplorazione rispettosa del percorso identitario, senza favorire l’uno o l’altro esito.

Depatologizzare l’area transgender non significa negare la complessa sofferenza degli adolescenti che non si riconoscono nell’attribuzione di sesso data. Cambia però il senso della domanda ai professionisti di area psicologica: come scrive la American Psychological AssociationAPA, molti e molte cercano aiuto “per capire la loro identità di genere e i modelli di espressione di genere e nell’affrontare le complesse questioni sociali e relazionali connesse”.

In questo quadro, va vista la opzione del farmaco che sospende la pubertà. “Capire l’identità di genere” presuppone un movimento- e un tempo- di “esplorazione”, costitutivo nel percorso “affermativo” (che può comportare o non comportare l’uso di farmaci).

Tuttavia, quando il/la pre-adolescente sperimenti un intenso stress per le trasformazioni del corpo avvertite come una disconferma della sua percezione di genere, la triptorelina può assecondare la fase di esplorazione, offrendo un tempo in più.

Se è vero che molto c’è ancora da imparare sulla varianza di genere e sul disagio sperimentato dai minori, ciò dovrebbe suggerire cautela e sensibilità. All’opposto di campagne gridate di demonizzazione del farmaco.

Risultano quanto mai calzanti le parole del parere CNB 2018: “nel valutare i rischi e i benefici (del farmaco), è eticamente dovuto tenere conto in primis della sofferenza dell’adolescente con disforia di genere”.

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