Intervista a Rossella Miccio: “Così l’Europa toglie ai migranti i diritti fondamentali”

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Un “Patto scellerato”. È quello su asilo e immigrazione votato a maggioranza dal Parlamento europeo. Un pessimo segnale in vista delle elezioni europee dell’8 e 9 giugno. L’Unità ne discute con Rossella Miccio, presidente di Emergency.

Il Parlamento europeo ha approvato a maggioranza il nuovo Patto asilo e immigrazione: confini blindati e identificazione anche per i bambini sopra i sei anni. Qual è il giudizio di Emergency?
Profondamente, totalmente negativo. L’Europa c’ha messo dieci anni per elaborare una nuova strategia sull’immigrazione. Quello che ha fatto e prodotto, in realtà, è stato semplicemente confermare la chiusura dei propri confini, l’essere sempre più una fortezza che o respinge o quando si riesce a penetrarla, si viene di fatto spogliati di tutti i diritti fondamentali che invece l’Europa dovrebbe riconoscere e tutelare in quanto sono quei diritti, principi, valori sui quali l’Europa stessa si fonda, almeno sulla carta. C’è molta delusione per un obiettivo, quello dell’accoglienza dell’inclusione, che non solo l’Europa non ha raggiunto ma che con questo Patto ha reso ancor più problematico realizzare.

Tutto questo a meno di due mesi da un voto che dovrebbe ridefinire il futuro politico dell’Europa anche su un tema cruciale come è quello delle migrazioni.
Assolutamente sì. L’accelerazione che è stata impressa alla discussione sul Patto, con questi risultati, non fa per nulla ben sperare su quello che potrà essere il futuro orientamento del nuovo Parlamento europeo. A ciò si aggiunge che ci attenderanno per il prossimo anno, un primo semestre Ue a guida ungherese e un secondo a guida polacca, tutti paesi dove i diritti fondamentali, a vari livelli, non coincidono minimamente con quello che abbiamo in mente noi. Questo è un elemento di riflessione importante che dovrebbe spingere sempre di più la società civile, i cittadini che andranno a votare, a scegliere con cura e attenzione le persone che vogliamo ci rappresentino a Bruxelles.

Intanto nel Mediterraneo si continua a morire, ma i media mainstream hanno silenziato questa tragedia infinita.
Purtroppo, sui media, soprattutto quelli italiani, si sono silenziate le tante voci di dissenso, le tante tragedie che accadono quotidianamente nel Mediterraneo. Come Emergency, essendo ormai da più di un anno in mare con la Life Support, ne abbiamo viste tante di queste situazioni. Abbiamo appena terminato l’ultima missione che ci ha visto felici perché siamo riusciti a salvare 202 persone, tra cui tantissimi bambini e donne, ma siamo stati costretti a fare un viaggio di cinque giorni per poter attraccare in un porto sicuro, quello di Ravenna. Continuiamo a fare i conti con il disinteresse verso queste persone che sono estremamente vulnerabili, persone come noi che hanno le stesse speranze, gli stessi sogni, gli stessi bisogni. Chiedono una vita dignitosa, niente di più. Dignità è una parola chiave. È un valore di civiltà. Ma questa dignità viene calpestata in mare e in terra. Ricordiamoci la definizione di “carichi residuali” coniata da persone che hanno importanti cariche istituzionali e di governo. A ciò vanno aggiunti i provvedimenti punitivi nei confronti di chi prova a cambiare le cose e dar loro una mano.

Un episodio emblematico è la cosiddetta guardia costiera libica che apre il fuoco contro la Mar Jonio che stava cercando di mettere in salvo migranti altrimenti destinati alla morte. E il fuoco viene aperto da una motonave donata dall’Italia.
Vergogna che si aggiunge a vergogna. Il governo italiano utilizza soldi pubblici per sostenere la cosiddetta guardia costiera libica che – e questo lo dicono non le Ong ma rapporti internazionale, l’Onu, inchieste giornalistiche mondiali – tutto è tranne che un organismo statale di uno Stato che rispetta i diritti umani. Questo è risaputo da tempo. Eppure, continuiamo a utilizzare i soldi pubblici, quelli che vengono dalle tasse degli italiani, per sostenere una banda, perché tale è la guardia costiera libica, che spara sui soccorritori, spara sui migranti e non fa altro che ricatturarli e riportarli indietro, in quelli che sono considerati a tutti gli effetti dei centri di detenzione nei quali non c’è nessuna garanzia, dove la quotidianità è fatta di torture e abusi. E ciò avviene non solo con il nostro placet ma anche con il nostro contributo economico e militare. Le priorità dei nostri governi dovrebbero essere ben altre.

Tutto questo avviene in un mondo segnato da guerre: dall’Ucraina a Gaza. Che mondo è questo?
Un mondo che sta andando rapidissimamente verso l’implosione. Un mondo senza futuro, se l’unico linguaggio che conosciamo e pratichiamo è quello delle armi. Armi sempre più potenti, sempre più pericolose. Si passa da una escalation all’altra: penso all’Ucraina, a Gaza, adesso c’è l’allarme per una possibile ritorsione dell’Iran per l’attacco d’Israele al consolato iraniano a Damasco. Le guerre continuano a proliferare dappertutto. Penso ad una realtà che Emergency conosce molto bene, lavorando da anni sul campo: quella del Sudan, dove si parla di 8-10 milioni di sfollati, nel silenzio più totale. Sono pezzi di umanità che perdiamo, che si distruggono, che riportano indietro di decenni questi paesi e non solo essi. Decine di anni di costruzione di diritti, di valori comuni, di condivisioni finiti sotto le macerie delle guerre che continuano a proliferare. La guerra è questo. È la negazione dei diritti e dei valori che ci dovrebbero tenere insieme. Non è un mondo che ha un futuro.

Papa Francesco per aver usato la metafora della “bandiera bianca” è stato oggetto di critiche più o meno esplicite.
Ormai il valore della pace, il valore della vita umana, è decaduto, completamente. O per meglio dire, a essere decaduto è il valore della vita di chi è visto come diverso da noi, un paria. Quando invece parliamo di chi ci assomiglia, allora siamo tutti compatti. Papa Francesco ha detto una cosa secondo me estremamente vera, cioè che c’è bisogno di coraggio in questa fase storica. Il coraggio di chi riconosce che con la guerra, con le armi non si può andare da nessuna parte e che quindi è disposto anche a rinunciare a un pezzo di sovranità, di diritti percepiti prioritari per se stesso, per creare un contesto in cui i diritti siano più condivisi e valgano per tutti. Per fare questo ci vuole molto più coraggio che lanciare una bomba o iniziare una guerra. Perché è una scelta non facile, che inizialmente può creare dissenso, come stiamo vedendo, ma è l’unica scelta possibile se vogliamo parlare davvero del futuro dell’umanità. Lo diceva Einstein nel 1932, quasi cento anni fa, che la guerra non può essere umanizzata, può essere solo abolita. Ci manca il coraggio per farla questa scelta, oggi più necessaria che mai. La guerra può solo essere ripudiata, cancellata dalla storia dell’umanità.

Per tornare al tema migranti. Le politiche securitarie non sono soltanto quelle che sono messe in atto contro le navi delle Ong, ma anche con il taglio dei finanziamenti all’Aiuto pubblico allo sviluppo e alla cooperazione internazionale, e alle politiche d’inclusione.
Le cose stanno così, purtroppo. Lo vediamo costantemente. C’è l’ipocrisia di dire: “aiutiamoli a casa loro”, evocando improbabili e indefiniti “piani Mattei”, senza chiarire come, con quali strumenti, con che obiettivi soprattutto, voglia sostanziarsi questo aiutiamoli a casa loro. Sempre meno fondi all’aiuto allo sviluppo, sempre meno fondi per politiche inclusive. L’ultimo esempio lampante, in ordine di tempo, è l’accordo Italia-Albania. Ancora una volta sono stati messi a disposizione ingenti fondi pubblici per creare dei centri di detenzione in uno Stato terzo, con costi molto superiori a quelli che avremmo potuto sostenere a casa nostra per realizzare un sistema che fosse veramente accogliente. C’è una distanza abissale tra gli slogan propagandistici e quello che succede nella realtà, tra gli obiettivi alti che tante volte sentiamo declamare e la politica concreta. Leggevo il bando per l’assegnazione di questi centri in Albania, si parla di 100 euro al giorno per migrante, quando in Italia viene destinato meno di un terzo di questa somma. Quelle poche risorse che vengono allocate, sono sprecate per fini più propagandistici che per raggiungere degli obiettivi veri, positivi. Anche su questo sarebbe importante riflettere.

Dal Mediterraneo alla Palestina, dall’Afghanistan al Sudan. Le Ong, come Emergency, sono spesso bersaglio, non metaforico ma concreto, di chi punta sulla guerra. Perché siete testimoni scomodi?
Comincio seriamente a pensarlo. Dopo quello che sta succedendo a Gaza, dove in sei mesi sono stati più di duecento gli operatori umanitari uccisi. Noi ci scandalizziamo quando ad essere ucciso è un occidentale, ma quasi tutti i duecento operatori uccisi dall’esercito israeliano sono palestinesi. Israele sembra una sorta di 007 con licenza di uccidere. Le uccisioni o il ferimento di operatori avvengono quotidianamente. Persino al Corte internazionale di giustizia lancia appelli inascoltati e indica misure che restano inevase. Questo credo sia molto preoccupante non tanto per le Ong in sé quanto per le nostre democrazie, per le nostre società. Perché il lavoro che svolgono associazioni umanitarie come Emergency, e tante altre, è un pezzo fondamentale del nostro essere una società aperta, rispettosa dei diritti umani. Nel momento in cui diventiamo degli obiettivi, diventiamo il nemico, vuol dire che si sta puntando a trasformare l’essenza vera delle nostre democrazie, che non ha alternativa se non la dittatura. E questo dovrebbe farci molto riflettere e agire. Al di là della condivisione o meno degli obiettivi di questa o di quella associazione umanitaria, è proprio il sistema valoriale che diventa un target da colpire in guerra, e questo è molto, molto preoccupante per tutti.

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