“Di chi è la responsabilità della strage della centrale idroelettrica”, parla Guido Viale

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Il totale delle vittime dell’esplosione della centrale idroelettrica è di sette morti. Tra azienda principale, aziende in appalto e aziende in sub appalto, ancora non si capisce di chi è e di chi sarà la responsabilità. In tutto questo quadro drammatico di morte e di non sicurezza sul lavoro, fanno da sfondo la protesta dei sindacati, che, a quanto pare, non marciano uniti.

Tra la morte degli operai e le polemiche c’è sempre lui a farla franca: il profitto. Ne parliamo con Guido Viale, sociologo e saggista, già leader sessantottino e dirigente di Lotta Continua che si occupa da anni di ricerche economiche, sociali e politiche.

Sette morti, un’esplosione nella centrale idroelettrica più importante d’Italia, però sono stati messi sotto sequestro solo l’ottavo e il nono piano ma non l’intera struttura di Suviana, come mai?
Perché la priorità è far funzionare le macchine e metterle in funzione il più presto possibile e quindi la vita delle persone che lavorano lì adesso passa in secondo piano. Funziona dappertutto così.

L’ennesima strage sul lavoro. Cambierà qualcosa questa volta?
Penso che dal Governo non ci sia da aspettarsi niente. L’unica cosa è sperare che la reazione che c’è stata da parte dei lavoratori e delle unioni sindacali prosegua e che non si limiti a questa manifestazione di lutto, di rabbia che abbiamo avuto ieri. Dobbiamo invece sperare che insistano perché vengano cambiate le tre disposizioni fondamentali che sono all’origine di queste tragedie.

Quali?
Partiamo dalla prima misura, ovvero l’abolizione dell’articolo 18. Bene, si pensava che con l’abolizione dell’articolo 18 sarebbero aumentati moltissimo i licenziamenti illegittimi, cioè senza giusta causa. Invece non è accaduto così, perché gli operai non si fanno più licenziare e per non farsi licenziare sono costretti ad accettare qualsiasi condizione imponga il padrone e soprattutto sono costretti a sottomettersi a lavori pericolosi senza le necessarie misure di sicurezza.

E la seconda misura?
Si tratta dei subappalti a cascata. Per colpa di questo sistema non si sa assolutamente a chi verranno affidate le fasi operative dei lavori. Un aspetto, questo, che chiama in causa la terza misura responsabile di tragedie come quella di Suviana.

Entriamo nel dettaglio, allora.
A causa di questi sub subappalti, la ditta committente non risponde del rispetto delle regole di sicurezza e delle responsabilità. Questa è una cosa gravissima. Si potrà risalire alle vere responsabilità soltanto quando una ditta potrà rispondere di come è stata gestita tutta la fase complessa del lavoro. Se guardiamo agli operai coinvolti in questa tragedia, ci accorgiamo che non è ancora chiaro per quali ditte stessero lavorando: siamo ciò davanti a delle ditte talmente fantasma, che non si capisce chi dovrebbe rispondere dell’accaduto, e questa cosa qua è permessa dal fatto che chi è responsabile di prima istanza, cioè la ditta committente non deve rispondere di questo. Inutile aggiungere che queste commesse poi sono frutto di gare al massimo ribasso, quando c’è una gara. Parlare di massimo ribasso vuol dire comprimere al massimo i costi. E l’unico costo veramente comprimibile, lo diceva già Marx, che lo chiamava il capitale variabile, è ovviamente il costo del lavoro. Di conseguenza, quanto più il ribasso è forte tanto più questo si scarica non sulle tecnologie, sulla capacità dell’azienda in quanto tale ma sulle condizioni di lavoro e sulla retribuzione del lavoro.

I sindacati non sembrano proprio uniti neppure in questa circostanza…
Assolutamente no. La Cisl non c’è stata alla manifestazione di Brescia come non c’è stata in quasi tutte le manifestazioni. Devo dire che negli ultimi tempi, sulla questione della sicurezza sul lavoro la Uil si è fatta sentire addirittura più degli altri, più della Cgil. In ogni caso Cgil E Uil sono unite nel rispondere. Poi c’è però questa selva di sindacati sostanzialmente inesistenti dal punto di vista degli iscritti e della consistenza organizzativa che firmano dei contratti pirata a cui le ditte si possono adeguare perché ovviamente le condizioni che garantiscono sono molte più lasche di quelle della contrattazione ufficiale, che già permette troppe cose e che sono inaccettabili dal punto di vista della sicurezza del lavoro.

Ma se un lavoratore vede i sindacati divisi che speranza c’è per i lavoratori di sentirsi tutelati?
Questo è un problema vecchio come la storia del movimento operaio. In realtà non sono i sindacati che si devono unire a partire dai vertici, ma sono i lavoratori che devono riuscire a imporre una unità sindacale, nel senso che chi non si unisce poi viene emarginato dal mondo del lavoro. Questa cosa qua cinquant’anni fa era successa abbastanza rapidamente in occasione dell’autunno caldo e delle lotte che l’hanno seguita e e addirittura l’FLM aveva unito altri sindacati metalmeccanici in un’unica organizzazione. Poi, come abbiamo visto, c’è stato quello che potremmo chiamare il riflusso, il ritorno a una normalità di impronta padronale con i quale anche l’unità sindacale è andata a farsi fottere (o è scomparsa).

Quanto la sinistra italiana è stata assente nel mondo del lavoro?
Totalmente! In realtà dietro tutta questa vicenda c’è un vero e proprio cambio di paradigma della cultura che ha improntato la sinistra secondo cui, a contrario di quanto un tempo la sinistra riteneva, la ricchezza la creano le imprese e non la creano i lavoratori. Le conseguenze di questo ribaltamento sono chiare: se la ricchezza la creano le imprese e non la creano i lavoratori vanno tutelate al massimo la libertà di azione e iniziativa dell’impresa e tutto questo va fatto a scapito dei lavoratori.

E questo spiega molto dell’idea della sinistra ridotta a partito delle Ztl e non più dei lavoratori. Bisogna tornare all’antico da questo punto di vista?
Se si tornasse al punto di vista, che poi è quello della cultura e della tradizione di sinistra, che è quella di Marx, ovvero all’idea che la ricchezza la creano i lavoratori con il loro lavoro, allora la prima esigenza tornerebbe quella di tutelare al massimo i diritti del lavoratore a scapito della libertà di azione dell’impresa. Le due cose non sono fra di loro compatibili. Da questo punto di vista c’è stato un vero e proprio salto culturale – che grossomodo prende piede dalla fine degli anni 70 e giunge all’avvento del berlusconismo – che ha consolidato una visione classista della società che è all’origine di iniziative come l’abrogazione dell’articolo 18 concepita per facilitare la vita alle imprese e renderla più ostica e difficile ai lavoratori.

A Piacenza e a Milazzo due giorni fa ci sono state altre due vittime: un operaio di 58 anni e un muratore di 72 anni, caduto da dieci metri: ancora morti sul lavoro.
Che cosa ci fanno i lavoratori di una certa età in contesti in cui sono esposti a grandi rischi? Questa è la dimostrazione che i sindacati hanno accettato molte misure anti-operaie e che la sinistra le ha a volte addirittura promosse. L’idea di voler ritardare progressivamente l’età di entrata in pensione dei lavoratori o comunque l’idea di metterli in sicurezza attraverso l’assegnazione dei lavori meno pesanti e meno pericolosi, invece di fare entrare le nuove leve , dice molto. Sia dal punto di vista della capacità di sopportare lavori pesanti sia dal punto di vista della capacità di rivendicare la propria sicurezza se adeguatamente formati e preparati, i lavoratori più “freschi” sono in grado potenzialmente di difendere maggiormente i loro interessi. L’elenco dei lavoratori oramai al di là dell’età pensionabile (compresa anche quella mostruosa introdotta dalla legge Fornero) che cadono vittime di incidente, sta crescendo a vista d’occhio.

Quanto il precariato incide su tutto quello che sta succedendo?
Il precariato non comporta soltanto l’accettazione di condizioni di sfruttamento ma rappresenta la distruzione completa dell’esistenza del lavoratore che non ha di fronte a sé né una trafila di carriera, di promozione, di conoscenze, di possibilità di valorizzare il proprio lavoro – perché è costretto non solo a cambiare continuamente lavoro ma anche l’azienda da cui riceve l’incarico – ma anche un peggioramento radicale per tutte le altre componenti indirette del salario, a discapito anche della pensione e di una protezione sanitaria adeguata.

Ieri in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, l’Amministratore delegato Enel Bernabei ha detto che non “c’è nessuna catena o gara al ribasso “. Quindi di chi è la colpa?
Il sub appalto a catena è esattamente questo meccanismo qua, per cui la colpa viene scaricata dalla ditta principale, alla ditta secondaria, alla ditta terziaria fino a che la colpa ricade sui lavoratori. Questo è sistematico: tutte le volte che accade un incidente la prima cosa che si dice è: “Può essere o è probabile che sia un errore umano. Però il sub appalto è esattamente questo: uno scarico non solo dei costi ma anche delle responsabilità.

Tutto questo in nome del profitto. O no?
È vero, anche se non lo dicono mai. Per loro l’importante è garantire lo sviluppo, permettere alle ditte di continuare a operare anche se in condizioni difficili. Non lo ha detto mai nessuno, forse una sola volta lo disse Romiti, l’allora amministratore delegato Fiat, quando disse che la cosa più importante di tutte era e doveva essere sempre il profitto. Ma in genere qui, soprattutto quando succedono questi incidenti non c’è mai nessuno dei responsabili che ammette che la causa è il profitto.

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