La Turchia dice “no” a Erdogan, il partito del Sultano sconfitto a Istanbul e Ankara: brillano Imamoglu e Yavas

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Non è una sconfitta. È una disfatta storica per il “sultano”. Le elezioni amministrative svoltesi domenica in Turchia hanno visto i sindaci di opposizione di Istanbul e Ankara, Ekrem Imamoglu e Mansur Yavas, battere i candidati sostenuti dal presidente Erdogan, che già aveva perso nelle due più grandi città turche alle consultazioni di cinque anni fa.

Con quasi il 65% delle schede scrutinate, Imamoglu è in testa a Istanbul con il 50,2% dei consensi e lo sfidante sostenuto da Erdogan, Murat Kurum, è fermo al 41%. Nella capitale, Yavas guida la corsa con il 58,5% dei consensi, lasciando il candidato di Erdogan al 33%, con il 38% dei voti contati. Il Chp è in testa anche a Smirne, su tutta la costa dell’Egeo e del Mediterraneo, in tutto 35 città su 81.

L’Akp mantiene il controllo su gran parte dell’Anatolia centrale, come Konya, Kayseri, Erzurum, e nel Mar Nero, nelle città di Rize e Trebisonda. Non sorprende a Smirne la vittoria del Chp, che domina da decenni la terza città del Paese, così come accade in centri importanti come Adana e Mersin. Sorprende invece in città come Bursa, altro grande centro industriale considerato fin qui feudo dell’Akp di Erdoğan.

Al presidente restano in mano i centri principali della costa del Mar Nero e buona parte dell’Anatolia centrale. Ma anche qui si segnalano province che cambiano di segno, l’avanzata di partiti ultranazionalisti e religiosi.

Nel sud-est i curdi si sono riconfermati alla guida di tutta l’Anatolia sud-orientale, esclusa la provincia di Siirt, con percentuali intorno al 60%. Il Yrp, il Yeni Refah Partisi, fondato dal figlio di Necmettin Erbakan, il padre politico di Erdogan, ha strappato all’Akp per due province, impresa riuscita anche al Mhp e all’Iyi Parti.

Il primo è il partito nazionalista, il secondo è un partito di destra, nato da un gruppo di fuoriusciti del Mhp. Segno che la Turchia starà anche iniziando un percorso per porre fine all’epopea di Erdogan, ma rimane comunque un Paese nazionalista, dove la componente islamica è destinata a essere tenuta in grande considerazione da chiunque verrà dopo il Reis. E dove i curdi continueranno a non avere vita facile.

“Oggi i nostri elettori hanno preso una decisione molto importante, hanno deciso di stabilire una nuova politica in Turchia”, ha affermato Ozgur Ozel, il segretario del maggior partito di opposizione Chp. “Il Chp ha ottenuto un risultato storico e ha deciso come governare il nostro Paese e i nostri comuni”, ha aggiunto Ozel, in un discorso trasmesso in tv.

Il voto “segna un momento cruciale non solo per Istanbul ma per la democrazia stessa. Mentre celebriamo la nostra vittoria, mandiamo al mondo un messaggio: è finito il declino della democrazia”, gli fa eco il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, dopo avere sconfitto il candidato sostenuto da Erdogan, ottenendo più del 51% dei consensi.

Definendo il risultato di Istanbul come “un faro di speranza e una testimonianza della resilienza dei valori democratici contro il crescente autoritarismo”, Imamoglu ha affermato sui social che nella vittoria dell’opposizione “c’è l’eco dello spirito della fondazione della nostra Repubblica da parte di Mustafa Kemal Ataturk”.

Mentre i risultati non erano ancora definitivi, durante la notte, in molti quartieri di Istanbul, i sostenitori del Chp hanno festeggiato la vittoria con fuochi d’artificio, musica e sfilando con bandiere turche.

Se da una parte, concordano gli analisti, si tratta di una vittoria storica, dall’altra la sconfitta dell’Akp rappresenta una vera e propria disfatta, segnando uno dei risultati più bassi nella storia politica del partito.

L’Akp non solo perde molti voti nelle maggiori metropoli turche rispetto al 2019, ma segna anche una chiara flessione a livello nazionale. Certamente ha pesato la crisi economica che è andata peggiorando negli ultimi anni e le promesse mancate del presidente Erdogan.

Le risorse economiche concentrate troppo in politica estera hanno infastidito i cittadini che avrebbero voluto risorse gestite meglio a livello domestico e locale. Ma anche il potere quasi assoluto del presidente turco, che ha raggiunto il suo apice con la riforma presidenzialista, comincia a pesare tra i cittadini.

Dopo il successo alle presidenziali lo scorso anno, Erdogan ha permesso alla banca centrale turca di portare i tassi di interesse al 50 per cento, ma l’inflazione rimane vicina al 70 per cento.

Una parte dei voti dell’Akp è finita al Partito islamista del nuovo welfare, che ha criticato Erdogan per non aver rotto le relazioni economiche con Israele per la guerra contro Hamas a Gaza. Motivazioni plurime, di segno opposto, ma un’unica certezza: il “sultano” è azzoppato. Forse è l’inizio della fine.

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