La Mar Jonio torna in acqua, si disperano i quotidiani di destra

La Mar Jonio torna in acqua, si disperano i quotidiani di destra

I soliti assatanati cronisti dei tre noti quotidiani dell’estrema destra, si sfregavano le mani l’altro ieri, convinti di avere una grande notizia: la “sconfitta” della Mare Jonio dinnanzi al Tar di Ragusa, in seguito alla decisione del giudice Claudio Maggioni che rispondeva al ricorso presentato dopo il fermo amministrativo della nave decretato dal governo.

Il furore ideologico però, può giocare brutti scherzi alla professionalità: prima di scrivere di un provvedimento, bisognerebbe almeno leggerlo, e poi essere certi di averne compreso il significato, almeno a grandi linee.

E invece, gli autorevoli “giornalisti”, hanno scritto un sacco di balle. Il giudice di Ragusa ha infatti solo deciso che non sussistevano i “motivi d’urgenza” per una sospensione immediata del fermo, come accaduto in altre occasioni, e si è riservato di entrare nel merito del provvedimento il prossimo 5 luglio.

Il merito riguarda ovviamente la legittimità dell’azione del governo, attraverso quello che chiamiamo “Decreto Piantedosi”, poi divenuta legge. Si scoprirà dunque solo allora se questo magistrato, al pari di altri suoi colleghi, riterrà legittimo fermare una nave del soccorso civile, dopo che i miliziani libici della cosiddetta “guardia costiera libica”, hanno tentato di impedirle di soccorrere in mare un’imbarcazione piena di esseri umani alla deriva, a cento miglia dalle coste libiche e in acque internazionali.

I carcerieri dai quali tentavano di fuggire, avevano il mandato di catturarli e deportarli nuovamente nell’inferno che tutti, anche le Nazioni Unite, conoscono. I miliziani, secondo il modus operandi che gli è proprio, non hanno lanciato salvagenti, ma sparato raffiche di mitra, anche all’indirizzo dei soccorritori e delle persone in acqua.

Una serie di video, consegnati alle autorità al momento dello sbarco in Italia, documenta tutto, e non solo: anche la trascrizione delle comunicazioni radio, con orari, tracciati e tutto ciò che era utile a ricostruire i fatti.

Motovedetta libica. A prua si vede uno dei miliziani che frusta i naufraghi. Intanto uno dei naufraghi è riuscito a sfuggire alle guardie e si cala a mare per farsi soccorrere dal gommone della Mare Ionio

Può anche darsi che un magistrato di un tribunale amministrativo ritenga tutto ciò legittimo, legale, assolutamente “normale”, e dunque dia torto a chi soccorre e ragione a chi spara. Ma lo si vedrà solo il prossimo 5 luglio.

Quindi gli assatanati, devono tirare giù il braccio teso, e studiare meglio. La “non urgenza” ha due motivazioni, una formale e una di opportunità. Quella formale riguarda la “certificazione tecnica” della Mare Jonio: la guardia Costiera italiana non la ritiene, come invece fa il Registro Navale Italiano, un “mezzo di soccorso”.

E dunque il giudice, non ha ritenuto per questo di applicare la sospensiva immediata al provvedimento di fermo. Il contenzioso su questo aspetto, tra Comando Generale delle Capitanerie di Porto e Registro navale, che è l’ente tecnico di riferimento della bandiera italiana, e la Mare Jonio batte bandiera italiana, dura da anni.

Puntualmente il RINA certifica la nave come mezzo di soccorso, con gli stessi criteri che valgono, in tutto il mondo, per qualsiasi assetto come la Mare Jonio. Ma puntualmente la Guardia Costiera non riconosce quanto certificato dal RINA, il quale sta ancora aspettando motivazioni valide per questa anomalia di giudizio.

Chissà se, come nel caso della mail che riguarda la strage di Cutro, salterà fuori prima o poi qualche documento che sveli l’arcano. Magari una indicazione del “livello politico” nel quale sia chiaro che questo ordine di non certificare la Mare Jonio, inspiegabile per i tecnici, viene da lì.

In ogni caso, sempre per gli assatanati, l’Italia è già stata condannata con sentenza definitiva dalla Corte di Giustizia Europea, perché nessuna “certificazione di mezzo di soccorso” è necessaria per soccorrere.

Ma ci sono anche altre sentenze, tra queste quella che ha coinvolto proprio la Mare Jonio nel marzo del 2019 presso il Tribunale di Agrigento e successivamente il caso Rackete del 2020, che spiegano bene come i soccorsi in caso di necessità, non possano mai ritenersi illegali, qualsiasi sia la certificazione tecnica della nave che li opera.

Ma la probabile motivazione, non formale ma di convenienza, per la decisione di Maggioni, sta nel fatto che dopo due giorni sarebbero scaduti naturalmente i venti giorni del fermo. La decisione del Tribunale è del 23 aprile, la “scarcerazione” della nave è avvenuta il 25 aprile, e mai giorno più significativo ci poteva essere.

Per evitarsi le pastoie burocratiche di una opposizione dell’Avvocatura dello stato, che in casi di sospensiva procede con il ricorso a sua volta, a due giorni dalla scadenza dal “fine pena” per la Mare Jonio, può anche darsi che il giudice abbia ritenuto di sveltirsi il carico di lavoro.

Cosa che invece, a proposito di ricorsi contro Piantedosi e le sue rappresaglie, non ha fatto il giudice di Trapani, che sta esaminando il ricorso per il fermo precedente, sempre a causa di soccorsi e vie salvate dalla morte e dalla prigionia in Libia. Si è preso tempo per poter acquisire i dati Unhcr per capire se la Libia può essere considerata “porto sicuro”.

Così avrà avuto modo anche di aggiornarli, aggiungendo le ultime notizie sull’assalto armato in mare ai danni della Mare Jonio da parte dei mercenari delle civilissime “autorità libiche”, o sulle fosse comuni con i corpi di donne, uomini e bambini migranti recentemente scoperte sempre nel democratico paese, partner dell’Italia nella guerra contro l’immigrazione, anzi forse è meglio dire contro i migranti.

Sull’assalto libico ai soccorsi del 5 aprile, si sta preparando qualcosa di più tosto dal punto di vista legale: i legal team di Mediterranea sono al lavoro per la produzione di un esposto che coinvolgerà non solo il governo libico, ma anche quello italiano, che è come minimo complice, anche se tutti sappiamo che è in realtà il mandante.

Sarà per questo forse che l’ambasciatore italiano e dell’Unione Europea a Tripoli, Nicola Orlando, ha fatto sapere con un tweet di un incontro con il “Commander of the Libyan Coast Guard”, l’Ammiraglio Reda Issa.

L’ambasciatore, oltre alla foto con un signore che veste una divisa imbellettata, e del quale però si stanno cercando notizie in merito al curriculum che lo ha portato a rivestire il ruolo di Commander della cosiddetta, ci tiene a scrivere anche “Ricordando i recenti episodi, ho ribadito l’imperativo di rispettare il diritto internazionale, la proporzionalità e i requisiti dei diritti umani nella conduzione delle operazioni…”. Della serie: se fate i morti tra quelli delle Ong, è un problema.

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